Dante e gli Svevi nella Commedia

In conclusione dell’anno dedicato a Dante Alighieri (leggi anche Dante nella Commedia: un italiano nel mondo di oggi), proponiamo una serie di analisi inerenti al rapporto del Poeta con le potenze geopolitiche del suo tempo. Nella prima puntata della serie, ci soffermiamo sulla relazione, tanto complessa quanto affascinante, tra l’Alighieri e la casata di Svevia, l’imperatore Federico II “Stupor Mundi” in primis (nella foto principale, la statua di Federico II).

La casata

Incarnazione del potere ‘temporale’, speranza di ordine politico nella cronicamente divisa Italia, ultimo baluardo dei valori ‘cortesi’. Senza ombra di dubbio, la casata di Svevia rappresenta un importante elemento del pensiero politico di Dante. A confermare tale tesi è la presenza dei principali esponenti della dinastia sveva nella Commedia, che Dante distribuisce tra Inferno, Purgatorio e Paradiso in maniera apparentemente contraddittoria, ma coerente con la propria visione politica allo stesso tempo.

Federico II

La principale figura della casata di Svevia a comparire nella Commedia, in via sia diretta che indiretta, è Federico II, imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, re d’Italia e re di Sicilia, vissuto tra il 1194 e il 1250 (leggi anche La fortezza di Lucera, un monumento poco conosciuto che ci parla di Federico II). Nato a Jesi dal matrimonio tra l’imperatore Enrico VI e Costanza d’Altavilla, Federico riceve sia la corona di Sicilia da parte di madre, sia, per via elettiva, il titolo imperiale già appartenuto al padre. Dopo un’iniziale vicinanza, Federico II entra in aperto scontro col Papato che, circondato a Nord e Sud dai possedimenti dell’imperatore svevo, teme la sua capacità di portare a compimento la Unio regnii ad imperium, ossia l’unione del regno di Sicilia al Sacro Romano Impero Germanico.

Papa Gregorio IX e Innocenzo IV incitano, a più riprese, le principali città guelfe del Nord Italia (Milano, Brescia, Piacenza e Bologna) a riattivare la Lega Lombarda per dare guerra all’imperatore, finendo per venire sconfitte nella battaglia di Cortenuova (1237), nella quale Federico, a capo di una coalizione di città ghibelline filoimperiali (Cremona, Parma, Reggio Emilia e Modena in primis) raggiunge lo zenit del proprio successo politico. Tuttavia, successivamente, la fazione guelfa filopapale si prende la rivincita sull’imperatore e lo schieramento ghibellino a Parma (che i guelfi strappano ai ghibellini con un colpo di mano) nel 1247.

Oltre alle questioni di carattere ‘geopolitico’, a motivare il contrasto tra Federico II e il Papa è la visione ‘laica’ e radicalmente innovativa con la quale l’imperatore svevo rafforza il proprio controllo su Baroni e Vescovi, introduce un tessuto burocratico centralizzato e multilingue (greco, arabo e latino), e tutela i saraceni (mussulmani), ammettendoli nell’esercito come propria guardia personale. Figlio del Mediterraneo, Federico apporta altresì un tratto di discontinuità coi precedenti imperatori ottenendo la consegna di Gerusalemme per mezzo di un accordo diplomatico, e non di una Crociata.

Denominato dai contemporanei Stupor Mundi et Immutator Mirabilis, Federico si circonda di letterati e scienziati cristiani, bizantini, arabi ed ebrei presso la Corte di Palermo, ove ama dedicarsi allo studio, e nella quale la Scuola Siciliana importa la tradizione poetica provenzale, dando avvio allo sviluppo della lingua e della letteratura italiana.

Considerato sovrano sui generis impegnato nella modernizzazione dei propri possedimenti e nel favorire arti, astronomia, scienza e cultura, Federico viene scomunicato a più riprese, finendo per morire, scomunicato, nella sua amata Puglia (ove aveva trasferito il centro burocratico del Sacro Romano Impero).

Federico II e la sua corte in miniatura

Forse per via della scomunica ricevuta prima della morte, Dante colloca Federico II nell’Inferno, nel Canto X, fra le tombe della città di Dite, ove risiedono gli epicurei. A confermare la presenza del “secondo Federico” è Farinata degli Uberti, il principale esponente della fazione ghibellina di Firenze nel primo Duecento:

E già ’l maestro mio mi richiamava; 

per ch’i’ pregai lo spirto più avaccio 

che mi dicesse chi con lu’ istava.        117

Dissemi: «Qui con più di mille giaccio: 

qua dentro è ’l secondo Federico, 

e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio». 120

Più tardi nel Poema, nel XIII Canto dell’Inferno, Federico II è però descritto come “degno di onore” da Pier della Vigna, il segretario personale dell’imperatore svevo, depositario dei suoi più importanti segreti, che si suicida dopo che Stupor Mundi, sospettandolo di tradimento, lo fa accecare e imprigionare.

L’animo mio, La meretrice che mai da l’ospizio 

di Cesare non torse li occhi putti, 

morte comune e de le corti vizio,            66

infiammò contra me li animi tutti; 

e li ’nfiammati infiammar sì Augusto, 

che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti.                                                              69

per disdegnoso gusto, 

credendo col morir fuggir disdegno, 

ingiusto fece me contra me giusto.           72

Per le nove radici d’esto legno 

vi giuro che già mai non ruppi fede 

al mio segnor, che fu d’onor sì degno.                                                           75

Federico II appare altresì nel Purgatorio, nel Canto XVI, in occasione del quale Marco Lombardo, personaggio ‘misterioso’ a cui Dante affida il suo pensiero filosofico e politico, per giunta nel Canto centrale du tutta la Commedia, considera Stupor Mundi come il sovrano la cui sconfitta ha dato avvio al declino di quei valori sociali e culturali propri delle corti.

In sul paese ch’Adice e Po riga, 

solea valore e cortesia trovarsi, 

prima che Federigo avesse briga;          117

Infine, l’ultima menzione di Federico II nella Commedia ha luogo nel I Cielo del Paradiso, quello della Luna, nel quale, nel Canto III, Dante, collocando Costanza d’Altavilla tra i Beati, presenta Stupor Mundi come l'”ultima possanza”.

Quest’è la luce de la gran Costanza 

che del secondo vento di Soave 

generò ‘l terzo e l’ultima possanza».      120

La presenza di Federico II nella Commedia tra i dannati stride con il giudizio finale che progressivamente nel corso dell’opera, l’imperatore svevo finisce per ottenere, passando dall’essere ‘epicureo’ a ‘persona degna di onore’ nell’Inferno, per poi venire considerato l’ultimo baluardo della cultura delle corti nel Nord Italia nel Purgatorio, e finire per essere rappresentato come ‘l’ultima grandezza imperiale’ nel Paradiso.

Secondo diverse interpretazioni, Dante, che a più riprese nella Commedia invita i lettori ad andare oltre alle apparenze, intende celebrare, esaltare, quando non apertamente sostenere Federico come l’ultimo baluardo della cultura cortese, trobadorica e provenzale in Nord Italia prima del sopravvento dell’Inquisizione, e del conseguente clima di ‘terrore culturale’ da essa instaurato.

Altresì, Dante sembra serbare simpatia ed ammirazione nei confronti di quello Stupor Mundi che, nel De Vulgari Eloquentia, descrive, con connotazione ampiamente positiva, come promotore della lingua e letteratura volgare per mezzo dello sviluppo della Scuola Siciliana.

Manfredi

A confermare la connotazione positiva che Dante conferisce alla casata di Svevia è la maniera nella quale il Poeta rappresenta nella Commedia re Manfredi. Figlio di Federico II e Bianca Lancia, Manfredi è continuatore della politica del padre. Assicurata la fedeltà delle truppe saracene, Manfredi sconfigge a ripetizione l’esercito Pontificio, ottenendo la corona di Sicilia nel 1258. Nel Nord Italia, Manfredi sostiene con vigore il partito ghibellino, portando la fazione imperiale a battere i guelfi nella Battaglia di Montaperti (1260) e, di conseguenza, a sancire il predominio dei Ghibellini su Toscana e Lombardia.

Scominicato anch’egli a più riprese, viene infine sconfitto, ed ucciso, nella Battaglia di Benevento (1266) per mano di Carlo I d’Angiò, fratello del re di Francia a cui papa Urbano IV, con l’appoggio dei banchieri toscani, offrì la corona di Sicilia.

Dante colloca Manfredi nel Purgatorio tra i contumaci, nel Canto III, e lo introduce come anima capace di salvarsi per essersi pentita in punto di morte. Manfredi è presentato come incarnazione dell’ideale di nobiltà, “biondo, bello e di gentile aspetto”. Altresì, Dante fa presentare Manfredi come nipote di Costanza, e non come figlio di Federico II.

Io mi volsi ver lui e guardail fiso: 

biondo era e bello e di gentile aspetto, 

ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.                                        108

Quand’io mi fui umilmente disdetto 

d’averlo visto mai, el disse: «Or vedi»; 

e mostrommi una piaga a sommo ‘l petto.                                               111

Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi, 

nepote di Costanza imperadrice; 

ond’io ti priego che, quando tu riedi,                                               114

vadi a mia bella figlia, genitrice 

de l’onor di Cicilia e d’Aragona, 

e dichi ‘l vero a lei, s’altro si dice. 117

Per mezzo di tale presentazione, secondo le interpretazioni più accreditate, Dante intende da un lato sottolineare la grandezza morale di Costanza d’Altavilla. Dall’altro, ignorandone solo in apparenza il padre, la presentazione di Manfredi per via matrilineare sarebbe una apoteosi indiretta di Federico II, che il Poeta inserisce nella Commedia a supporto della sua opinione altamente positiva nei confronti di Stupor Mundi e della casata di Svevia in generale.

Incoronazione di Manfredi re
Stupor Mundi davvero ‘dannato’?

A ulteriore conferma dell’aura di positività che Dante intende conferire agli svevi, degno di nota è anche il modo in cui Dante presenta Federico I Barbarossa. Il nonno di Federico II, noto per la sconfitta subita contro i comuni della Lega Lombarda a Legnano, è menzionato nella IV Cornice del Purgatorio, nel Canto XVIII, quello degli accidiosi, dall’abate di San Zeno come “buono”.

Io fui abate in San Zeno a Verona 

sotto lo ‘mperio del buon Barbarossa, 

di cui dolente ancor Milan ragiona.              120

La connotazione positiva con la quale Dante presenta Federico II e la casata di Svevia nella Commedia è dunque in linea col pensiero politico che il Poeta esprime nel Monarchia e ribadisce, per voce di Marco Lombardo, nel Canto XVI del Purgatorio.

L’imperatore, considerato un attore politico necessario a garantire la stabilità e l’ordine politico in un’Italia dilaniata da conflitti contorti e continui tra fazioni e città, deve essere responsabile per il rispetto delle leggi.

Nell’esercitare tale funzione, l’imperatore, secondo la visione del Poeta, deve governare in armonia col Papato, al quale, invece, spetta il compito di guidare gli uomini alla virtù.

Federico II di Svevia, per mezzo del suo impegno culturale e politico, sembra dunque rappresentare quell’ideale di guida politica capace di stabilizzare la situazione politica italiana che Dante non cesserà di cercare nel corso della sua attività letteraria e filosofica.