Nel Brasile veneto di Trevisan

Brasile Veneto

A fine ‘800, inizi ‘900, i bisnenti, due volte poveri, contadini senza terra e boscaioli senza bosco, di Montebelluna e dintorni si illusero che il Montello potesse diventare la loro America, ma il progetto del colonialista Piero Bertolini fallì. Anni prima, nel 1876, i primi veneti sbarcarono nell’America reale, il Brasile, nelle terre vergini dell’altipiano della Encosta Superior da Serra do Nordestem nello Stato di Rio Grande do Sul, dove oggi si stende la così detta “Regione di Colonizzazione italiana” (Regiâo Colonial Italiana), divenuta una delle aree industriali più importanti del Brasile meridionale. Questa prima corrente contadina costituì l’avanguardia di quel più vasto movimento migratorio che un decennio più tardi si riversò nell’area delle piantagioni di caffè di S.Paolo, provenendo pur esso, per la maggior parte, almeno sino alla fine dell’800, dalle province del Veneto. Tra il 1876 e lo scoppio della Prima guerra mondiale nelle regioni centro meridionali del Brasile, in particolare a San Paolo e nel Rio Grande do Sul, emigrarono più di un milione di italiani, quasi metà dei quali di origine veneta.

Libri sull’argomento

I libri sull’ emigrazione veneta in Brasile sono molti. Ricordo il Lungo Viaggio, dalle terre venete alla selva brasiliana, di Ulderico Bernardi, edito da Santi Quaranta. Titolo significativo, il viaggio di emigrazione come racconto. Quei viaggi non furono crociere nell’oceano Atlantico, ma carichi di bestiame in vecchi piroscafi privi dei requisiti essenziali di sicurezza e di igiene. Duravano una trentina di giorni, senza contare il raggiungimento del porto d’imbarco, tra i porti italiani era quello di Genova a gestire la mole più consistente del traffico di emigrazione, dove c’erano lunghe attese in squallide locande o sulle banchine dei porti. I viaggi più faticosi erano però quelli a cui gli emigranti dovevano affrontare, una volta sbarcati, per giungere a destinazione. Un viaggio che poteva durare anche un mese e che avveniva spesso su mezzi di fortuna.

Vi erano grandi difficoltà a sostenere le spese e inoltre a bordo avvenivano malattie e morti e si pativa la fame. In Brasile i veneti arrivarono in massa dopo l’abolizione del tutto della schiavitù nel 1888 e si diressero prevalentemente in due aree, quella degli attuali stati di Săo Paulo e di Santa Catarina e Rio Grande do Sul nell’area più meridionale del Paese. Nell’area paulista i veneti furono impiegati prevalentemente nelle piantagioni di caffè, dove vennero loro imposti dei rapporti di lavoro che li gettavano in una posizione semiservile.

Copertina del libro il lungo viaggio di Ulderico Bernardi
Dalton Trevisan
Curitiba

Curitiba è la città di uno dei più grandi scrittori brasiliani, Dalton Trevisan. Un cognome diffuso in Veneto e in Friuli Venezia Giulia. Dalton Trevisan è il più importante scrittore brasiliano vivente: nel 2012 ha vinto il Premio Camões, il maggior premio letterario per autori che scrivono in portoghese. Un anno dopo è stato vinto da Mia Couto, precedentemente da José Saramago e Antonio Lobo Antunes. È un solitario, non viaggia, sembra abbia vissuto tutti i suoi anni a Curitiba. Dalton è enigmatico, schivo, allergico ai rapporti sociali. Una misantropia che deve essere interpretata come affermazione dell’autonomia della letteratura. Solo l’opera interessa, non l’autore. Così scrive: “Il racconto è sempre meglio del narratore”. È uno scrittore di racconti, non ha mai scritto un romanzo. In un’intervista dichiara i suoi intenti: “Esiste un pregiudizio che dopo racconti si debba scrivere romanzi. Il mio percorso sarà dal racconto al sonetto, all’haiku”. Possiede una scrittura folgorante, scrive ogni riga quasi fosse l’ultima. “Banchetto frugale”, il racconto dell’inferno che vive una donna maltrattata è un esempio magistrale di incipit con un  dialogo:                                                                                                                    –

Dottore, Giovanni ha bisogno di una cura. 

 -Che ha fatto? 

– Beve. Quasi non lavora. Non mi lascia in pace. Sporco, con barba e capelli lunghi. Perfino la bambina ha detto: “ Papà ora ha i capelli con ricci”.                               

 – Maria, lei beve? 

– Bevo, ma dormo.

Anche nel racconto La Colomba rossa e il Dragone i protagonisti si chiamano Maria e Giovanni.“ Mi uccisi per amore. Amo Maria e lei non mi ama. Ho inghiottito tre cucchiaiate di vetro macinato, ma non ebbe effetto. Allora mi impiccai. Solo ti chiedo, Maria, le mutandine di fiorellini azzurri che sono nel mio cassetto. Con odio, l’ultimo bacio. Giovanni.”

Dalton Trevisan non è tradotto in Italia. È poco conosciuto anche in Europa, in Francia è stato tradotto Le vampire de Curitiba. Anche all’ultima Feria del Libro di Francoforte dedicata al Brasile sembra non se ne abbia parlato. Lo cerco allora tra le nuvole, in rete, lo trovo e leggo, in Scribid o in altri siti, alcuni racconti tratti dalle varie raccolte che Trevisan ha scritto e pubblicato sempre con la stessa casa editrice brasiliana, Record: Cemeterio de Elefantes, O Vampiro de Curitiba, Novelas nada exemplares e altre. Leggo molte cose che in Brasile hanno scritto di lui e traduco dei suoi racconti in italiano, più che altro per esercitarmi, migliorare il mio portoghese, brasiliano.

Maturano alcune opinioni. Innanzitutto che il suo rapporto con Curitiba è essenziale. Il fatto che non si sia mai allontanato da questa città caratterizza il suo essere scrittore e il suo narrare.  Mai esce da questa palude brasiliana, crea. Forse è quella stessa palude curitibiana che stimola la creatività. Dalton Trevisan fugge dal  provincialismo e crea, senza uscire dalla provincia.  La materia prima la trova dove vive: storie di adulterio, alcolismo, prostituzione, liti famigliari, storie dove quello che non succede  è importante come quello che succede, storie senza trama e senza finale, ripetute varie volte. Giovanni e Maria, per esempio appaiono infinite volte. Il suo modo di vedere la narrazione è racchiusa in questa frase “Per scrivere il più breve dei racconti la vita intera è corta. Non termino mai una storia. Ogni volta che la rileggo, la riscrivo”. I suoi racconti sono poi rapidi, le frasi sono dirette, sintetiche; verbi, aggettivi, pronomi e avverbi sono tagliati dal coltello affilato dello scrittore.

Dalton Trevisan da Curitiba non è certo alla ricerca di una casa editrice italiana. Forse qualche editore di casa nostra prima o dopo lo troverà, lo farà tradurre e lo pubblicherà come merita. Permettendo così che i lettori italiani abbiano accesso a uno scrittore unico e a tutta la sua opera. Per comunicare con lui vi sono due canali: la sua casa editrice, Record di San Paolo e di Rio de Janeiro, la libreria del suo amico Aramis Chain, a Curitiba.