Omara Durand, mito paralimpico cubano: «Io fidelista per sempre. Dopo Parigi? Mi ritiro»

L’appuntamento è al Centro cultural La Palma, locale a sud dell’Avana che gestisce tra un allenamento e l’altro. Il clima è subito cordiale. A parlare con Ventuno è Omara Durand, leggenda dello sport cubano. Ipovedente sin da piccola, la campionessa del mondo paralimpica corre con una guida nella categoria T12, vantando otto titoli paralimpici e 14 titoli mondiali nella velocità. Diversi i record del mondo detenuti nel proprio palmarés: 11”40 nei 100 metri piani, 23”03 nei 200 e 51”77 nei 400. Oggi, a 32 anni, sta preparando l’ultima Paralimpiade, quella di Parigi 2024. E poi? «Mi ritiro, voglio dedicarmi alla famiglia e ai miei progetti di imprenditrice.» Sorriso disarmante, fisico da campionessa e mentalità vincente, forgiata dal sacrificio e dalla determinazione, Omara Durand rappresenta un simbolo non solo sportivo, ma anche per la società civile: a Cuba, dove è membro del Consiglio di Stato, è un vero e proprio orgoglio nazionale.

Una carriera straordinaria, cominciata a sette anni nella tua Santiago de Cuba. Orgogliosa delle tue radici?

«Tutti vogliamo stare a L’Avana, però amo la mia città e ogni volta che posso ci torno. Noi dell’Oriente cubano siamo molto legati alle nostre radici, il calore umano è molto diverso lì.»

Non è un caso che moltissimi campioni dello sport o artisti cubani provengano proprio da lì.

«Già. Anche la cucina è migliore. Chi mi conosce può confermarlo…»

Parliamo dell’attualità. Ultimi impegni sostenuti?

«Recentemente sono stata in Europa, in Spagna e Germania.»

E in Italia?

«L’anno scorso ho gareggiato a Jesolo. Ora mi preparo per i Giochi di Parigi, a cui sono già qualificata, tra fine agosto e i primi di settembre.»

E poi?

«Poi basta, mi ritiro. Farò l’imprenditrice e la mamma (Omara Durand, sposata con l’ex martellista cubano Noleysis Bicet, ha una figlia di 12 anni, Erica, ndr).»

Una curiosità. Sei nota anche per essere una fidelista convinta. È ancora così?

«Sono molto fidelista. Fidel è Fidel. È insostituibile, come disse Raul Castro. Io vengo da una famiglia molto umile. Mio nonno materno, che ha 87 anni, è stato un combattente e ci ha insegnato ad amare Fidel e a essere rivoluzionari. Quando dico a noi intendo a tutta la famiglia. Ce l’ho dentro le vene.»

Il periodo non è facile.

«Oggi Cuba sta vivendo un momento molto complicato, però continuiamo ancora a sostenere il socialismo e la Rivoluzione. Sarò fidelista fino alla morte. E dopo tornerò a esserlo.»

Parole che si sentono sempre meno, soprattutto in certe zone della Capitale in questo periodo di crisi…

«Molti non capiscono e rinnegano le radici. Quello che l’attuale presidente, Miguel Díaz-Canel, sta affrontando in questo periodo è titanico, perché ha compiti molto difficili. Stiamo soffrendo, ma a volte non hai opzioni e devi governare un popolo che ha tante necessità. Eppure, nonostante tutto, non getta la spugna.»

Questa convinzione ti ha dato forza anche nello sport?

«Cuba dà la possibilità di formarsi gratuitamente, anche a persone con discapacità. Io che ho viaggiato per molti anni per il mondo intero ti garantisco che non è così facile in altri paesi praticare sport, soprattutto per persone con discapacità. A Santiago ho frequentato una scuola per bambini ciechi totali e ipovedenti come me. Dal settimo grado mi sono concentrata sull’atletica, frequentando una scuola sportiva che mi ha preparato per la vita, perché ci sono lezioni di matematica, inglese, storia etc., ma ti insegnano anche a lavare, a cucire, a essere indipendente. Ti prepara alla vita. È una scuola di riabilitazione e inoltre ti aiuta ad accettarti.»

Bello.

«Non importa che discapacità si ha, questo è un tabù: come esseri umani abbiamo il diritto di essere quello che vogliamo. Quando ci si pone un obiettivo e si lotta per ottenerlo lo si ottiene. Io mi amo come sono. Non c’è nulla che voglia fare che non faccio. E se cado, mi alzo e ricomincio.»

Parlando della tua carriera, quale è stata la tua più grande soddisfazione? Quando ti sei emozionata di più per una vittoria?

«Ogni medaglia che ho per me ha un significato, perché dietro di ognuna ci sono sacrifici, momenti di felicità, emozione, tensione… Posso dire che in alcuni casi ho fatto risultati migliori di altri, ma tutte sono state importanti.»

E quello che ti piace meno?

«I 400mt, che a me non piacciono. Difficili, ti stendono. Sai già che dopo sarà doloroso.»

Amicizie con altri sportivi, qui e nel mondo?

«Nel mondo dello sport paralimpico sono molto rispettata. Tutti mi amano, sono un’icona. Sento l’affetto nei miei confronti.»

Altri sport che ti piacciono?

«Mmm. La pallavolo. Poi mi piace vedere gli sport di combattimento e ovviamente l’atletica.»

Tua figlia che sport fa?

«Lei non ha molta attitudine per fare sport. Frequenta la scuola di musica, studia contrabbasso.»

E a te che musica piace?

«Il bolero. Musica dolce, tranquilla.»

Progetti futuri?

«Ho moltissime altre idee ma lo sport mi frena molto. Dopo Parigi mi voglio lanciare in altri progetti. Sto cercando di far crescere questo posto (il Centro cultural La Palma, ndr), occupandomi della parte gastronomica e invitando artisti, musicisti etc. Facciamo attività tipiche della cultura cubana, tranne la moña (la musica straniera, ndr), purché non sia volgare.»

Il reggaeton quindi non ti piace?

«È un ritmo contagioso, però se ti metti ad ascoltare i testi ti deprimi per la volgarità.»

Continuerai ad allenarti?

«Sì, ma senza gareggiare.»

Un tuo messaggio per un bambino con qualunque tipo di discapacità?

«Per un bimbo è difficile, perché lui crede in quello che vede, tanto sincero e pratico. Per capire deve avere un esempio. E il primo esempio per un bambino sono i genitori. Quindi io vorrei dare un messaggio ai genitori di bambini con discapacità. La maggior parte delle volte tendono a proteggerli troppo con paure di tutti i tipi: che succeda qualcosa, che li maltrattino, li discriminino, umilino etc. Questo indebolisce psicologicamente i figli. E quando devono affrontare la vita hanno più difficoltà. Me l’ha insegnato mia mamma, perché pure lei ha una discapacità. E grazie alla sua esperienza ha sempre voluto e fatto in modo che fossi indipendente. Questa è la priorità: far sì che i bambini con qualunque tipo di invalidità siano indipendenti. Ah, un’ultima cosa.»

Prego.

«Quando mi ritiro voglio far sì che il movimento paralimpico cubano sia valorizzato ancora di più. Mi piacerebbe che lo sport paralimpico fosse considerato come lo sport tradizionale, perché tutti si allenano, si sacrificano, vincono le medaglie etc. C’è ancora un grande lavoro da fare, soprattutto nel sentire comune.»

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