«L’America Latina? Una speranza»

L’America Latina? Una «speranza per l’umanità». Questo il titolo di un appello che si propone di rimettere al centro dell’attenzione il “cortile di casa” degli Stati Uniti. Prendendo spunto, perché no, dalle varie esperienze che resistono ai tentativi mai esauriti di intromissione e controllo da parte degli Usa e, in misura minore, dell’Unione Europea. Tra contraddizioni e modelli diametralmente opposti in perenne competizione.

Da Cuba al Brasile (vero banco di prova con il voto del prossimo anno), dal Cile – dove si vota questa domenica – alla Colombia, terra martoriata e rimossa da gran parte dei principali circuiti mediatici. Fino alle prove di governo di Messico, Argentina, Bolivia e Perù, dove la sinistra si confronta quotidianamente con i tentativi di destabilizzazione e ritorno al passato. Che, in America Latina, vuol dire neoliberismo all’ennesima potenza. Ovvero assenza di servizi pubblici, disuguaglianze alle stelle e diritti nel dimenticatoio.

L’America Latina rappresenta «un laboratorio politico dove da un lato gli Stati Uniti tentano di riaffermare la loro declinante egemonia, dall’altro le popolazioni cercano di sganciarsi da un modello di sviluppo neoliberista e dalla dipendenza occidentale». Questi processi di trasformazione sociale e politica rappresentano, quindi, «una speranza per l’umanità».

Manifestazione in Colombia pochi mesi fa, contro il governo di destra retto da Duque
L’appello

L’appello – qui il link per leggerlo integralmente, pubblicato da Contropiano – vuole farsi a sua volta promotore di ulteriori iniziative, creando aggregazione sotto la comune presa di posizione a favore delle esperienze socialiste o comunque anti-imperialiste del continente latinoamericano. Tra i firmatari compaiono, tra le altre, personalità legate al mondo dell’università, del cinema, del teatro, dei sindacati e della politica.

Ventuno ne ha parlato con Giacomo Marchetti, tra i primi firmatari del testo. «L’appello nasce in modo unitario, come presa di posizione politica che si ponga alla base di iniziative sempre più di ampio respiro», spiega Marchetti, romagnolo trapiantato a Genova che aderisce alla Rete dei comunisti e scrive per Contropiano. Non si tratta di esprimere solamente «solidarietà ai processi di emancipazione in America Latina», ma anche di «saper cogliere le indicazioni che arrivano da esperienze di vario tipo, come i movimenti indigeni contadini o le esperienze socialiste e progressiste di stampo bolivariano, più o meno longeve».

Esempi concreti? «Cuba, nonostante l’embargo e le 243 sanzioni statunitensi, ha sviluppato cinque vaccini contro il Covid-19, dimostrando l’importanza della sanità pubblica, della ricerca e di una cultura scientista che qui per certi versi sta mancando». O ancora. «Quando ci domandiamo come affrontare il razzismo, possiamo guardare ad alcune esperienze latinoamericane, dove innanzitutto si parte dalla memoria storica, per poi non solo integrare ma rendere protagoniste nei processi politici la componente afrodiscendente o quella indigena».

Cuba resiste

A dare la spinta per la redazione di quest’appello sono state le proteste dello scorso luglio a Cuba, fomentate dagli esuli stanziati a Miami (leggi anche Se volete aiutare Cuba togliete l’embargo). «Si è trattato di tentativi strumentali di delegittimare il corso politico cubano, addirittura assaltando, con una perfetta sincronia, una rappresentanza diplomatica in Italia», continua Marchetti, secondo cui la strategia aggressiva a stelle e strisce, inasprita da Trump, non si è affievolita nell’era Biden. «Eppure i cubani continuano a dimostrare da che parte vogliono stare, senza per questo rinunciare a discutere di cosa non va. Ma ragionando sul perché».

Contromanifestazioni a Cuba la scorsa estate, in difesa della Rivoluzione

Impossibile quindi prescindere dal ruolo degli Stati Uniti, che nella storia anche recente hanno dimostrato di «voler stroncare non solo le esperienze marcatamente socialiste (Cuba, Venezuela e Nicaragua su tutte, ndr), ma anche quelle che puntavano a redistribuire la ricchezza e cambiare i rapporti di forza all’interno delle società, tra componente bianca e indigena o afrodiscendente. O volevano parificare la condizione della donna a quella dell’uomo. Per esempio, come è avvenuto con il colpo di stato in Honduras nel 2009, in era Obama».

Sudamerica al voto

Domenica il Cile si appresta a votare il prossimo presidente. Stando alle indicazioni, si andrà al ballottaggio. Che molto probabilmente vedrà di fronte due candidati agli antipodi: da un lato Gabriel Boric, di sinistra e sostenuto anche dal Partito comunista, dall’altro José Antonio Kast, un figlio politico di Pinochet, ancora più a destra del presidente Sebastián Piñera (appena salvato dalla richiesta di impeachment per lo scandalo Pandora papers) (leggi anche Cile, schiaffo al neoliberismo. «Vittoria del popolo»).

America latina
A due anni dall’inizio delle massicce manifestazioni contro il sistema economico neoliberista, il Cile ha eletto una nuova Assemblea Costituente che scriverà una nuova Costituzione. E domenica i cileni voteranno per il nuovo presidente. Foto di Stefania Stipitivich

Uno scenario che potrebbe ripetersi, in modo non troppo dissimile, in Brasile nell’autunno 2022: da un lato Bolsonaro, dall’altro la sinistra di Lula, dato in vantaggio (leggi anche Brasile tra miseria, virus e Bolsonaro. Il futuro è Lula?). Inutile dire, in entrambi i paesi, quali siano le speranze. Anche perché, come ricorda Giacomo Marchetti, avere giganti come Brasile e Argentina (dove governano i peronisti) dalla stessa parte «significa rendere possibili progetti di integrazione regionale». E non è poco.

Un altro importante paese sudamericano dove nel 2022 avverranno le Presidenziali è la Colombia, che raramente compare sui nostri media, ma dove succede di tutto. «Un paradosso: lì è in atto una repressione feroce, tra omicidi selettivi, desaparecidos e violazioni sistematiche dei diritti umani, nel silenzio della comunità internazionale e dei grandi media». Nel 2016 sono stati firmati gli Accordi di pace, dopo oltre 50 anni di guerra civile, «ma i primi a disattenderlo sono stati i gruppi filogovernativi». Si vedrà se le speranze nate dalle piazze degli ultimi mesi produrranno un cambiamento politico radicale (leggi anche Colombia, fame e rabbia in piazza. «Senza un vero cambiamento altri cent’anni di solitudine»).

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