Patience, a Venezia la sartoria artigianale è rivoluzionaria

Dall’idea al disegno, dalla lavorazione alla vendita. Tutto nel segno della sostenibilità. C’è una bottega, a Venezia, dove la rivoluzione ha le forme di abiti fatti a mano. È Patience, da oltre due anni laboratorio di una moda etica, contro lo sfruttamento del lavoro e dell’ambiente. E se è vero che vestirsi è sempre una scelta, farlo consapevolmente è sicuramente una virtù. C’è uno stile di vita dietro il lavoro di Daniela Lombardo, artefice di questo piccolo mondo dove ritmi umani di produzione e consumo si conciliano con il successo economico. Una scelta di resistenza, in una città divorata dal turismo di massa.  

Daniela Lombardo, l’artefice di Patience

Nata negli Stati Uniti, Daniela Lombardo è cresciuta a Venezia. Laureata in Lettere moderne a Ca’ Foscari, non vuole porre radici. Anzi. “A Venezia sono tornata per caso, con lo scoppio del Covid”, racconta a Ventuno nella sua bottega, che funge da laboratorio e da negozio nel sestiere di Castello, zona ancora viva della città. “All’università ho iniziato a seguire dei corsi di cucito, al Lido di Venezia. Poi ho continuato a fare abiti per me e mia sorella, per divertimento. Qualche anno dopo, nel 2018, dopo un viaggio in India durante il quale ho conosciuto tante persone attente alla tutela ambientale, sono tornata con diversi tessuti e ho cominciato a vendere dei capi in alcuni mercatini”.

Poi un periodo di vita negli Stati Uniti. E un viaggio in Nuova Zelanda interrotto bruscamente con l’arrivo della pandemia. “Nel 2020 sono tornata a Venezia e ho deciso di rimanere: in poco tempo ho deciso di aprire questo spazio, anche se non mi vedo ferma nello stesso posto per troppo tempo”, confessa. Ora però le cose vanno alla grande, tanto è vero che presto assumerà una persona (“Una grande responsabilità, ma sento di volerlo fare, vista la mole di lavoro”).

Moda etica

È lei, nel suo spazio, a raccontare Patience. “Volevo vendere gli abiti che facevo, per dare un’alternativa alla moda di oggi: abiti che costano molto poco, ma che celano sfruttamento sia del lavoro sia dell’ambiente”. “Per cercare di fare questo – continua – mi sono anche allontanata dalla sartoria tradizionale, che prevede di solito abiti fatti su misura, con una certa importanza e con un certo costo economico: io utilizzo tessuti naturali, biologici o di recupero, con il minor impatto sociale e ambientale possibile”. Il lavoro di Daniela è con le taglie e con capi che possono essere indossati facilmente da diversi corpi. Spesso abiti molto semplici, perché questo le permette di impiegare meno tempo e di mantenere prezzi accessibili. “Non faccio capi su misura né su ordinazione: lavoro solo con i disegni miei”.

Dall’India all’economia circolare

Tra le caratteristiche principali di Patience ci sono l’originalità dei capi, la scelta dei tessuti e lo stile personale, con qualche influenza orientale. “Ma in realtà sono capi dalle linee geometriche, da tutti i giorni e soprattutto spesso larghi, quindi facilmente adattabili. Sia per uomo che per donna”.

I tessuti, invece, hanno un’origine particolare. “Lavoro con due aziende in India”, spiega Daniela. “Una piccola fabbrica, con cui sono cresciuta, che nella produzione utilizza solo pannelli solari e tinture naturali. E un’altra, in Kerala, che produce cotone biologico”. Ma non solo. “Lavoro anche con aziende locali, in provincia di Treviso, da cui prendo rimanenze di fabbrica. E anche con tessuti di recupero: ci sono signore che mi hanno regalato tessuti dal soffitto che non utilizzavano da anni! L’anno scorso ho raccolto lenzuola vecchie e ci ho fatto pigiami, nell’ottica del riuso di materiali per dare nuova vita”.

“Indossa la rivoluzione”

Della moda tradizionale, Daniela contesta sia l’uso degli abiti sia lo sfruttamento da parte delle grandi catene. Patience si pone, quindi, come stimolo per la coscienza del consumatore, in modo da contrastare la cosiddetta fast fashion: comprare meno capi, utilizzarli per più tempo e con più cura. Dall’altro lato, poi, un diverso modo di concepire la produzione: dal lavoro – una campagna mondiale già mette in luce gli abusi di diverse multinazionali, le cui retribuzioni sono al di sotto degli stessi salari minimi, soprattutto nel Sudest asiatico – all’impatto ambientale.

Una rivoluzionaria della moda, come suggerisce un cartello issato su una piantina: “Indossa la rivoluzione”. In effetti, Daniela si sente in qualche modo parte di un movimento internazionale nato nel 2013, dopo il crollo del Rana Plaza in Bangladesh, con migliaia di morti e feriti: Fashion Revolution, che si pone come obiettivo quello di sensibilizzare il consumatore e di chiedere trasparenza alle multinazionali (come per esempio attraverso la campagna Who made my clothes?).

“Ho creato workshop, basi di cucitura a mano per riparare da soli i propri abiti, scambi di vestiti usati… Quando posso cerco di sensibilizzare le persone a una moda più etica anche con altre iniziative”. E la sua attività, che per le comunicazioni utilizza anche un sito (www.madewithpatience.com) e i canali social, è ormai un punto di riferimento in laguna.

Stile di vita veneziano

Ma cosa vuol dire Patience e perché un nome inglese? “Beh, il motivo è che di pazienza, soprattutto in questo lavoro, ne serve tanta. Ho scelto la versione inglese innanzitutto perché sono madrelingua, poi perché rispetto all’italiano ha una connotazione più positiva come termine”.

Un nome che indica anche una scelta di vita, contro i ritmi serrati di lavoro e consumo, contro la globalizzazione. “Bisogna pensare a ritmi di vita più lenti e ridare valore al tempo: non esiste solo il valore economico delle cose, ci sono altri metri di misura”. Venezia, se non soffocata interamente, permette ancora di mettere in pratica questo stile di vita.

Negli ultimi anni, infatti, sono nate anche altre botteghe artigiane di vario genere, soprattutto grazie a giovani che non si rassegnano alla monocultura turistica o, in alternativa, all’abbandono della Città storica. “Cerchiamo di fare rete tra di noi”, spiega Daniela, che concepisce la sua “tana” non solo come laboratorio e negozio, ma come uno spazio vivo in continuo dialogo con la città.

“Ogni tre-quattro mesi ospito un artigiano diverso”, racconta mostrando una collezione di gioielli artigianali. “Solitamente cerco persone che non hanno spazi e offro loro il mio. Ho avuto foto, dipinti, stampe sulla mia parete. È un modo per conoscere tante tecniche e persone nuove, penso sia bello mescolare le esperienze, creando connessioni e ispirandosi a vicenda”. Senza contare le collaborazioni con altre realtà cittadine e il sostegno alle cause a cui Daniela tiene (“Ospito anche delle stampe di Non una di meno”). E allora: che rivoluzione sia!