Kociss, 45 anni dalla morte del bandito amato dai veneziani

(Disegno di Picta Manent)

Fu ucciso il 12 maggio 1978, colpito dai proiettili sparati da un poliziotto mentre fuggiva su un barchino, dopo quella che doveva essere l’ultima rapina. Aveva 29 anni. La parabola di Kociss, al secolo Silvano Maistrello, si concluse 45 anni fa nella sua Venezia, tra il rio di Santa Marina e quello del Piombo. Nome sinistramente profetico, dove finì la fuga del bandito più amato dai veneziani di allora. Soprattutto nel sestiere di Castello, cuore di una Venezia proletaria e segnata dalla povertà.

Kociss, che non amava questo soprannome datogli dai giornali per via della sua somiglianza con il capo indiano, fu celebrato con un funerale da Doge sei giorni dopo, quando migliaia di persone sfilarono per le calli della città lagunare, tappezzata di manifesti listati a lutto, mentre dalle finestre piovevano mazzi di fiori.

Il mito

Era un bandito. Un ladro e un rapinatore. Ma aveva un animo buono, come tuttora ricordano i più anziani in via Garibaldi, fulcro della Venezia popolare, che oggi conserva solo in minima parte i tratti di quella città ormai scomparsa. Un ribelle che aveva iniziato a rubare per fame e per difendersi dalle difficoltà di una vita troppo dura con lui. Un Robin Hood che aiutava i più deboli, dividendo con i tanti poveri della zona una parte del bottino.

Divenne un mito, Kociss, anche collezionando ben 17 fughe clamorose: dai riformatori, dalle carceri, da treni in corsa, dalle questure o dai tribunali. Saltava come un gatto, con la stessa facilità con cui metteva a segno i suoi colpi. Non uccise mai nessuno e non sparò nemmeno quella volta, 45 anni fa, nonostante la versione preconfezionata diffusa dai giornali dell’epoca, secondo cui c’era stata una sparatoria. Menzogne, emerse successivamente anche da un rapporto ufficiale.

Una morte tuttora avvolta dal mistero per alcuni aspetti, nel contesto di un’Italia minata da terrorismo, trame eversive e tensioni geopolitiche. Solo tre giorni prima della morte di Kociss, il 9 maggio 1978, venne ritrovato a Roma il cadavere di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse. E con le Br Kociss aveva avuto dei rapporti, tanto è vero che i servizi segreti lo avevano cercato mentre era latitante durante il sequestro Moro. Sospettavano che sapesse qualcosa, perché in carcere aveva conosciuto Prospero Gallinari, brigatista di spicco e carceriere dello statista democristiano. Ma con le Br Kociss, nonostante gli ammiccamenti reciproci, non aveva mai scelto di militare. Lui era un ladro, un bandito e niente di più. Figlio di una mala soppiantata poi dalla mafia di Felice Maniero, che alle romanticherie dei furti e delle fughe con destrezza preferì il business dell’eroina e la trasformazione in spa del crimine internazionale.

L’infanzia

La storia di Silvano Maistrello, raccontata anche nell’ottimo libro del giornalista Roberto Bianchin Kociss. Passione e morte dell’ultimo bandito veneziano (Milieu editore), è poco conosciuta fuori dal capoluogo veneto. Anzi. I più giovani, anche nel sestiere di Castello, non l’hanno mai sentito nominare.

Via Garibaldi, nel cuore di Castello a Venezia

Nato il 29 giugno 1948, Silvano Maistrello era il primo di nove fratelli e sorelle. A casa, in fondamenta S.Anna, vivevano in 22. Un’altra Venezia, quella degli anni ’40-’50. Soprattutto a Castello, segnata dalla miseria ma anche dal desiderio di riscatto del secondo Dopoguerra. Pianiterra senza luce elettrica né servizi igienici, famiglie numerose e tanta fame. Poi, con l’arrivo delle navi (e dei militari statunitensi), iniziò il contrabbando di sigarette. Un affare presto fiutato da tanti castellani, che di via Garibaldi fecero un feudo inespugnabile. Difficile, per un estraneo, addentrarvisi senza essere notati: appena si avvicinava un volto non conosciuto, soprattutto se in uniforme, i bambini si mettevano a correre, facendo subito scattare l’allarme. E così le sigarette di contrabbando venivano nascoste sotto i cestini della frutta e delle verdura, sfuggendo ai controlli dei finanzieri. Espedienti di un quartiere popolare come tanti, in quegli anni.  

Silvano crebbe senza il padre, che era il caporedattore di un giornale importante. La madre, Rosina, non volle mai sposarsi. Uno scandalo per l’epoca. Ogni volta che le nasceva un figlio, lei, bella e ribelle, lo teneva come un tesoro, lasciando il padre. La chiamavano puttana. E i suoi figli? Figli di puttana. Non fu facile per il piccolo Silvano, che conobbe ben presto le umiliazioni e la violenza. Che avrebbe restituito nel tempo, difendendo chi vedeva prevaricato.

Dal primo atto di ribellione contro la bisnonna – distruggendole il bastone con cui lo picchiava – ai primi furtarelli per mettere qualcosa sotto i denti – propri e non solo, a partire dalla sorella Annamaria, cui era legatissimo – l’infanzia di Silvano Maistrello fu caratterizzata da etichette e reazioni di sopravvivenza. Con un episodio segnante: saltato su una barca da lavoro per recuperare un pallone di stracci finito in acqua mentre giocava con gli amici, Silvano fu sorpreso dal proprietario del mezzo. Che, credendo di aver incastrato un ladro, lo lasciò legato per ore. Era così: anche quando non c’entrava, la colpa era sua.

In fondo la Fondamenta S.Anna, dove abitava Kociss
Bandito per mestiere

A 13 anni il primo furto: delle gomme da masticare per la sorellina, rubate da un grande magazzino. La punizione? Riformatorio per lui, orfanatrofio per lei. Con rieducazione a base di botte. “Minore discolo”, recitava il primo rapporto ufficiale sul suo conto. Così Silvano Maistrello crebbe affinando l’unica vera arte che conosceva, che non era quella del tornitore – nonostante i tentativi – ma quella del crimine. Una sfilza di furti e rapine, dalle pelliccerie alle banche, con un andirivieni continuo di arresti. E fughe rocambolesche. Coltivando rapporti, anche di amicizia, con altri banditi, tra cui Costante Carraro detto Chessman per via della somiglianza con il bandito statunitense Caryl Whitter Chessman. Carraro è considerato un ponte tra la vecchia mala di Kociss e la banda del Brenta costruita da Maniero.

Mezza Italia conosciuta dietro le sbarre. Per la questura di Venezia Kociss era una spina nel fianco. Nel frattempo, tra una latitanza e l’altra, nel 1971 sposò in carcere Luigina Chiozzotto, da cui non ebbe figli. Prima di lei aveva avuto tante ragazze e donne, tra cui una giovanissima Patty Pravo, quando si chiamava ancora Nicoletta e non era famosa.

I rapporti con le Br

Come tanti, il giovane Kociss aveva simpatie di sinistra. Era naturale nella rossa Castello. Iscrittosi al Pci, fu denunciato per manifestazione non autorizzata dopo aver protestato contro la guerra in Vietnam. Ma la politica non era la sua vera passione. Anche se in carcere conobbe Prospero Gallinari. E i suoi probabili rapporti con Renato Curcio e Nadia Mantovani portarono i servizi segreti sulle sue tracce, quando si cercava la prigione di Aldo Moro, come emerso nel 2011, caduto il segreto di Stato sui documenti riservati della presidenza del Consiglio sul caso Moro. Nonostante la proposta dei brigatisti, però, Maistrello non accettò mai di entrare nel giro della lotta armata. Quando fu ucciso, in tasca gli trovarono un volantino ciclostilato che riportava un comunicato delle Br dal titolo “Brigatizzazione galoppante”. Con sé aveva una P38. Ma non la usò.

L’ultima rapina

Scrissero che c’era stato un conflitto a fuoco, per giustificare l’omicidio di Silvano Maistrello, freddato da 14 colpi, di cui due nel fianco, fatali. Un’esecuzione, avvenuta mentre fuggiva su un barchino dopo una rapina al Banco San Marco. Cinque giorni prima Kociss aveva annunciato alla sorella Annamaria che sarebbe stato l’ultimo colpo. Voleva scappare in Inghilterra, dove voleva rifarsi una vita con una nuova compagna da cui aveva avuto un figlio.

Ma i piani studiati meticolosamente non andarono a buon fine perché la polizia si fece trovare preparata, grazie a una soffiata su cui tuttora non ci sono verità assodate. Kociss fu tradito, probabilmente da un complice. Ma non per soldi, per vendetta: questi sospettava che sua figlia fosse in realtà figlia del bandito Kociss.

Non ci fu alcuna indagine sull’omicidio, spiegato sbrigativamente dalla squadra mobile di Venezia, allora retta da Arnaldo La Barbera. Quel La Barbera che poi a Palermo avrebbe “costruito” il falso pentito Vincenzo Scarantino per depistare le indagini sulla strage di via D’Amelio. Senza contare il ruolo avuto durante il G8 di Genova del 2001.

La lettera di Vassalli

Nell’estate del 1978, dopo la morte di Kociss, un lettore d’eccezione scrisse una lettera al giornale Il Diario di Venezia. Era Giuliano Vassalli, ex partigiano e avvocato socialista, che in seguito sarebbe diventato ministro di Grazia e Giustizia e presidente della Corte costituzionale. Interessante riportarne alcune parti, per capire il suo parere sulla vita del bandito Kociss.

«(…) Giustamente il Suo giornale ha avuto l’idea di raccontare la vita di questo veneziano che, in bene e in male, rappresenta tanta parte della socialità e della psicologia veneziana. Kociss, infatti, è stato un giovane emarginato, come ce ne sono tanti a Venezia, che non ha mai avuto la possibilità di poter stabilire, se non altro, un rapporto corretto con la società che lo circondava. (…) Ci pensò il riformatorio a soffocargli il senso di onestà e di umanità che pure, secondo i suoi coetanei, aveva vivissimi. Si direbbe che gli istituti di pena italiani (ma dev’essere un fenomeno generale) siano stati creati apposta per accrescere gli istinti delinquenziali e non per correggerli. (…) Io non voglio qui fare l’apologia di un fuorilegge ma la storia italiana è nutrita di banditi gentiluomini, più onesti, tutto sommato, di coloro che li perseguivano nel nome di una legge che, finora, non è mai stata eguale per tutti. (…) Sono curioso di leggere quanto scriverà Bianchin sugli ultimi anni della vita del bandito gentiluomo che non ha mai ucciso nessuno, che non ha mai partecipato a colpi di stato (…), non ha mai esportato capitali all’estero. Che comunque ha sempre pagato, e duramente, di persona».