Dante e gli Angioini nella Commedia

In conclusione dell’anno dedicato a Dante Alighieri, pubblichiamo la seconda analisi, a cura di Matteo Cazzulani, inerente al rapporto del Poeta con le potenze geopolitiche del suo tempo (qui la prima).

“Francia o Spagna, purché si mangia” cita un motivo riguardo alla cronica indifferenza degli italiani nei confronti delle dominazioni ‘straniere’ che si sono alternate nella Penisola nel corso dei secoli. Tale sentenza, tuttavia, non sembra riguardare Dante Alighieri, che, nella Commedia, prende una chiara posizione, nel complesso negativa, nei confronti degli Angioini.

Carlo I d’Angiò

La figura principale della casata d’Angiò a comparire nella Commedia è Carlo I (nella foto in evidenza), fratello del re di Francia Luigi IX, conte di Angiò e del Maine, possedimenti ai quali aggiunge Forcalquier, la Provenza e il regno di Napoli, vissuto tra il 1226 e il 1285. Figlio più giovane del re di Francia Luigi VIII e di Bianca di Castiglia, Carlo ottiene la Provenza fidanzandosi, nel 1246, con Beatrice, figlia di Raimondo IV Berlinghieri, erede di quei possedimenti, salvo poi procedere a consolidare il proprio dominio sulla contea manu militari nei confronti dei nobili provenzali e delle città autonome di Marsiglia, Arles e Avignone.

L’interesse di Carlo I nei confronti della penisola italiana ha avvio nel 1263, quando l’angioino accetta la chiamata di Papa Urbano V a cacciare re Manfredi e la dinastia sveva dal Mezzogiorno d’Italia. Incoronato re di Sicilia nel 1266, Carlo I sconfigge, nello stesso anno, Manfredi a Benevento, e, due anni più tardi, suo nipote Corradino a Tagliacozzo.

Sostenuto politicamente dal Papa e, finanziariamente, dai banchieri toscani, Carlo I si pone a capo del partito guelfo in Italia centro-settentrionale, e ne favorisce il sopravvento sulla fazione ghibellina nel corso della seconda metà del XIII secolo.

Una maniera di governare poco popolare, tuttavia, porterà Carlo I a dovere fronteggiare, nel 1282, la rivolta dei Vespri Siciliani, e la conseguente perdita della Sicilia per mano di Pietro III d’Aragona. Rimasto padrone dell’Italia meridionale, Carlo I cerca di riprendere la Sicilia agli aragonesi, ma muore, nel 1285, prima di potere attuare i suoi piani militari.

Sebbene Dante collochi Carlo I nell’Antipurgatorio, presso la Valletta dei Principi Negligenti, assieme al suo grande rivale Pietro III d’Aragona, il giudizio che il Poeta lascia trasparire del sovrano angioino è fortemente negativo. Mostrato a Dante e a Virgilio da Sordello, nel Canto VII del Purgatorio, Carlo I è, infatti, criticato per essere causa di lamento da parte della Provenza e di Napoli, territori che hanno avuto modo di sperimentare il malgoverno del “nasuto” sovrano angioino.

Anche al nasuto vanno mie parole 

non men ch’a l’altro, Pier, che con lui canta, 

onde Puglia e Proenza già si dole.                                                            126

Tant’è del seme suo minor la pianta, 

quanto più che Beatrice e Margherita, 

Costanza di marito ancor si vanta.                                                          129

La critica a Carlo I d’Angiò continua nel Canto XX del Purgatorio, dove a contestare il sovrano angioino è Ugo Capeto, il fondatore della dinastia dei Capetingi (alla quale appartengono gli Angiò). Costui considera l’acquisizione della Provenza da parte di Carlo d’Angiò l’atto con cui ha avvio il declino morale della sua casata, criticando non solo la rottura fraudolenta, e quindi ‘disonorevole’ del fidanzamento tra Beatrice di Provenza e Raimondo di Tolosa, ma anche la violenza con la quale l’angioino ha inteso assicurare il proprio predominio sui nobili e sulle città provenzali.

Mentre che la gran dota provenzale 

al sangue mio non tolse la vergogna, 

poco valea, ma pur non facea male.                     63

Altresì, avvalendosi di una antifrasi, Ugo Capeto contesta le successive violenze perpetrate da Carlo I d’Angiò nell’Italia meridionale, con particolare attenzione alla sconfitta e successiva condanna a morte alla quale il sovrano angioino costringe Corradino dopo la battaglia di Tagliacozzo.

Carlo venne in Italia e, per ammenda,

vittima fé di Corradino; e poi

ripinse al ciel Tommaso, per ammenda. 69

Carlo I di Valois

Nella critica ai suoi discendenti, Ugo Capeto si sofferma anche su Carlo di Valois (1270 – 1325), fratello del re di Francia Filippo IV “il bello”, fondatore di quella casata dei Valois destinata ad ascendere al trono di Francia. Dopo avere ottenuto Maine ed Angiò per via matrimoniale, Carlo di Valois combatte gli inglesi in Guascogna, salvo poi essere mandato dal fratello in Italia a capo di un esercito incaricato di sostenere gli angioini contro gli aragonesi nella guerra per il controllo della Sicilia, finendo per fallire nella missione non riuscendo a strappare l’isola a Pietro d’Aragona.

Nel suo itinerario verso l’Italia meridionale, Carlo di Valois è incaricato da Papa Bonifacio VIII di intervenire a Firenze per riportare equilibrio interno al partito guelfo locale tra la fazione nera (guidata dalla famiglia Donati) e la corrente bianca (capitanata dalla famiglia Cerchi, alla quale appartiene Dante). Al compito, Carlo di Valois risponde favorendo apertamente i neri, deponendo il governo in carica nel 1301, e attuando una feroce repressione ai danni dei bianchi. Ottenuto via libera alla conquista del potere assoluto sulla città, i neri decreteranno l’esilio da Firenze dei bianchi, tra cui, nel 1302, lo stesso Dante.

Rimasto senza regno, seppur imparentato con una serie considerevole di famiglie reali in Europa e nel Mediterraneo, Carlo di Valois muore dopo avere combattuto, con successo, i ribelli delle Fiandre nel 1325. Suo figlio Filippo, tre anni dopo, diventa re di Francia col nome di Filippo VI, primo sovrano della casata dei Valois.

Per via del suo ruolo indiretto nella cacciata dei bianchi, e dello stesso Poeta, da Firenze, Dante inserisce Carlo di Valois tra le personalità che Ugo Capeto condanna per avere disonorato la dinastia dei Capetingi. In particolare, Ugo Capeto, sempre nel Canto XX del Purgatorio, profetizza l’attività di Carlo di Valois come “paciaro” volto a favorire i guelfi neri a Firenze, finendo per esportare, sia a Firenze che altrove, la vergogna della casata.

Sanz’arme n’esce e solo con la lancia 

con la qual giostrò Giuda, e quella ponta 

sì ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia.                                                     75

Carlo Martello

Assieme ad Ugo Capeto, altra figura capetingia di cui Dante si avvale per rilasciare valutazioni e critiche in merito alla casata angioina è Carlo Martello d’Angiò, nipote di Carlo I, figlio di Carlo II d’Angiò e Maria d’Ungheria, vissuto, brevemente, tra il 1271 e il 1295.

Degno di menzione nella biografia di Carlo Martello, al tempo fresco di elezione a re d’Ungheria, è l’incontro con Dante, membro di una delegazione, capeggiata da Giano di Virgilio del Cerchi, che, nel 1294, rende omaggio al sovrano in occasione di una sua permanenza a Firenze.

Forse per via di una ammirazione personale, basata su gusti letterari condivisi, sfociata in una amicizia che il Poeta sembra confermare proprio nella Commedia, Dante non solo colloca Carlo Martello tra i beati del Cielo di Venere, ma lo presenta come un buon principe destinato a diventare un sovrano migliore rispetto a quelli che, in sua vece, hanno governato la Provenza e Napoli.

Nel Canto VIII del Paradiso, dopo avere confermato reciproca stima nei confronti di Dante, Carlo Martello presenta i suoi possedimenti (la Provenza, il regno di Napoli e l’Ungheria) per mezzo di una perifrasi geografica.

Assai m’amasti, e avesti ben onde; 

che s’io fossi giù stato, io ti mostrava 

di mio amor più oltre che le fronde.                                           57

Quella sinistra riva che si lava 

di Rodano poi ch’è misto con Sorga, 

per suo segnore a tempo m’aspettava,                                      60

e quel corno d’Ausonia che s’imborga 

di Bari e di Gaeta e di Catona 

da ove Tronto e Verde in mare sgorga.                                              63

Fulgeami già in fronte la corona 

di quella terra che ‘l Danubio riga 

poi che le ripe tedesche abbandona.                                      66

In seguito, Carlo Martello è autore di un aspro attacco al malgoverno della casata angioina sull’Italia meridionale, prendendo a bersaglio suo fratello Roberto re di Napoli, presentato come incapace di pianificare un’azione politica lungimirante.

E la bella Trinacria, che caliga 

tra Pachino e Peloro, sopra ‘l golfo 

che riceve da Euro maggior briga,                                          69

non per Tifeo ma per nascente solfo, 

attesi avrebbe li suoi regi ancora, 

nati per me di Carlo e di Ridolfo,                                          72

se mala segnoria, che sempre accora 

li popoli suggetti, non avesse 

mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”.                                      75

E se mio frate questo antivedesse, 

l’avara povertà di Catalogna 

già fuggeria, perché non li offendesse;                                  78

ché veramente proveder bisogna 

per lui, o per altrui, sì ch’a sua barca 

carcata più d’incarco non si pogna.                                           81

La sua natura, che di larga parca 

discese, avria mestier di tal milizia 

che non curasse di mettere in arca». 84

L’estensione dei possedimenti degli Angiò in Europa a fine XIII secolo
Un invito rinnovato ad andare oltre le apparenze

Così come nel caso di Federico II di Svevia, collocato tra i dannati ma de facto presentato sotto una luce via via sempre più positiva nel corso dello svolgimento della Commedia, Dante sembra operare una evidente contraddizione nel criticare aspramente la casata angioina, e collocarne l’esponente più illustre, Carlo I d’Angiò, tra i salvati.

Morto scomunicato, dopo una vita passata a contrastare il potere temporale del Papa in nome di una riforma dello stato attuata secondo una prospettiva ‘laica’ e centralizzatrice, Federico II è sì collocato all’Inferno, ma viene esaltato sia nella medesima Cantica, che in Purgatorio e Paradiso.

Al contrario, morto fedele al Papa e al suo disegno politico, Carlo I d’Angiò viene invece collocato nel Purgatorio, ma le sue gesta e quelle della sua casata sono aspramente criticate nei canti ‘politici’ della Commedia della medesima Cantica e del Paradiso.

La contraddizione per mezzo della quale Dante presenta gli Angiò è, alla luce di quanto scritto, da considerarsi come solo apparente, oltreché, possibilmente, come una chiave di lettura che Dante intende fornire per comprendere il messaggio politico della Commedia.

La suddivisione tra dannati e salvati, infatti, avverrebbe sulla base di criteri ‘pontifici’ che Dante stesso, in più occasioni, sembra mettere in discussione, come nel Canto XVI del Purgatorio.

Affidando il proprio pensiero a Marco Lombardo, ribadendo la teoria espressa nel Monarchia, Dante argomenta infatti come il Papa debba dividere il governo sull’umanità con l’Imperatore, convivendo in armonia come “due soli”, con la Chiesa responsable per orientare i comportamenti degli uomini verso la virtù, e l’Impero chiamato a esercitare il potere politico.

Leggi anche Dante nella Commedia: un italiano nel mondo di oggi