Acqua e bombe su Bombay, mostro urbano d’India – Seconda parte

Pubblichiamo la seconda parte del racconto di Francesco Cecchini su Bombay, attuale Mumbai (qui il link alla prima parte).

Un monsone classista

Ho vissuto a Bombay dal monsone del 2005 a quello del 2006. La lasciai il giorno dopo un attentato ai treni. Ritornai nel 2010 per un paio di mesi, sempre durante il monsone. Il 26 luglio 2005, in 24 ore, quasi 900 centimetri di acqua colpirono con furia Bombay. Un diluvio. L’acqua intasò gli scarichi ed allagò quartieri, strade e ferrovie. Le persone dovevano guadare o nuotare verso la salvezza.

Un canzone, di cui non ricordo il titolo, canta il collasso della città.

Si dice che Bombay non dorma mai 

Non si fermi mai                                                                  

Non sia mai stanca                                                                    

Ma Fratello mio                                                              

Martedì 26 luglio                                                      

Bombay si fermò

Bombay era stanca                        

Ogni telefono cellulare diventò silenzioso                

Quando la burrasca colpì Bombay

L’oscurità prevalse quando l’elettricità se ne andò

Il monsone fu classista; South Bombay, il centro storico, non fu allagata e non soffrì come il resto della città. Ricchi e poveri ebbero dal monsone un diverso trattamento.

Falkland Road

Mentre il monsone del 2005 affogò Bombay, quello del 2010 la bagnò solamente e la mia vita non è drammatica, anzi. Ho poco lavoro e molto tempo libero. Da quando misi piede la prima volta a Bombay, anni prima, ho avuto in testa un libro fotografico del 1981 di Mary Ellen Mark: Falkland Road: Prostitutes of Bombay, che comprai a Boston.

Finalmente riesco ad andare. Vivo a Powai, nel nord. Prendo un taxi per visitare Falkland Road nel quartiere di Kamathipura, al centro. Attraverso la citta lavata da una pioggia monsonica leggera, poco vento, e sotto un cielo di nuvole grigio chiare. 

Vergine offresi

Quando arrivo è pomeriggio avanzato e la via sta iniziando a vivere. Scendo dal taxi e cammino lungo edifici decrepiti. In uno vi è un cartello con scritto: ‘Vergine offresi‘. Alcune prostitute vicino alle porte gridano in inglese «Walk in. Walk in». Certamente non assomiglio a un indiano.

Entro in una casa postribolo, pagando. L’interno è scuro e il pavimento di legno. Nel calore e nell’umidità della stagione dei monsoni, sembra appiccicoso sotto le mie scarpe. La vita è squallida in queste stanze. Bambine, vi è anche una bambina, ragazze e donne sono quasi nude e non hanno niente delle attrici di Bollywood. Fotografo quello che posso, dentro e fuori. Fotografare non è gradito. Pago anche per fotografare.

Mi chiedo come abbia fatto Mary Ellen Mark a fotografare con questa poca luce, forse ha aperto le finestre. Comunque le mie foto non valgono le sue, che ritraggono una realtà che non vedo e non ritraggo. Stampate, le straccio quasi tutte. Conservo solo alcune di esterni di Falkland Road.

Prostitute a Mumbai. Foto di Leon Meerson via Flickr
Canzoni hindi alla radio

Passo alcuni pomeriggi nuvolosi al Sea View Hotel di fronte alla spiaggia di Juhu e al Mare Arabico. Quando non piove o la pioggia non è intensa la spiaggia è affollata da gente che passeggia e gioca, il mare è sempre grigio-azzurro.

La radio trasmette canzoni hindi. Ricordo Questa è Bombay amore mio del 1956 (Yeh hai Bambai meri jaab), cantata da Mohammed Rafi e interpretata in un video da Johnny Walking.                                                                                  

O cuore gentile la vita è una lotta in salita                        

Stai attento, sii scaltro, questa è Bombay amore mio                                                                                         

Ci sono palazzi e tram e automobili e fabbriche                  

C’è ogni cosa deve essere, eccetto sentimento…

Il link con il video è il seguente: https://www.youtube.com/watch?v=HlAOZrst6fQ&t=45s

Una canzone differente da Bombay Meri Hai, molto meno ottimista. (Continua…)