Burkina Faso, non c’è più il “Paese degli uomini integri”

Rivoluzione tradita

Thomas Sankara (qui la sua storia) viene assassinato il 15 ottobre 1987. A partire da questa data il Burkina Faso è nelle mani di Blaise Compaoré, ex braccio destro del presidente del “Paese degli uomini integri”. Il colpo di stato ha avuto l’appoggio di forze interne (borghesia, sindacati, chefferie) e di forze esterne (Francia e USA).

L’ascesa al potere di Compaoré ha dato al Burkina Faso una stabilità politica forzata, a discapito dell’autonomia economica, cancellando tutti gli sforzi fatti e le conquiste ottenute negli anni dal 1983 al 1987. Nell’operazione di rectification de la révolution Compaoré elimina gli ostacoli alla propria leadership unica, attraverso l’annullamento delle opposizioni da un lato e la riconciliazione con le forze sociali messe in ombra dalla rivoluzione dall’altro (insegnanti, burocrati, sindacalisti, capi-villaggio).

Un murales per Thomas Sankara

Nasce così il partito unico O.D.P. – M.T. (Organisation pour la démocratie populaireMouvement du Travail), in cui confluiscono una miriade di forze politiche solo nominalmente di sinistra, che abbracciano la visione di Compaoré della Françafrique, una rete di alleanze politico-economiche tra la Francia e vari Paesi africani. Va riconosciuta a Compaoré una abilità politica camaleontica che gli consente di sopravvivere istituzionalmente per lungo tempo, sia all’interno sia all’estero.

Blaise Compaoré
Nuova Costituzione e relazioni internazionali

Il varo di una nuova Costituzione, con un regime semipresidenziale e un Parlamento bicamerale, gli permise di prolungare per molti anni la propria autorità politica, realizzando una stabilità nel Burkina Faso utile a far affluire capitali stranieri. L’abilità politica di Compaoré, comunque pur sempre a capo di un regime autoritario e corrotto, lo rilanciò nei momenti di crisi come “mediatore internazionale” durante le crisi di Paesi esteri (Guinea, Mali, Togo, Costa d’Avorio), consentendogli di evitare l’isolamento del Burkina dal resto del mondo, sfruttando dapprima il sostegno libico di Gheddafi e quello della Francia e degli USA in seguito (leggi anche Patrice Lumumba, il sogno infranto di un altro Congo).

Le relazioni con la Francia non hanno conosciuto momenti di crisi, non così quelle con gli Stati Uniti, poco propensi ad accettare i rapporti con personaggi quali Charles Taylor e Gheddafi.

Nonostante tutto però l’azione di svendita del proprio Paese da parte di Compaoré non si è fermata nemmeno di fronte alla concessione di basi militari al duopolio franco-statunitense (leggi anche Algeria, le bombe francesi fanno ancora male).

Il giornalista carbonizzato nel Paese al collasso

Sul fronte interno la repressione non ha risparmiato nessuno: cittadini, politici locali, giornalisti. Emblematico il caso di Norbert Zongo, direttore del settimanale L’Indépendant, rinvenuto carbonizzato insieme a tre colleghi nella capitale. Zongo era minacciato da tempo per via di una inchiesta giornalistica riguardante la morte sospetta dell’autista del fratello di Compaoré, che rischiava di danneggiare l’immagine del presidente stesso.

Nel 2014 però il Burkina Faso è al collasso sociale ed economico. È un paese sottosviluppato: il reddito pro capite annuo è di 634 dollari, il 46% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, la mortalità infantile tocca il 75% (leggi anche Congo amaro).

L’oro d’Occidente

Paradossale situazione per una terra che si è scoperta essere ricca di giacimenti d’oro. Il misero Burkina Faso è il quarto produttore di oro in Africa, ma le 605 concessioni minerarie sono appannaggio di stati occidentali: USA, GB, Australia, Sudafrica, Russia, Canada.

La rivoluzione del 2014

Una nuova rivolta scoppia il 30 ottobre 2014, a fronte del tentativo di Compaoré di manipolare ancora una volta la Costituzione, al fine di ottenere una ulteriore possibilità di rielezione alla presidenza. Migliaia di manifestanti assaltano il Parlamento, incendiandolo. La sede della televisione di Stato viene occupata e i programmi interrotti. Viene decretato lo stato di emergenza e il governo propone una mediazione con i rivoltosi. Nonostante la promessa di rinuncia a una nuova candidatura da parte di Compaoré, i leaders dell’insurrezione chiedono le sue immediate dimissioni.

La “scopa” del rapper

Al successo della rivoluzione contro il regime di Compaoré ha contribuito il movimento Balai Citoyen (letteralmente Scopa Cittadina), di cui uno dei leader è il rapper Smockey (Serge Martin Bambara). La “scopa” è un chiaro simbolo di “pulizia”, esercitata attraverso uno strumento che al tempo stesso consente di non sporcarsi, mantenendo quindi la trasparenza delle proprie azioni.

Serge Martin Bambara, in arte ‘Smockey’
Le dimissioni di Compaoré

Nella rivoluzione del 2014 la Chiesa del Burkina Faso si schiera apertamente contro il tentativo di Compaoré di perpetuarsi attraverso la modifica dell’articolo 37 della Costituzione, tanto che monsignor Paul Ouedraogo presiederà la Commissione di Riconciliazione nazionale durante la fase di transizione dopo la fuga di Compaoré.

Il presidente tenta di giocare un’ultima carta: si propone alla guida del Paese per un anno, a capo di un governo di transizione. Il tentativo fallisce. Compaoré annuncia le proprie dimissioni.

In quelle ore due personaggi rivendicano la presidenza durante la transizione. Honoré Traoré, capo dell’esercito e Isaac Zida, vice comandante della Guardia presidenziale. Il Paese è a rischio di nuovi scontri tra fazioni militari. Il generale Traoré fa un passo indietro, conscio del pericolo che il Burkina Faso sta correndo e il tenente colonnello Zida è nominato a capo del governo di transizione, incaricato di traghettare il Paese verso nuove elezioni. Varie forze politiche richiedono che il potere sia concesso ai civili, ottenendo che nel governo entri Michel Kafando, rappresentante del Burkina Faso alle Nazioni Unite fino al 2011.

E la fuga. Con lo zampino della Francia

Il 31 ottobre 2014, Blaise Compaoré fugge in Costa d’Avorio, con l’aiuto della Francia.

La data per le elezioni è fissata per l’11 ottobre 2015. Ma i rigurgiti antidemocratici non sono ancora terminati. Alcuni membri della Guardia presidenziale, fedelissimi di Compaoré, tentano un colpo di stato.

Ancora caos

Il 16 settembre 2015 Gilbert Diendéré, braccio destro di Compaoré e Comandante della Guardia presidenziale, prende in ostaggio Kafando e Zida, oltre a due ministri. Annuncia alla televisione e alla radio di aver assunto il comando del Paese. Le reazioni sono veementi, sia in Burkina Faso sia all’estero (il golpe è condannato da Francia, ONU, Unione Europea e Unione Africana).

Gilbert Diendéré, tra gli accusati per l’omicidio di Thomas Sankara

Il 18 settembre viene liberato Kafando, insieme ai due ministri, mentre Zida è trattenuto agli arresti domiciliari. Nella notte tra il 21 ed il 22 settembre, in pieno caos, le forze armate del Burkina Faso irrompono a Ouagadougou, chiedendo la resa dei 1.300 soldati della Guardia presidenziale coinvolti nel golpe. Zida viene liberato. Diendéré mantiene in un primo momento le proprie funzioni, per evitare ulteriori situazioni di conflitto tra esercito e Guardia presidenziale, ma successivamente viene arrestato, dopo aver tentato di rifugiarsi presso l’ambasciata vaticana. Il corpo della Guardia presidenziale viene sciolto.

Il nuovo presidente

Finalmente, il 29 novembre 2015 hanno luogo le elezioni. Risulta eletto presidente un ex primo ministro di Compaoré, Roch Marc Christian Kaboré. Il nuovo presidente è un economista, ex fedelissimo di Compaoré. Staccatosi dal C.D.P. nel 2014, a causa del dissenso sulla modifica all’articolo 37 della Costituzione, ha fondato l’M.P.P. (Movimento Popolare per il Progresso) con il quale si è presentato alle elezioni del 2015.

Rassegnati, riottosi e opportunisti: la società burkinabé per il sociologo

Dopo il 2014, secondo il sociologo Sawadogo, la società burkinabé si è strutturata in tre gruppi. Il primo è quello dei rassegnati, che accettano passivamente che al potere ci siano personaggi compromessi col precedente regime. Per costoro la lotta è fallita e il loro atteggiamento politico è di completa rinuncia. Il secondo è rappresentato dai Balai Citoyen, che rigettano il nuovo potere, colpevole di non aver effettuato significativi cambiamenti. Essi attendono che si faccia luce sui crimini economici e di sangue commessi ma sono scarsamente propositivi in tema di riforme. Infine il terzo gruppo, quello della società civile politicizzata, fondamentalmente opportunista, fondata su organizzazioni legate ai partiti, tanto di maggioranza quanto di opposizione, che mantengono le loro posizioni sociali consolidate.

La comparsa dei gruppi jihadisti islamici

Sempre secondo Sawadogo, una problematica attuale del Burkina Faso, oltre a quelle eterne di tipo economico, è costituita della non sicurezza dello Stato, preda degli attacchi interni di gruppi di integralisti islamici, come avviene ormai in vari stati africani, innescando quindi un ulteriore quadro politico pericoloso, sconosciuto all’epoca della rivoluzione di Sankara.

I partiti e movimenti islamici hanno un target molto variegato, penetrando nei quadri di polizia, esercito, insegnanti, religiosi, cittadini stranieri, oltre che in attività economiche come quella mineraria, il che rende difficile decifrarne gli effettivi scopi articolati in guerra di religione, destabilizzazione e presa di potere o puro e semplice banditismo.

Da ricordare, per esempio, l’attacco agli Hotel Splendid e Ybi e al ristorante Cappuccino di Ouagadougou, con 30 morti di diciotto diverse nazionalità. O ancora l’assalto al ristorante Aziz Istanbul, sempre nella capitale, con 19 morti, azione rivendicata dal gruppo jihadista Burkinabé Ansarul Islam, a base etnica Peul, fondato nel novembre 2016 da Malam Ibrahim Dicko.

Il pretesto religioso ha però facile gioco su una popolazione sfinita da elementi molto più di natura terrena: povertà, disoccupazione, emergenze sanitarie, senso di abbandono da parte delle autorità.

In Burkina Faso la malaria provoca oltre 4.000 morti l’anno, il PIL pro capite supera di poco i 700 dollari. Con queste premesse i gruppi armati offrono addirittura servizi di welfare che vanno a supplire le lacune dell’amministrazione pubblica, conquistando inevitabilmente consensi.

I gruppi jihadisti hanno approfittato in particolare dell’insoddisfazione economica e socio-politica dei fulani (per lo più pastori) per reclutare, dal 2016, adepti all’interno della loro comunità.

Trattative in salsa burkinabé

L’arrivo dell’attivismo jihadista in tempi relativamente tardivi nel Burkina Faso, rispetto ad altri Stati della regione subsahariana, potrebbe forse essere imputato al presidente Compaoré e al suo luogotenente Gilbert Dienderé, capo della disciolta Guardia presidenziale. Infatti, secondo alcune fonti interne burkinabé, l’immunità del Paese al fenomeno jihadista sarebbe stata vergognosamente garantita da accordi informali tra Stato e milizie islamiche che, in cambio di libertà di reclutamento e stanziamento nelle aree settentrionali del Paese, non compivano attentati nel Burkina.

Con la caduta di Compaoré non solo il patto è venuto meno, ma esiste la possibilità, purtroppo non fantascientifica, che i lealisti dell’ex presidente abbiano supportato i terroristi islamici per indebolire il nuovo governo. L’azione di contrasto all’instabilità si caratterizza per iniziative sia locali sia internazionali, spesso con caratteristiche di estemporaneità che ne limitano l’efficacia.

Il G5 del Sahel

Nel 2014 Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger hanno dato vita al G5 du Sahel, un’alleanza militare nata per reprimere i gruppi terroristici di ispirazione islamista come Boko Haram, il Movimento per l’Unicità e il Jihad nell’Africa occidentale.

Nel 2013 la stessa Francia, già intervenuta in Mali, divenuto centro logistico del terrorismo islamico nel sub-Sahara, ha avviato l’operazione anti-terrorismo Barkhane, destinata a riorganizzare il presidio militare già presente nei territori dello stesso Mali, Mauritania, Burkina Faso, Niger e Ciad. L’azione delle autorità burkinabè non è però stata finora in grado di limitare la diffusione e la violenza dei gruppi jihadisti.

La scelta di opporre al terrorismo la forza militare del Burkina ha il grande difetto intrinseco di non considerare la inadeguatezza proprio delle forze armate del Paese, carenti in risorse sia umane che materiali e strutturali: basti pensare che l’esercito è completamente assente dal 30% del territorio.

Il 7 novembre 2019, il presidente Kaboré ha invitato alla mobilitazione di Volontari per la difesa di Faso per combattere i terroristi, con ciò intrinsecamente testimoniando l’incapacità delle forze militari a garantire la sicurezza interna.

Burkina Faso oggi: le lancette sono tornate indietro

Al di là del problema del terrorismo islamico, fenomeno di recente insorgenza, oggi comunque il Burkina Faso è costretto a convivere con difficoltà, ormai purtroppo cronicizzate, che riportano a tempi antecedenti la rivoluzione del 1983.

La situazione politica è stabilizzata, almeno se posta a confronto a epoche più antiche: il Burkina Faso è una repubblica semipresidenziale, dove il capo dello Stato, in carica per cinque anni, detiene il potere esecutivo e ha il potere di nominare il primo ministro.

Il parlamento è composto da 111 membri, mentre il potere giudiziario ha il suo vertice nella Corte suprema che ha sede a Ouagadougou.

Oggi i burkinabé sono più di venti milioni: il 50% di fede islamica, il 30% di fede cristiana, il 20% di fede animista. Purtroppo l’aspettativa di vita è ancora molto bassa, 50 anni, e l’età media degli abitanti è di soli 17 anni. L’istruzione è obbligatoria per i ragazzi tra i 7 ed i 13 anni. Nonostante ciò e nonostante sia gratuita, il tasso di alfabetizzazione è molto basso: nel 2005 era pari al 36%. Esistono quattro università: due nella capitale Ouagadougou e altre due a Bobo-Dioulasso e a Koudougou.

Aiuti internazionali, cavalli di Troia

Ancora oggi il Paese è uno tra i più poveri al mondo, e gran parte della sua economia è sostenuta dai cavalli di Troia degli aiuti internazionali, attraverso i quali le potenze occidentali esercitano tutt’ora la loro influenza. La disoccupazione è un fenomeno drammatico e spinge molti burkinabé a cercare sostentamento all’estero, ad esempio in Costa d’Avorio, dove vivono stabilmente tre milioni di burkinabé. Tali emigrati, loro malgrado, spesso sono causa di attriti con i Paesi africani che li ospitano.

Economia e risorse: ridono solo in Occidente

L’industria è a uno stadio embrionale e lavora solo per i fabbisogni interni, le risorse minerarie (manganese, uranio, vanadio, diamanti e minerali auriferi) sono controllate dalle potenze occidentali e l’agricoltura è una attività di pura sussistenza.

Esistono pressoché esclusivamente aziende familiari, dedite alla coltivazione di piccoli appezzamenti di terreno, dove si producono miglio, sorgo, mais, riso, fagioli, arachidi, sesamo, canna da zucchero e cotone. L’irrigazione interessa meno dell’uno per cento della superficie coltivata, sulla quale si pratica in genere un’agricoltura estensiva, che a medio termine impoverisce il terreno, rendendolo meno fertile.

Nota positiva è l’attività dell’allevamento del bestiame, che può contare su un patrimonio zootecnico non disprezzabile, specie per quanto riguarda i caprini, i bovini, gli ovini e i volatili. Nell’economia del Paese alimenta, dopo il cotone, la principale corrente d’esportazione.

Il Burkina Faso dispone di una rete ferroviaria complessiva di soli 600 chilometri. Dei 12.000 chilometri di strade, solo il 16% è asfaltata.

L’unico aeroporto internazionale si trova nella capitale Ouagadougou.