Thomas Sankara, il “Che Guevara d’Africa” tradito dal suo braccio destro

L’ex presidente del Burkina Faso Blaise Compaoré sarà processato in contumacia per l’assassinio del suo predecessore, Thomas Sankara, leader panafricanista ucciso nel 1987. Compaoré, ex amico di Sankara, è rimasto al potere per 27 anni, ma ha sempre negato il coinvolgimento nell’omicidio. Ora invece il tribunale militare di Ouagadougou lo chiama esplicitamente in causa insieme ad altre 13 persone, accusate di attentato alla sicurezza dello Stato, concorso in omicidio e occultamento di cadavere. Compaoré si trova in esilio in Costa d’Avorio dal 2014. Ma chi era Thomas Sankara?

Il “Che Guevara d’Africa”

Morì crivellato di pallottole, tradito dal suo amico e braccio destro, che ne prese subito il posto. E con lui morì la rivoluzione, interrotta bruscamente. Thomas Sankara, il “Che Guevara d’Africa”, aveva solo 37 anni quando venne ucciso da un gruppo di militari che rovesciarono il suo regime in Burkina Faso.

Nei quattro anni in cui guidò il Paese – tra il 1983, quando prese il potere con il supporto di gran parte della popolazione, e il 1987 – Sankara, già capitano dell’esercito, lottò contro l’imperialismo e il neocolonialismo, ergendosi a leader di spessore internazionale. Pur ispirato dalle teorie marxiste, il “presidente ribelle” schierò l’allora Alto Volta (il vecchio nome dell’attuale Burkina Faso) tra i “Non allineati” nel contesto della Guerra Fredda. Il suo obiettivo era la vera indipendenza, ottenuta solo di facciata, per porre fine alla «dominazione economica e culturale» da parte delle potenze straniere, Francia in primis (leggi anche Algeria, le bombe francesi fanno ancora male).

Imponendo a sé e alla classe dirigente voltaica uno stile di vita sobrio, Sankara riformò profondamente quello che era uno dei Paesi più poveri del mondo, migliorando le condizioni di vita di tanti suoi concittadini: ne sono esempio le campagne di vaccinazione per le malattie mortali comuni e per l’alfabetizzazione, ma anche l’attenzione all’ambiente e al ruolo delle donne in una società altamente patriarcale.

Ma gli interventi più scomodi del governo rivoluzionario furono nella politica economica, volta a raggiungere l’autosufficienza, contrastando le politiche di sviluppo neoliberiste imposte dalle istituzioni finanziarie internazionali, ritenute «criminali» e «assassine». Non a caso, forse, l’omicidio di Sankara – che a livello internazionale si era attirato parecchie antipatie – giunse pochi mesi dopo il suo celebre discorso di Addis Abeba, quando annunciò al mondo la sua ferma intenzione di non pagare il debito estero, esortando gli altri Paesi africani a fare altrettanto. Un appello che rimase inascoltato (leggi anche Patrice Lumumba, il sogno infranto di un altro Congo).

Il contesto: dall’Alto Volta al Burkina Faso
Il Burkina Faso, denominato Alto Volta fino al 1984

Incastonata nell’Africa subsahariana occidentale e senza sbocchi sul mare, l’Alto Volta era una colonia che rivestiva scarso interesse economico per la madrepatria Francia, che la sfruttava come bacino di reclutamento di manodopera sia per le piantagioni dei vicini Mali e Costa d’Avorio sia a fini militari. Dei sette milioni di abitanti, più di sei erano contadini, con un’aspettativa media di vita di 44 anni e con un tasso di analfabetismo che sfiorava il 100%.

Attenuatasi la politica coloniale assimilazionista, che aveva imposto la lingua francese e i valori occidentali, la repubblica ottenne l’indipendenza nel 1960. Da lì, un susseguirsi di colpi di Stato senza reali cambiamenti per le masse popolari, fino alla rivoluzione guidata da Sankara e altri ufficiali progressisti, che un anno dopo denominarono lo Stato “Burkina Faso” (nelle lingue locali “il Paese degli uomini integri”), desiderosi di «decolonizzare la mentalità burkinabé».

L’ascesa di un leader: chi era Sankara

Nato a Yako il 21 dicembre 1949, Thomas Isidore Noël Sankara ebbe la fortuna di studiare, frequentando il liceo e l’accademia militare. Giovane brillante e dotato di carisma, tra le fila dell’esercito si distinse nel corso della guerra con il Mali. Nel 1981 accettò l’incarico di segretario di Stato per l’Informazione nel governo di Saye Zerbo, ma si dimise dopo solo due mesi denunciando gli abusi del regime e gli atti di corruzione e per questo venne arrestato.

Con il cambio di regime, al governo salì una coalizione formata da militari che il 10 gennaio 1983 lo nominò primo ministro. In tale veste, nel marzo dello stesso anno, in occasione della 7a Conferenza dei Paesi non allineati a Nuova Delhi, Sankara aderì al Movimento terzista di cui facevano parte, tra gli altri, la Jugoslavia di Tito e l’Egitto di Nasser, con l’apprezzamento del líder cubano Fidel Castro.

Viaggiando da primo ministro, visitò l’Algeria, la Corea del Nord, Cuba e la Libia, dove incontrò il colonnello Muammar Gheddafi, con il quale strinse accordi di cooperazione economica e militare. In molti, anche nel suo governo, non gradirono tale avvicinamento. Eppure, Sankara non trattenne le sue idee rivoluzionarie, espresse nei suoi discorsi ai cittadini, durante i quali attaccava duramente i «nemici del popolo», interni ed esterni, puntando il dito contro chi si era arricchito alle spalle della maggioranza estremamente povera e contro gli «oppressori dei Paesi del terzo mondo».

La misura era colma: consumatasi definitivamente la rottura con l’ala conservatrice dell’esercito, il 17 maggio vennero arrestati i maggiori esponenti della fazione progressista, tra cui, di nuovo, Sankara.

La rivoluzione

Pochi giorni dopo, le strade della capitale Ouagadougou si riempirono di manifestanti che chiedevano la scarcerazione di Sankara, scandendo slogan anti-imperialisti e in particolare contro la Francia, ritenuta responsabile del putsch. Sankara venne rilasciato il 30 maggio.

Poco dopo, il 4 agosto 1983, i militari progressisti guidati dallo stesso Sankara, con il sostegno di buona parte della popolazione, presero il palazzo presidenziale, la radiotelevisione e il quartier generale della gendarmeria, arrestando il presidente Ouèdraogo. La sera stessa, dopo aver istituito il Cnr (Consiglio nazionale della rivoluzione), il leader si rivolse al popolo dell’Alto Volta, annunciando il cambio di regime: il comizio si chiuse con la frase «La patria o la morte, vinceremo!», che riecheggiava le parole del Che nel trionfo dei barbudos.

Nei mesi successivi, abolite le elezioni, vennero istituiti i Cdr (Consigli di difesa della rivoluzione), con l’obiettivo di coinvolgere e mobilitare i cittadini. «Il popolo deve esprimersi ogni giorno, non solo alle elezioni», sosteneva Sankara, sorretto dai partiti di sinistra, cui chiese, senza successo, di fondersi in un unico partito rivoluzionario. Tra le prime misure intraprese dal Cnr, presieduto dallo stesso Sankara – che vietò il culto della personalità, proibendo l’esposizione dei suoi ritratti negli uffici pubblici -, la riduzione dei costi della politica, la limitazione delle differenze salariali e la lotta alla corruzione.

Le riforme del Cnr

A livello sanitario la situazione era drammatica, con tassi di mortalità infantile da capogiro: aumentarono medici e farmacie e milioni di bambini (anche provenienti da Mali e Niger) vennero vaccinati. In tema di istruzione vennero aggiunte le lingue autoctone tra i banchi e alfabetizzati 30mila adulti in due mesi. Il tasso di scolarizzazione passò dal 16% al 32% in tre anni ma mille insegnanti vennero sostituiti, non senza proteste.

Particolare attenzione venne posta dal Cnr, inoltre, allo sviluppo sostenibile e all’emancipazione femminile, considerata una «necessità per il trionfo della rivoluzione». La donna, infatti, per Sankara era «doppiamente sfruttata: dall’imperialismo e dall’uomo». Le donne salirono così ai vertici dell’amministrazione, mentre i matrimoni forzati e la poligamia vennero aboliti. Ma non solo: il Codice della famiglia istituito da Sankara stabilì la parità tra uomo e donna e riconobbe alle donne il diritto di chiedere il divorzio, oltre a combattere la mutilazione genitale femminile.

Tutto, nell’azione politica del Cnr, seguiva i dettami della rivoluzione, compresi la cultura e lo sport, promossi come strumento di liberazione popolare. Nel 1984 il Burkina Faso retto da Sankara boicottò le Olimpiadi di Los Angeles in segno di protesta contro la partecipazione del regime razzista del Sudafrica.

La politica economica e la sconfitta sul debito

Senza bandire l’impresa privata, considerata positiva se non in contrasto con la dignità e la sovranità del Paese, la linea economica di Sankara fu contraddistinta dalla volontà di rendersi indipendente dai dettami del Fondo monetario internazionale, che vincolavano gli aiuti economici ai Paesi in via di sviluppo alla realizzazione di ricette economiche neoliberiste. In questo senso, gli investimenti pubblici triplicarono e tutti i terreni agricoli e le riserve minerarie vennero nazionalizzati. Pur perseguendo uno sviluppo pianificato, però, Sankara non riuscì a recidere il legame con i programmi di aggiustamento strutturale del Fmi – riassumibili nella formula “meno Stato e più mercato” – e con il franco Cfa, la moneta stampata in Francia considerata «un’arma per la dominazione degli africani».

Ma il più grande ostacolo allo sviluppo sognato da Sankara era il debito estero, che per il Burkina Faso nel 1987 ammontava a 794 milioni di dollari. In un celebre discorso tenuto davanti ai membri dell’Oua (Organizzazione per l’unità africana) il 29 luglio 1987 ad Addis Abeba, il leader burkinabé gelò i creditori internazionali, sostenendo l’immoralità del debito e proponendo un fronte comune degli Stati africani per rifiutarsi congiuntamente di estinguerlo.

«Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo, noi non possiamo rimborsarlo perché non siamo responsabili – queste le parole di Sankara -. Il debito nella sua forma attuale (…) è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono estranee e che ognuno di noi diventi uno schiavo finanziario di chi ha investito da noi». Presagendo le possibili conseguenze delle sue affermazioni, Sankara aggiunse: «Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza!».

Omicidio di Sankara e tramonto della rivoluzione

Il pomeriggio del 15 ottobre 1987 Sankara venne freddato insieme a 12 tra collaboratori e uomini della scorta. Alla moglie – che si rifugiò in Mali con i due figli – fu negato di provvedere alla sepoltura, avvenuta senza alcuna celebrazione. Al posto di Sankara si insediò il suo secondo, il compagno d’armi Blaise Compaoré, che, a capo del nuovo Fronte popolare, screditò apertamente la figura del leader rivoluzionario.

Blaise Compaoré

Senza più mettere in discussione i rapporti di forza con le potenze straniere, Compaoré è rimasto al governo del Paese fino al 31 ottobre 2014, «rettificando» la rivoluzione con una serie di riforme in netto contrasto con il regime di Sankara. E per ben 27 anni ha cercato di nascondere la verità sulla sua morte violenta, di cui ancora non si conoscono mandanti ed esecutori.

Su richiesta della moglie Mariam, il Consiglio per i diritti dell’uomo dell’Onu nel 2006 ha chiesto al Burkina Faso di far luce sull’assassinio di Sankara con un giudizio imparziale, salvo fare retromarcia il 21 aprile 2007, quando, in netto contrasto con la disposizione precedente, il Consiglio stesso ha chiuso il dossier senza altre inchieste.

Ora il tribunale militare di Ouagadougou ha accusato formalmente Compaoré e altre 13 persone, tra cui Gilbert Diendéré, ex braccio destro di Compaoré e generale militare, che all’epoca del colpo di stato era a capo del reggimento di sicurezza presidenziale d’élite. Nel 2016 le autorità ivoriane hanno negato l’estradizione di Compaoré, in esilio in Costa d’Avorio. Chissà se la morte di Thomas Sankara, dopo quasi 34 anni, potrà avere giustizia.

(Si ringrazia per la collaborazione Giacomo Stocco)

Leggi anche Congo amaro