Attacco alla verità

“Gli attacchi di Hamas non sono arrivati dal nulla. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione”. Un affiliato all’Isis? Un fanatico jihadista? Niente affatto. A pronunciare queste ‘terribili’ parole è stato António Guterres, segretario generale dell’Onu. Che, per non lasciare spazio a code maligne, ha aggiunto altre ‘terribili’ osservazioni: “come le rivendicazioni del popolo palestinese non possono giustificare gli spaventosi attacchi di Hamas, così questi spaventosi attacchi non possono giustificare la punizione collettiva” del popolo della Striscia di Gaza. “Nessuna parte in un conflitto armato è al di sopra del diritto internazionale”, ha aggiunto il 74enne portoghese, che ha anche reiterato “l’appello per un cessate il fuoco umanitario”.

Prese di posizione di semplice buonsenso, che per Israele sono equivalenti a dichiarazioni di complicità con il terrorismo di Hamas. Fuoco e fiamme – questa volta, almeno nei confronti del segretario generale delle Nazioni Unite, solo in senso figurato – per chiedere le sue dimissioni, tra previsioni di guerra globale (“L’Occidente sarà il prossimo. La guerra che ci è stata imposta non è solo la guerra a Israele. È la guerra del mondo libero”) e ritorsioni. Israele, infatti, ora nega i visti ai funzionari Onu, dopo le ‘terribili’ parole pronunciate al Palazzo di vetro, in apertura della riunione speciale del Consiglio di sicurezza dedicato alla crisi in Medio Oriente.

Cattivi maestri

La furia israeliana, che sembra difficilmente domabile persino dai fedeli alleati statunitensi, campioni di violazioni del diritto internazionale e maestri di reazioni militari (“Non commettete i nostri errori”, ha suggerito Joe Biden, lucido nell’analisi ma ancora acerbo all’atto pratico), non prevede deviazioni. È un tank in movimento che non accetta messe in discussione delle proprie verità, quelle confezionate col paraocchi e vendute al mondo – quanto meno quello occidentale, spesso confuso con il mondo intero – come dogmi assoluti. Verità di comodo, che fanno partire la storia del conflitto israelo-palestinese con gli attacchi di Hamas dello scorso 7 ottobre, per esempio. E che sulla base di questo spettro limitato pretendono si agisca in modo unilaterale, illegittimo e pericoloso per la sicurezza globale. Pericolo cavalcato, si direbbe, a vedere la ridda di offensive militari e dichiarazioni di guerra.

Un po’ come avvenne – si perdoni il parallelo, fondato sulla somiglianza di clima e schemi mentali, più che sul contesto, naturalmente molto diverso – con l’invasione russa dell’Ucraina, datata 24 febbraio 2022: quello, nella narrazione statunitense, europea e occidentale in senso lato, è stato l’inizio della vicenda ucraina. Paraocchi. Spettro limitato. Per bendare la verità – fatta di complessità, pluralità di ruoli e di responsabilità – e schierarci sull’attenti, in assetto di guerra e con la bava alla bocca (leggi anche Ucraina, fermare i guerrafondai e il richiamo della caverna).

Un modus operandi che tradisce l’attesa di un inquietante futuro di conflitto perenne, che potrebbe sfociare in un regolamento di conti globale in tempi nemmeno troppo remoti. Basta osservare i comportamenti del presidente Usa, sempre pronto a provocare e finanziare nuovi scenari di guerra, con l’aria di chi sta realizzando il suo piano a tappe. Magari travestendosi da giocatore di pace sullo scacchiere internazionale.

Inutile soffermarsi sull’Europa, entità totalmente schiacciata sulla strategia guerrafondaia degli Stati Uniti, che ripropone a pappagallo – salvo sporadici scollamenti fisiologici, vedi la frattura Borrell-Von der Leyen proprio sulla linea da tenere nei confronti di Israele – la stessa visione da “o con noi o contro di noi”.

Clima di guerra

Uno schema semplicissimo: un fatto eclatante (l’invasione russa, l’attacco di Hamas), la presa di posizione netta e risoluta, il capovolgimento o quanto meno l’annacquamento delle responsabilità, riducendo vicende complesse a fatti solari di comprensione elementare (“aggredito-aggressore”), l’intruppamento sotto la bandierina di turno e il sostegno alle operazioni militari. Il tutto con una democratica spruzzata di riduzione progressiva di pluralità nel discorso pubblico, dove la versione dominante diventa l’unica accettata. E chi non si adegua, esprimendo dubbi o analisi non avvelenate, va censurato.

Dire le cose come stanno, oggi, è un affronto esecrabile che comporta richieste di dimissioni, cancellazioni ad inviti e piogge di fango, quando va bene. La carneficina in atto a Gaza, che in pochi giorni ha saputo far passare in secondo piano persino gli orribili attacchi di Hamas ai danni di civili, donne e bambini inclusi, non può essere considerata in modo diverso da quello che è. E la vera offensiva terrestre non è nemmeno cominciata. Vogliamo continuare a “sostenere incondizionatamente Israele”, come ripetono i rappresentanti istituzionali al più alto livello, a partire dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che solo ora accenna timidamente ai pericoli di uno “scontro tra civiltà”? Forse perché ne teme le possibili conseguenze, sul piano internazionale quanto su quello interno.

Ristabilire la verità, ribadendo la centralità del diritto internazionale e il rispetto di valori, diritti e coerenza nell’approccio alle crisi che attanagliano il Pianeta, è il primo passo da fare per capovolgere un piano inclinato che ci sta facendo sprofondare nel baratro. Preservare e rilanciare il pensiero critico, inoltre, è l’unica arma di resistenza possibile. Non sprechiamola.

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