Scontri a Gerusalemme, il culmine di una pulizia etnica

Gli sfratti a Sheikh Jarrah

Tutto nasce il 16 febbraio 2021 quando la Corte distrettuale di Gerusalemme decide che sei famiglie palestinesi residenti a Sheikh Jarrah devono lasciare le proprie case entro il 2 maggio a favore dell’ingresso di coloni sionisti. Può sembrare irrilevante, ma la rivendicazione delle case e dei terreni a Sheikh Jarrah risale addirittura al 1956, quando 28 famiglie di profughi palestinesi, sfollati dalle città di Haifa e Yafa otto anni prima, si stabiliscono in quell’area.

La Giordania, che a quell’epoca amministrava la Cisgiordania, in accordo con l’Unrwa, costruisce loro case a Sheikh Jarrah. Come da accordo, loro avrebbero rinunciato al loro status di “rifugiato” e, dopo tre anni di residenza, avrebbero ricevuto gli atti fondiari.

Nel 1967 l’entità sionista occupa la Cisgiordania e i sionisti rivendicano quei terreni, sostenendo che, prima del 1948, appartenessero ai loro avi. Secondo una legge israeliana, difatti, gli israeliani possono rivendicare i terreni dei loro avi, cosa che non è assolutamente concessa ai palestinesi. In seguito a ciò, le famiglie palestinesi si sono appellate alla Corte Suprema israeliana, che il 6 maggio avrebbe dovuto prendere una decisione al riguardo.

L’udienza però è stata spostata al 10 maggio, giorno in cui si festeggia il Jerusalem Day, ovvero l’occupazione di Gerusalemme da parte israeliana iniziata nel 1967 con l’annessione illegale di Gerusalemme Est, dove si trova il complesso della Moschea di Al-Aqsa, durante la guerra arabo-israeliana; e proseguita nel 1980 con l’annessione dell’intera città. Azione mai riconosciuta dalla comunità internazionale. Dal 2 maggio gli abitanti di Sheikh Jarrah sono assediati da soldati e coloni. E cercano di resistere contro la pulizia etnica e contro l’espropriazione illegale delle loro case.

Sheikh Jarrah, una goccia che ha fatto traboccare il vaso

In un evento in Marocco, Khaled Meshaal, capo dell’ufficio politico di Hamas per la diaspora, ha descritto lo sfollamento da parte delle autorità israeliane delle famiglie palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah come «pulizia etnica», secondo quanto riferito dall’Agenzia Anadolu.

Sebbene la resistenza del popolo palestinese continui nel quotidiano, subendo ogni giorno occupazione illegale, sfratti, pulizia etnica, militarizzazione, sradicamento di ulivi, demolizione delle proprie case, razzismo, suprematismo bianco ashkenazita e lo stigma tout court del “terrorista arabo con la kefiah”, questo fatto è la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Soprattutto al culmine di un periodo che ha visto di seguito: l’Accordo del Secolo di Trump, molteplici patti di normalizzazione tra Israele e alcuni Paesi arabi e, con la crisi sanitaria da Covid-19, l’aumento drastico della militarizzazione, dell’occupazione e dell’ebraicizzazione dei quartieri.

Anche se non hanno fatto notizia, già da venerdì scorso, con l’inizio delle proteste, più di 290 palestinesi sono stati feriti dalle Forze di Occupazione Israeliane (Iof) a Gerusalemme solo per aver protestato in solidarietà con i residenti del quartiere di Sheikh Jarrah. D’altronde recenti tentativi di sgomberi di famiglie palestinesi, come dichiarato dai vice-sindaci di Gerusalemme, fanno parte della strategia di Israele per consolidare la sua “identità ebraica”, coerente con la razzistissima Legge dello Stato-Nazione ebraico.

In tutto ciò, venerdì il portavoce dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (Ohchr), Rupert Colville, ha affermato in un comunicato stampa ufficiale che gli sfratti di Sheikh Jarrah, se messi in atto, violerebbero gli obblighi di Israele ai sensi del diritto internazionale.

Foto di Younes Arar, da Facebook
Ministro Al-Maliki: «Israele vuole ebraicizzare Gerusalemme»

Il ministro palestinese degli Affari Esteri e degli Espatriati, Riyad al-Maliki, già domenica aveva chiesto agli ambasciatori della Palestina di avviare un’azione congiunta con le loro controparti giordane nei diversi Paesi in cui sono ospitati, con l’obiettivo di raggiungere i responsabili delle decisioni, l’opinione pubblica ed i parlamenti per informarli sull’escalation coloniale israeliana a Gerusalemme e «per fermare immediatamente la sua aggressione e le violazioni sistematiche del diritto internazionale e […] umanitario […] contro i palestinesi che vivono nella Gerusalemme occupata».

Israele continua a utilizzare il riconoscimento, da parte dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, di Gerusalemme come capitale di Israele per imporre una divisione della Moschea di Al-Aqsa, il terzo luogo di culto più sacro per l’Islam.

Esortando la comunità internazionale a imporre sanzioni contro Israele, Al-Maliki ha aggiunto: «Tutte le fondamenta dello Stato occupante lavorano all’interno di un sistema che mira a ebraicizzare la città, abolire il suo carattere arabo, islamico e cristiano, alterandone così i suoi monumenti e la sua storia […]».

10 maggio: repressione coloniale e continua profanazione di Al-Aqsa

Centinaia di palestinesi a partire da venerdì sono scesi in piazza non solo per celebrare la fine del Ramadan ma anche per rivendicare quella che ritengono una ingiustizia, soprattutto se lo sfratto nei quartieri di Silwan di Al Bustan e Batin al Hawa serve a far posto a un presunto sito turistico ispirato alla Bibbia, “King David Park”.

Due giorni fa infatti l’Idf è entrato nella Moschea di Al-Aqsa sparando sui fedeli e facendo del luogo sacro un campo di battaglia. Mentre la Spianata delle Moschee andava a fuoco, in piazza vi erano orde di coloni israeliani integralisti che festeggiavano come se fosse una conquista. D’altronde la Spianata delle Moschee è un luogo interamente sacro ai musulmani a tal punto che al sito si può accedere attraverso undici entrate, dieci delle quali sono riservate ai musulmani, ma che quotidianamente vengono violate dai coloni israeliani che si divertono a profanare i luoghi sacri e ad organizzare banchetti.

Secondo il comunicato stampa della Mezzaluna Rossa palestinese, «da lunedì mattina fino all’inizio di martedì, il numero dei feriti è stato di 520» a causa delle continue violenze della polizia israeliana nella moschea di al-Aqsa e in altre aree nella Città Vecchia di Gerusalemme.

11 maggio: inizia l’Operazione “Guardiano delle Mura”

Tutto nasce quindi dalle violenze coloniali israeliane ad Al-Aqsa e dai bombardamenti di Tel Aviv sulle case residenziali a Gaza. Il lancio di razzi da parte di Hamas è iniziato lunedì, dopo l’ultimatum di domenica che la resistenza palestinese aveva indirizzato alle Israeli Defence Force, rispetto a quanto stava accadendo alla Moschea Al Aqsa.

Sebbene tutti i giornali e siti occidentali si siano ostinati a trasmettere Israele come vittima dei razzi di Hamas, in pochi hanno spiegato che i missili lanciati da Gaza vanno a frantumarsi contro il sistema di difesa aerea di Israele “Iron Dome”, ovvero lo scudo protettivo israeliano che copre tutto il territorio, intercettando i razzi lanciati dalla Striscia di Gaza.

Si è parlato dei 132 (La Repubblica), dei 150 (Open.online), dei «più di 200” (Il Fatto Quotidiano) o addirittura, come hanno affermato martedì le Forze di Occupazione Israeliane, «1.050» razzi da Gaza che hanno raggiunto persino aree da Tel Aviv, a nord, a Beersheba, a sud. In realtà sono stati 6 i razzi qassam lanciati da Hamas verso le città di Ashkelon e Ashdod che hanno provocato danni: 2 morti. Israele ha «risposto» colpendo oltre 140 “obiettivi” militari nell’enclave palestinese e, come controffensiva ai bombardamenti di Tel Aviv, la resistenza palestinese ha lanciato una quarantina di missili Grad, riportando un ferito grave.

Quella che può sembrare una controffensiva israeliana è in realtà l’Operazione “Guardiano delle Mura”, così è stata chiamata dall’Idf che, per adesso, ha portato a circa una cinquantina di morti – di cui 9 bambini – e circa 300 feriti durante i bombardamenti israeliani a Gaza. Si tratta dell’operazione militare che ha registrato il numero più elevato di vittime palestinesi in poche ore dal 2014, durante l’Operazione “Margine Protettivo”.

Foto di Younes Arar, da Facebook

Ma le violenze sistematiche israeliane non sono finite. Martedì mattina, un aereo da guerra israeliano ha nuovamente bombardato un condominio di 8 piani vicino alla Moschea al-Susi, nel campo profughi di Ash-Shati, a nord-ovest di Gaza, uccidendo una donna di 57 anni e altri due, compreso suo figlio. Martedì sera, gli aerei da guerra israeliani hanno ridotto in macerie il complesso residenziale di Hanadi, nella città di Gaza. Nel mirino dei droni israeliani anche la Torre di 12 piani nella parte occidentale di Gaza, ritenuta la sede informale di Hamas. Sempre nella giornata di martedì, gli aerei da guerra israeliani hanno bombardato diverse case e appartamenti in varie zone della città di Gaza, causando molte vittime e distruzione.

Ad essere bombardate sono state anche due fabbriche e un’azienda, durante gli attacchi aerei sulla Striscia di Gaza in corso per il secondo giorno consecutivo. A darne notizia è il ministero palestinese dell’Economia Nazionale dichiarando, in un comunicato, la distruzione della fabbrica di ghiaccio Abu Asr, nel quartiere di Zaytoun, la fabbrica di Abu Al Khair, a est di Jabalia, e l’azienda di ceramiche Hamada, tutte nella città di Gaza.

12 maggio: altri 100 bombardamenti aerei israeliani su Gaza

I bombardamenti, dopo tre giorni, sembrano non finire. Secondo quanto riportato da Gaza-Quds Press, stamattina aerei da guerra israeliani hanno lanciato 100 attacchi su varie aree della Striscia di Gaza, distruggendo tutte le stazioni di polizia e di agenzia stampa. I bombardamenti si sono concentrati in modo particolare sulla Città di Gaza e su Khan Younis. Secondo Iyad al-Buzm, il portavoce del ministero degli Interni a Gaza, in un comunicato stampa, gli attacchi hanno colpito tutte le stazioni di polizia, del governo, delle istituzioni palestinesi, oltre a diversi siti della resistenza.

Attacchi aerei hanno distrutto anche un edificio residenziale di 8 piani mentre la Torre Jawhara, che ospita numerosi uffici e agenzie di stampa palestinesi, arabe e internazionali, è stata presa di mira con 7 missili che ne hanno distrutto una grande parte. Diversi appartamenti sono stati bombardati nel più grande complesso residenziale di Gaza, la Torre Al-Susi, a ovest della Città di Gaza, che comprende decine di appartamenti.

Ashraf Al Qidra, portavoce del ministero della Salute palestinese a Gaza, ha affermato che gli attacchi nei quartieri residenziali espone più della metà della popolazione della Striscia di Gaza, compresi i bambini e le donne, a uno stato di panico con pericolose ripercussioni psicologiche, a causa del suono spaventoso delle incursioni aeree e successive esplosioni, delle scene di distruzione e delle vittime della continua aggressione israeliana.

Ha riferito che, nei due giorni di bombardamenti, 35 palestinesi, tra cui 12 bambini e 3 donne, sono stati uccisi, mentre altri 233 sono rimasti feriti.

Le politiche israeliane nella città occupata di Gerusalemme hanno causato lo scoppio dell’attuale situazione di conflitto nella Striscia di Gaza, iniziato lunedì scorso.

Leggi anche Hannoun (Api): «L’emergenza sanitaria in Palestina dura da 70 anni»