Mods, Torino e gli Statuto: «Da 40 anni ‘Rabbia e stile’»

I mods e la loro piazza a Torino. Lo ska e gli Statuto. Il Toro, la curva e le risse con punx e paninari. E ancora: i viaggi in scooter, i concerti e la profonda amicizia con Ezio Bosso, «un fratello mod». «Tutte storie vere e diverse dalla consuetudine». A parlare al telefono con Ventuno è Oscar Giammarinaro, anzi Oskar. Musicista e cantante, leader e fondatore degli Statuto, il primo gruppo in assoluto – nonché il più longevo – a suonare ska con testi in italiano, che nel 2023 festeggerà i 40 anni di attività («Li celebreremo con un disco e un tour»).

C’è un mondo raccontato nel suo primo libro, Rabbia e stile – Storie di mods e degli Statuto (Milieu edizioni, 247 pagine, prefazione di Valerio Marchi e copertina rigorosamente granata). Giacca, cravatta, parka e Vespa: da piazza Statuto all’Ariston di Sanremo, un lungo viaggio in prima persona, che ripercorre la militanza mod («non si nasce, non si diventa: si scopre di esserlo») e allo stesso tempo ricostruisce quattro decenni di cultura underground. Tra musica, orgoglio di classe («Io, figlio di una partigiana e di un internato in un campo di concentramento, sono ancora comunista») e voglia di emergere. «Mai per moda, noi mods siamo arrivati ovunque senza mai cambiare».

Oscar Giammarinaro, che nella vita è anche un insegnante, da qualche anno ha intrapreso – su consiglio dell’amico Ezio Bosso, scomparso il 14 maggio 2020 – anche un percorso musicale da solista, in parallelo rispetto all’attività degli Statuto. Rabbia e stile è anche un disco degli Statuto.

Oscar e la sua Vespa. Foto tratta dalla pagina Facebook di Oscar Giammarinaro

Oscar, nel 2023 saranno 40 anni di Statuto. Ma tu hai festeggiato anche i tuoi 40 anni di militanza mod…

«Sì. Piazza Statuto Mod esiste dal 1980, io ho festeggiato i miei 40 anni di presenza il 13 febbraio 2022».

Partiamo dal 1982 allora. Eri uno studente, un rude boy.

«Sì, ascoltavo ska revival, al di fuori della musica classica (è diplomato in contrabbasso al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, ndr): i Madness, The Specials, The Selecter… Venni invitato in piazza Statuto da Lele, un ragazzo mod. Da lì iniziai a conoscere e vivere la cultura mod sotto tutti gli aspetti: musicale, estetico, ideologico, comportamentale etc.»

Come definiresti la cultura mod?

«Secondo me è la miglior soluzione di vita in un sistema che non ci piace. Penso sia eloquente l’aforisma usato dagli Who in Quadrophenia (da cui è tratto l’omonimo film del 1979, pietra miliare per i mods, ndr): “vivere puliti in circostanze difficili”. Essere mods significa vivere le avversità quotidiane nella consapevolezza che possono essere sempre superate. E con stile, che non significa solo abbigliamento ma modo di agire. Mod non si nasce, non si diventa: si scopre di esserlo».

Il vostro luogo di ritrovo è piazza Statuto a Torino: dalla prima volta non ti sei più staccato. È cambiato tutto però in questi 40 anni…

«Ci sono ancora vari mods che erano presenti il mio primo giorno in piazza, ma per fortuna ci sono anche mods arrivati negli anni a seguire. Quattro o cinque generazioni che hanno contribuito al rinnovamento e alla diffusione del nostro movimento, soprattutto nella nostra città. Sì, attorno tutto è cambiato ma noi siamo rimasti sempre come punto di riferimento a cielo aperto. Non siamo mai scesi a compromessi, non abbiamo mai chiesto soldi pubblici, non abbiamo collaborato con partiti e organizzazioni politiche o religiose. Siamo sempre stati mossi dalla nostra spontaneità e libertà d’azione, senza mai ghettizzarci. E come mods siamo arrivati ovunque: il modernismo è stata, è e sarà la risposta giusta».

Mods in piazza Statuto. Foto tratta dalla pagina Facebook di Oscar Giammarinaro

Tu hai messo il modernismo sopra ogni cosa nella tua vita. Un esempio: nel 1992, dopo la popolarità e la visibilità mediatica conquistata a Sanremo, il vostro discografico ti ha rimproverato perché in pubblico parlavi di mods e non di Zighidà, il vostro disco appena uscito.

«Sì, direi che ho messo proprio tutto per far conoscere la nostra cultura, attraverso la musica, l’organizzazione di serate, le pubblicazioni indipendenti, i programmi radiofonici… (come Radio Londra, ndr

Tra i tanti aspetti della sottocultura mod…

«…no, io non l’ho mai definita così. Non ho mai capito “sotto” cosa… Per me quella mod è una cultura».

Va bene. Tra i tanti aspetti della cultura mod spiccano lo stile, l’abbigliamento, il sentirsi parte del gruppo, le risse… Avete fatto risse dappertutto!

«Eh sì, adesso sono cose che non capitano più, perché i giovani non hanno la necessità di scontrarsi, a meno che non si tratti di cose di stadio. Invece 40 anni fa, per guadagnarsi uno spazio all’interno della metropoli, era fisiologico dover venire a contatto con altre realtà, con le quali eravamo antagonisti non per motivi politici o sociali. Ma dalle scaramucce si passava alle faide. Dopodiché di effettivamente molto grave non è mai capitato niente».

Con alcune culture ci sono stati scontri ma anche incontri. Penso ai punx – con i quali vi sfidaste sul campo di calcio: alcuni di loro giocarono con gli anfibi ai piedi… – o agli skinheads. Con i paninari invece la rivalità e le botte furono serie: in quel caso c’erano motivi politici?

«Motivi politico-sociali. Quando abbiamo picchiato i paninari, soprattutto a Milano, dove abbiamo dato una mano ai mods di lì, era perché volevano ricreare una San Babila fascista (imitando i sanbabilini degli anni ’70, ndr). Gli scontri più importanti, necessari e dei quali andiamo più orgogliosi sono quelli con i paninari. È stata una forma di antifascismo spontaneo, anche se non era comunisti contro fascisti: loro volevano imporsi e noi li abbiamo respinti».

Queste culture sembrano figlie del passato. Cosa vuol dire oggi essere mod?

«La stessa cosa di quando è nato il movimento mod, a fine anni ’50 in Inghilterra, diffondendosi poi in tutto il mondo: capacità e voglia di trovare il meglio sotto tutti gli aspetti (estetico, musicale, ideologico), facendolo proprio e mettendolo in pratica. Il fatto di non essere mai stato un fenomeno di moda ci ha permesso di non bruciarci mai: non c’è mai stata contaminazione commerciale. Lo spirito è sempre lo stesso, oggi come 40 anni fa. Altre forme di aggregazione o culture giovanili, come quella punk, sono andate a spegnersi: la differenza è che chi è mod lo è per la vita».

Un altro aspetto fondamentale è il senso di appartenenza a un luogo, che per voi è piazza Statuto. Com’è il tuo rapporto, oggi, con la piazza e con la città di Torino? La vedi cambiata?

«Io sono di origini palermitane e non sono assolutamente un campanilista. Torino è la mia città e questo non lo rinnego. Ha una dote importante: è endemicamente non razzista e capace di accogliere bene persone da ogni parte del mondo. Ma è anche una città-feudo: prima dei Savoia, poi degli Agnelli, che hanno un controllo totale, diretto o indiretto, dal punto di vista economico, politico, culturale, sportivo… Chi non è mai sceso a compromessi con questa realtà, come noi mods e Statuto, è stato fortemente penalizzato. Eppure siamo riusciti a imporci autonomamente a livello metropolitano e culturale. Il giardino Ezio Bosso, in piazza Statuto, è stato un riconoscimento: lui ci ha legittimati come cultura e come gruppo di mods di piazza Statuto e questo per noi è un grande motivo di orgoglio».

Torniamo subito su Ezio Bosso, ma prima parliamo un po’ degli Statuto. Oggi, dopo qualche fisiologico cambiamento tra i componenti, la formazione vede te cantante, lo storico Naska (Giovanni Deidda) alla batteria, Rudy Ruzza al basso e Enrico Bontempi alla chitarra. I 40 anni si avvicinano…

«Il nostro obiettivo primario è festeggiare al meglio i 40 anni di attività, con un disco che stiamo preparando e un tour. La nostra priorità, comunque, è usare la nostra musica per far conoscere il modernismo: siamo nati per quello, proseguiamo per quello».

Gli Statuto. Foto tratta dalla pagina Facebook de Gli Statuto

In 40 anni ne sono successe di cose. Dal concerto a Cuba davanti a 200mila persone alla partecipazione a Sanremo contro la tua volontà, almeno inizialmente…

«…la scelta di andarci fu giusta: 30 anni dopo si può dire che non abbiamo certamente rinnegato le origini e l’appartenenza».

Nel libro racconti anche il dolore per la perdita di tuo padre, da cui è conseguita la perdita della voce per quasi due anni. Una cosa terribile, soprattutto per un cantante.

«Per chiunque sarebbe terribile non riuscire più a parlare. Figuriamoci per un cantante! È stata molto dura, ma fortunatamente sono riuscito a superare questo problema».

Dicevamo di Ezio Bosso, per te Xico, cui eri legato da un rapporto quasi di fratellanza. Era un mod e per un periodo ha fatto parte anche degli Statuto.

Ezio Bosso con gli Statuto. Foto tratta dalla pagina Facebook de Gli Statuto

«La nostra amicizia è nata in conservatorio. C’era una certa somiglianza fisica e a chi non ci conosceva lui raccontava davvero che eravamo fratelli. Fino all’ultimo siamo stati molto legati, è diventato il più grande compositore contemporaneo. È sempre stato molto legato non solo a me ma anche alla nostra piazza: si è sempre definito mod, anche davanti al Parlamento europeo: ci ha legittimati a livello culturale».

Il giardino dedicato a Ezio Bosso in piazza Statuto. Foto tratta dalla pagina Facebook di Oscar Giammarinaro

Qual è la tua canzone preferita degli Statuto?

«Mah, sceglierne una è davvero difficile… Come riuscita È già domenica (dedicata a Gabriele Sandri, ultras laziale ucciso da un colpo di pistola sparato da un poliziotto, ndr), che non avrei mai voluto scrivere ma di cui sono molto orgoglioso».

E invece una che non ti piace più o che per un periodo non hai più voluto cantare?

«Oh, abbiamo fatto 15 album, puoi immaginarti… Avendo scritto più di cento canzoni è normale che alcune non piacciano più, poi magari le riscopri. Le canzoni sono come dei figli, comunque: è difficile preferirne uno».

A livello di scena musicale in generale, al di fuori degli Statuto, come vedi la situazione oggi?

«Pessima. Vedo pochi giovani che prendono uno strumento, lo studiano e lo suonano. Insegno a scuola e lo vedo in prima persona. È un processo che dura da dieci anni. Devo dire, però, che negli ultimi due-tre anni, grazie a gruppi mainstream come i Måneskin, c’è una certa ripresa ed è bellissimo, perché i ragazzini si ispirano a un gruppo che suona: alcuni provano la chitarra, altri il basso, altri ancora la batteria. Poi provano a suonare insieme, cercando di proporre qualcosa di costruttivo e di innovativo. Mi auguro che, dopo aver toccato il fondo, la musica si riprenda un po’, come momento di espressione e di creatività».

Parliamo di politica. I mods rifiutano etichette politiche, però non possiamo negare che ci sia un legame, almeno nel tuo caso. Quando ti sei avvicinato a piazza Statuto eravate in gran parte comunisti e vi sentivate parte di un’idea politica che oggi è quasi morta, almeno in Italia. Cosa ne pensi della politica italiana?

«Premesso che il movimento mod non ha assolutamente nulla a che fare con la politica, allo stesso modo non può avere niente a che fare con il razzismo, perché nasce come multietnico e multiculturale (la musica afroamericana che si fonde con lo stile europeo e quello giamaicano). Riguardo alla politica, io sono comunista perché sono proletario, figlio di una partigiana della Brigata Garibaldi e di un internato in un campo di concentramento che fortunatamente è riuscito a tornare a casa».

Non sono tanti quelli che si definiscono ancora comunisti…

«Non è assolutamente un mio problema. Non è per snobismo, ma io non cerco il consenso e non mi interessa avere un responso di massa. Altrimenti non sarei mod. Comunque non faccio politica attiva. Cerco di fare delle attività sociali. Per esempio alcuni giorni fa abbiamo suonato alla ex Caterpillar di Jesi per un comitato di base che è riuscito a vincere una vertenza: questa forma di politica sociale non mancherà mai».

Non possiamo dimenticare il calcio. Sei un ultras e un grande appassionato del Torino: come Statuto avete scritto anche l’inno ufficiale. Come vedi oggi il rapporto tra il calcio e la gente?

«È un discorso molto complicato, ma il calcio attuale non ha più certamente i valori di una volta. È il denaro a farla da padrone, i colori non vengono rispettati, vincono sempre le solite squadre… Si è persa quella forma di appartenenza che dava al calcio un riconoscimento popolare, per quanto abbia ancora un grosso seguito».

Anche il mondo ultras però è molto cambiato.

«Gli ultras attuali devono affrontare una repressione insostenibile, che noi fortunatamente non abbiamo vissuto. “Prima gli ultrà, poi tutta la città”, diceva Valerio Marchi leggendo in anticipo le forme repressive in atto nella società: i fatti gli han dato completamente ragione».

Cuore Toro. Foto tratta dalla pagina Facebook di Oscar Giammarinaro

Progetti futuri?

«Celebrare i 40 anni degli Statuto. E poi continuare a fare quello che si è sempre fatto. Il futuro lo stiamo vivendo!»