Soumaila Diawara: «L’Occidente ha fallito in Africa, che ora guarda a Cina e Russia»

Dal ruolo dell’Occidente, definito «fallimentare», a quello di Cina e Russia, che in Africa stanno acquisendo sempre più influenza. Economica, geopolitica e militare. E l’Italia? Non se la passa tanto bene («Governo Meloni? Incapaci, sanno solo fare propaganda becera»). Con un’idea chiara sulla guerra in Ucraina («Basta armi, Europa sottomessa agli Usa»). Ne parla in modo lucido Soumaila Diawara, scrittore e attivista maliano intervistato da Ventuno.

Rifugiato politico in attesa di risposta alla domanda di cittadinanza italiana, Diawara è stato costretto a lasciare il suo Paese d’origine alcuni anni fa, intraprendendo un viaggio estremamente difficile. Esperienza segnante, raccontata nel suo libro Le cicatrici del porto sicuro – Il diario di un sopravvissuto. Laureato in Scienze giuridiche, Diawara è un esperto di informatica che conosce bene la comunicazione. In particolare quella politica. Le sue idee? Saldamente di sinistra. Per Ventuno aveva già rilasciato un’intervista sullo sfruttamento del continente africano, desideroso di una vera indipendenza (leggila qui). Ora le cose stanno cambiando rapidamente, dagli attori alle dinamiche, anche se una vera indipendenza sembra ancora lontana.

Diawara, c’è un nuovo libro in cantiere?

«Sì, sto scrivendo un libro sulla geopolitica. Sul processo di decolonizzazione, sull’omicidio dei presidenti africani e sulla situazione attuale, tra la presenza russa e quella cinese».

Partiamo dalla Tunisia, dove nei giorni scorsi è stata in visita la premier Giorgia Meloni. Il presidente tunisino Kais Saied ha rifiutato le imposizioni del Fondo monetario internazionale, definendole una “malattia”. Cosa sta succedendo?

«Questa situazione va avanti da anni. La Tunisia ormai è in bancarotta, per via delle politiche di aggiustamento strutturale: il Fmi e la Banca mondiale hanno costretto la Tunisia a investire su politiche economiche che riguardavano solo gli interessi delle multinazionali».

Un meccanismo già visto non solo in Africa, ma anche in America Latina.

«Io penso che quando si danno soldi a uno stato bisognerebbe lasciare che lo stato stesso li investa in ciò che ritiene importante, non in ciò che dicono le istituzioni internazionali. L’Occidente su questo ha portato avanti soltanto politiche economiche fallimentari: nel momento in cui un Paese è in crisi non si può imporre una modalità per “aggiustare” l’economia. Sono gli stati che devono decidere dove investire affinché l’economia possa risollevarsi. Purtroppo le cose non sono andate così e oggi tanti stati africani guardano alla Cina. La Tunisia non è l’unico caso, ce ne sono tanti altri».

Quali?

«Congo, Zimbabwe, Sudafrica, Mali, Burkina Faso, Liberia, Sierra Leone, Algeria, ma anche Marocco ed Egitto, che da una parte è sostenuto dagli Stati Uniti ma dall’altra chiede una mano alla Cina per rafforzare la sua economia».

Già abbiamo centrato il cuore della discussione. Possiamo definire un ricatto le politiche di aggiustamento strutturale?

«Un ricatto, un comportamento paternalistico che ha dimostrato sempre i suoi limiti e non può continuare. Se io vado in banca a chiedere un prestito mica è la banca a decidere dove devo investire i soldi. L’unica cosa di cui si dovrebbe preoccupare la banca è la garanzia per la restituzione del prestito. Con questa politica assistenzialistica si va verso il fallimento degli stati. Che forse è proprio quello che conviene sotto il profilo economico. La Cina ha saputo approfittare della debolezza dell’Occidente e del suo comportamento nei confronti degli stati africani, dando soldi a fondo perduto».

Prima di tornare sulla Cina e su come cambiano gli scenari in Africa, c’è da dire ancora che le istituzioni internazionali come il Fmi e l’Occidente in generale hanno sempre ammantato questo meccanismo economico di nobili motivazioni, come le riforme, la democrazia etc. Quasi a voler “civilizzare” i paesi più poveri. Scopi di facciata?

«Sì, ci sono sempre stati scopi più di controllo economico e geopolitico. Invece che aiutare i paesi poveri a svilupparsi con politiche eque, sono gli stessi stati occidentali ad appoggiare le dittature, a incentivare le guerre e a vendere le armi. La democrazia, poi, non si promuove ricattando. Lo sviluppo economico in Africa non può essere identico a quello occidentale».

Perché?

«Perché le politiche di aggiustamento strutturale hanno sempre significato tagli alla sanità, privatizzazione di aziende nazionali e licenziamenti, che sono anche alla base dell’immigrazione».

Passiamo alla Cina. Perché dà soldi a fondo perduto? Che interessi ha?

«La Cina dà soldi a fondo perduto in cambio delle risorse. Lo ha fatto in Congo, dove ha comprato il debito pubblico dando miliardi. La Cina offre liquidità, gli stati africani si impegnano a vendere le risorse solo a Pechino. Così oggi la Cina sta acquisendo coltan, legno, cacao, caffè etc. L’Occidente è costretto a comprare queste risorse dalla Cina, che sta operando in modo legale. Le proposte della Cina sono molto più convenienti di quelle occidentali».

Qual è invece il ruolo della Russia in Africa? Mesi fa abbiamo visto proteste e bandiere russe per le strade del Burkina Faso.

«L’arrivo della Russia deriva dalla sfiducia degli stati africani e dei loro leader nei confronti della Nato per via di ciò che è avvenuto in Libia. L’Africa, dalla Seconda Guerra mondiale, è sempre stata un alleato militare dell’Occidente. Collaborazione militare che poi è rimasta, per quanto non ci siano stati africani membri della Nato. Anche se molti paesi Nato hanno basi militari in Africa, a partire dalla Francia. Nel 2011 l’Unione Africana aveva chiesto alla Nato di far uscire Gheddafi dalla Libia, in modo da farlo fuggire in Venezuela. Invece i militari della Nato lo uccisero. La scusa era l’esportazione della democrazia. Alla fine la Libia è stata consegnata a Erdogan e a Putin. Se non fosse una questione seria sembrerebbe una barzelletta. Molti stati africani si sono spaventati dei loro alleati e si sono rivolti militarmente alla Russia, come il Camerun».

In Sudan invece cosa sta succedendo?

«Un fallimento dell’Onu. In dieci anni sono stati investiti 11 miliardi di dollari per la messa in sicurezza del Sudan. I soldi sono finiti nelle mani di persone che si sono armate e questi sono i risultati. Se fossero stati spesi per costruire case, scuole, ospedali, garantendo una vita dignitosa alle persone, ci saremmo risparmiati quello che sta accadendo. Oggi i cittadini sudanesi soffrono per una guerra di potere».

Cambiamo un po’ la prospettiva e facciamo un salto in Italia. Purtroppo qui si parla poco e male di cosa succede realmente in Africa, mentre si guarda molto a chi arriva dall’Africa. Un parere sulla situazione dell’immigrazione in Italia? Il governo Meloni ha basato molto della sua campagna elettorale su proclami che a conti fatti si stanno rivelando disattesi.

«L’immigrazione non si può fermare con la propaganda. Nel momento in cui si continuano ad appoggiare le dittature, a sfruttare selvaggiamente le risorse, a incentivare le guerre e a negare il cambiamento climatico, l’immigrazione ci sarà sempre. Soprattutto se le persone non hanno alternative e non hanno paura di morire. Chi deve scegliere tra morte certa e morte probabile sceglie quella probabile, come faremmo tutti in quella situazione. Bisogna capire le cause dell’immigrazione, a partire dal cambiamento climatico: gli africani subiscono le conseguenze delle politiche dei paesi industrializzati».

E su alcune uscite, come quelle del ministro Lollobrigida? “Sostituzione etnica”, “etnia italiana”…

«La storia è chiara: l’Italia è un Paese misto, non c’è un’etnia italiana. Solo chi non ha i giusti strumenti culturali non lo capisce. Parlare di sostituzione etnica, oltre che aberrante, è una bassezza culturale unica, che riporta l’Italia indietro, a tempi bui. È puro razzismo».

Un commento sul governo Meloni in generale?

«Io ho criticato tanti governi, ma non ho mai visto un governo far credere di essere ancora all’opposizione. Assistiamo all’incapacità di persone arrivate al governo grazie a una propaganda becera».

E sulla guerra in Ucraina?

«Oltre al comportamento di Putin, su cui ritornare sarebbe retorico, abbiamo assistito a un fallimento dell’Europa, sottomessa agli Stati Uniti per una guerra strategica a un’altra potenza. L’Europa poteva evitare una guerra sul proprio continente, frenando le provocazioni statunitensi. Invece dovrebbe cercare una soluzione pacifica».

Contrario all’invio di armi in Ucraina?

«Sì. Non si può fermare la guerra con le armi».