Maroccogate, le mazzette colpiscono i saharawi
Nella trama corruttiva del Qatargate, da cui emerge come il Qatar abbia “comprato” i Mondiali 2022, un altro paese sembra emergere dalla bufera: il Marocco avrebbe “comprato” metà Parlamento europeo per conservare la sua autorità sui territori ricchi di risorse del Sahara occidentale, che occupa dal 1975.
Sullo scandalo Qatargate che sta scuotendo Bruxelles dalla fine dello scorso anno si impone l’ombra del Marocco. Pier Antonio Panzeri, già protagonista del Qatargate, avrebbe fatto da mediatore a favore di Rabat e ricevuto denaro e regali dai marocchini. Lui, insieme a Eva Kaili, deputata greca del Movimento Socialista Panellenico e compagna di Francesco Giorgi, altro italiano coinvolto nel caso, sono i principali indagati.
Le denunce politiche
Dall’inizio delle indagini le autorità belghe sono giunte a una serie di perquisizioni e arresti che hanno già portato al sequestro di più di un milione di euro. Molte delle perquisizioni sono state effettuate nelle sedi del Parlamento europeo a Bruxelles e a Strasburgo, dove gli inquirenti hanno sequestrato materiale informatico e anche denaro contante.
Le autorità belghe sono in possesso di registrazioni di Panzeri e dei suoi familiari che testimoniano delle sue relazioni con il Marocco. In una delle trascrizioni dicono che dovrebbero evitare di spendere 100mila euro durante le vacanze di Natale come l’anno precedente, ma l’origine dei sospetti nei confronti di Panzeri non risale al luglio 2022, quando sono partite le indagini della procura belga, bensì a prima: già nel 2021 i servizi segreti belgi erano entrati nell’abitazione dell’ex eurodeputato, ritenendo che vi fosse il rischio di interferenze straniere e che lui avrebbe potuto giocarvi un ruolo. È da lì che sono iniziati i controlli capillari che la scorsa estate hanno portato all’apertura delle indagini.
Il Marocco ha molti interessi a Bruxelles, come dimostrano gli accordi sulla pesca ribaltati dalla Corte Europea, la richiesta di essere partner privilegiato dell’Unione europea in Nord Africa o la difesa dei propri interessi nella questione del Sahara occidentale.
“È cosa risaputa che, durante le sessioni plenarie, l’ambasciata marocchina ha praticamente un ufficio permanente nel bar degli eurodeputati. La domanda è con quali conseguenze. Da anni i socialisti bloccano sistematicamente ogni dibattito o risoluzione nella plenaria di Strasburgo che critichi apertamente il Marocco o denunci la situazione nel Sahara occupato”, ha spiegato sui social Miguel Urbán, europarlamentare spagnolo di Anticapitalistas, riferendosi a una denuncia fatta pubblicamente dall’ex eurodeputata socialista Ana Gomes.
La portoghese era stata la prima a citare Panzeri e a descrivere i suoi collegamenti con il Marocco. “Non è solo il Qatar. Il Marocco deve aver finanziato Antonio Panzeri e i suoi amici per molto tempo per contrastare le risoluzioni sul Sahara occidentale e sui diritti umani in Marocco. Su questi temi abbiamo avuto innumerevoli litigi”, ha scritto Gomes sui social all’inizio dell’inchiesta.
Gli affari su cui Bruxelles chiude un occhio
La situazione in atto nel Sahara occidentale è frutto della violazione di numerose leggi internazionali. Si tratta dello sfruttamento delle risorse del popolo saharawi, sfruttamento non giustificato da nessuna legge, ma che è in atto e si perpetua nel tempo.
Ecco l’elenco di alcune delle imprese che attualmente hanno o hanno mantenuto rapporti contrattuali col Marocco, svolgendo la loro attività estrattiva in territorio saharawi. La classifica delle imprese è capeggiata dalle imprese spagnole con una quota considerevole (14), seguite dalla Francia (9) e poi dallo stesso Marocco (6):
Sinofert (Cina), Coromandel International (India), Nutrien LTD (Canada), Alstom (Francia), Engie (Francia), San Leon Energy (Irlanda), Gamesa (Spagna), Kosmos Energy (USA), Total (Francia), Onhym (Marocco), LongreachOil and Gas Ventures (Australia), Azura (Francia) Idyl (Francia), Siemens (Germania), Deutsche Bank (Germania), Acciona (Spagna), Abengoa (Spagna), AlstomWind (Francia) Kerr-McGee (USA), OCP Maroc (Marocco), Atwood Oceanics (USA), FMC Foret (Spagna), Jealsa (Spagna), EuroPacífico (Spagna), Granintra (Spagna), IsoFotón (Spagna), ISUSA (Uruguay), Metalex (México), Deval Shipping and Trading (Turchia), Ership (Spagna), Pequiven (Venezuela), Gildo (Spagna), Netmar (Spagna), Tamoil Sakia (Libia), Meripul (Spagna), PotashCorp (Canada), Derhem Seafood (Marocco), King Pesca (Spagna), Troulo (Spagna), Lifosa (Lituania), TGS-Nopec (Norvegia), EDF Energies (Francia), Vestas (Danimarca), Theolia (Francia), ACWA Power (Arabia Saudita), FuGro (Olanda), Thor Marino (Danimarca), Wessex Exploration (Regno Unito), Cairn Energy (Scozia), Island Oil (Cipro), Terra Sola Groupe AG (Bahrain), Innophos (USA), Tripoliven (Venezuela), Agrium Inc. (Canada), Incitec Pivot (Australia), Ballance Agri-Nutrients (Nuova Zelanda), Nareva Holding (Marocco), GDF Suez (Francia), Pura Vida Energy (Australia), Freeport-McMoRan (USA), TAQA (Emirati Arabi Uniti), KFW Bank (Germania), Banca Euroea degli Investimenti, DLM Maroc (Marocco), Mitsui & Co. (Giappone), Enel Green Power (Italia), General Electric (USA), Al-Ajial Funds (Marocco), International Power Ltd. (Regno Unito), Cognis (Germania).
Sono territori, quelli occupati dal Marocco, che ospitano giacimenti di fosfati, petrolio, oro e una delle più importanti aree di pesca al mondo. Imprese di oltre 39 paesi diversi sfruttano queste risorse, sebbene la risoluzione 1803 (XVII) delle Nazioni Unite affermi che “la violazione dei diritti sovrani dei popoli e delle nazioni sulle loro ricchezze e risorse naturali è contraria allo spirito e ai principi delle Nazioni Unite e ostacola lo sviluppo della cooperazione internazionale per il mantenimento della pace”.
Mahfud Mohamed Lamin Bechri, dell’“International Institute for NonviolentAction” (NOVACT), qualche anno fa denunciava a Ginevra, durante una riunione del Consiglio dei Diritti Umani, che “C’è uno sfruttamento delle risorse nei territori che viola le leggi internazionali. Qui opera una complessa rete di corruzione al fine di continuare a sfruttare queste risorse, anche se legalmente questo non sarebbe possibile, e ciò avviene col tacito consenso dell’Unione Europea”. “La maggior parte delle compagnie straniere si mimetizza aprendo piccoli uffici fittizi a Marrakech, per evitare sanzioni e sfruttare tranquillamente le risorse naturali della regione del Sahara Occidentale. Queste aziende vendono i loro prodotti come se provenissero dal Marocco, una volta acquistati in Europa non possiamo verificarne con precisione l’origine”, aveva affermato, già all’epoca, Ahmed Ettanji, giornalista di Equipe Media.
Il business della pesca
Numerose imprese ittiche spagnole, principalmente andaluse, canarie e galiziane, sono strettamente legate al settore della pesca nei territori del Sahara occidentale. Un rapporto realizzato dall’Osservatorio dei Diritti Umani e delle Imprese nel Mediterraneo ha raccolto i nomi di alcune delle imprese spagnole coinvolte in questo business: sono PULMAR, Canosa de Frigoríficos Camariñas, Congelados del Estrecho, Grupo Conservas Garavilla, Mivisa. In Spagna esiste una vasta rete di imprese che importano materie prime dalla regione del Sahara occidentale per la commercializzazione e la successiva distribuzione. Tra queste troviamo Salgado Congelados SL, Discefa, o Canosa, in Galizia; Vivai Merimar, a Palencia; Angulas Aguinaga, nei Paesi Baschi.
Uno dei prodotti più importati è il polpo. Da Dakhla ne vengono importate 1.000 tonnellate da parte del distributore Rosa de los Vientos (che le commercializza con il marchio “O Pulpeiro”); 2.000 tonnellate da Profand e 9.200 tonnellate da Discefa. Questi polpi poi vengono rivenduti ad altre società all’ingrosso, grandi magazzini o supermercati dove i consumatori spagnoli li acquistano. Il rapporto cita, tra gli altri, Makro, El Corte Inglés, Carrefour o Mercadona. Secondo l’Osservatorio Diritti Umani “Procedure e modi di operare che queste aziende seguono nella distribuzione dei loro prodotti sono molto vari. Alcuni di loro hanno i propri impianti di lavorazione nel paese di origine, dove la materia prima viene trasformata per poi essere distribuita, come Salgado Congelados SL, che ha stabilimenti in Marocco e si occupa anche del processo di congelamento o Frigoríficos de Camariñas, che nel 2017 ha annunciato l’apertura di un nuovo stabilimento ad Agadir (Marocco)”.
L’ultimo accordo di pesca tra l’Ue e il Marocco è stato approvato il 12 febbraio di quest’anno dal Parlamento europeo. Comprende la regione del Sahara occidentale. Tuttavia la Corte di giustizia europea, nella sua sentenza C-266/16, spiega molto bene che gli accordi di pesca sono applicabili solo alle “acque sotto la sovranità o giurisdizione” del Regno del Marocco. Secondo la sentenza della Corte e in virtù della Convenzione sul diritto del mare “le acque sulle quali lo Stato costiero ha il diritto di esercitare la propria sovranità o giurisdizione sono limitate a quelle adiacenti al suo territorio e comprese nelle sue acque territoriali o nella sua Zona Economica Esclusiva”. Quindi, prosegue la Corte, “poiché il territorio del Sahara occidentale non fa parte del territorio del Regno del Marocco, le acque adiacenti al territorio del Sahara occidentale non sono comprese nella zona di pesca marocchina, oggetto dell’Accordo di pesca”. “Lo sfruttamento delle risorse naturali in un territorio non autonomo da parte di una potenza amministratrice sarebbe legale solo se effettuato a beneficio della popolazione di detto territorio, in suo nome o con il consenso dei suoi rappresentanti. Nessuna delle ipotesi si verifica nel caso del Sahara”, denuncia per parte sua l’Osservatorio Diritti Umani e Imprese.
La decolonizzazione tradita
Una flagrante assenza di giustizia da parte della Spagna aleggia sul popolo saharawi e sulla risoluzione Onu sulla concessione dell’indipendenza ai paesi e ai popoli coloniali. In effetti il Sahara occidentale è stato una colonia spagnola fino al 1975. Nello stesso anno la Spagna ha ceduto il territorio al Marocco e alla Mauritania. In quel periodo l’esercito spagnolo stava abbandonando definitivamente il territorio. Il 1975 è anche l’anno della Marcia Verde, in cui, il 7 novembre, 250mila civili marocchini entrano nelle terre dei saharawi. Dopo questi eventi si formò il Fronte Polisario (Fronte Popolare per la Liberazione di Saguia el Hamra e Río de Oro), un movimento creato dalla popolazione dell’ex colonia spagnola per recuperare le proprie terre. Il conflitto tra il Marocco e il Fronte Polisario è durato fino al cessate il fuoco raggiunto dall’Onu nel 1991.
Da allora il Marocco governa l’80% dei territori saharawi, con il Fronte Polisario che è riuscito a recuperare il controllo solo sul 20%. Un muro, chiamato “Muro della vergogna”, largo cinque chilometri e lungo circa 2.720 chilometri, divide i due territori del Sahara occidentale. Il cessate il fuoco raggiunto nel 1991 grazie all’Onu sarebbe dovuto servire a consentire un referendum che non si è ancora svolto. Di conseguenza la situazione ristagna a scapito delle popolazioni indigene. “C’è una flagrante inosservanza da parte della Spagna dei diritti del popolo saharawi e della risoluzione delle Nazioni Unite [risoluzione 1514 (XV) dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 14 dicembre 1960] sulla concessione dell’indipendenza ai paesi e ai popoli coloniali” ha dichiarato Gorka Urtaran, sindaco di Vitoria Gasteiz nel 2019, davanti al Consiglio dei diritti umani. “Il governo della Spagna e l’Ue devono assumersi la responsabilità che pesano su di loro per quanto riguarda la risoluzione del conflitto”, ha detto. Infatti, la risoluzione 1514 (XV) dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 14 dicembre 1960, sulla concessione dell’indipendenza ai paesi e ai popoli coloniali, sollecitava il ritorno di tutte le colonie a una condizione di indipendenza.
In questo senso il Sahara Occidentale continua a essere considerato dall’Onu un territorio non autonomo che deve essere decolonizzato attraverso l’esercizio del diritto all’autodeterminazione. Nel 1991 a questo scopo è stata creata la Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara Occidentale, MINURSO. Qualche anno fa —tra dicembre 2018 e marzo 2019— dopo anni di silenzio, sono stati organizzati dei negoziati presso la sede Onu a Ginevra, in Svizzera, per decidere il destino di questi territori, che vivono in un limbo silenzioso da più di quattro decenni. Purtroppo questi ultimi tentativi per giungere a una soluzione del conflitto sono stati inconcludenti e Horst Kohler, Inviato Speciale del Segretario Generale Onu, ha lasciato il suo incarico alla fine di maggio del 2020. Attualmente, un nuovo inviato speciale, Staffan de Mistura, sta cercando di riuscire là dove Kohler ha fallito. Il cammino è però ancora lungo, e la luce in fondo al tunnel, purtroppo ancora molto lontana.
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