Il perché delle proteste dei rider

Dall’inizio dell’anno, sono stati mesi intensi per i rider. Prima con la sentenza del tribunale di Bologna contro l’algoritmo di Deliveroo, poi il nuovo contratto di Assodelivery, la fine del commissariamento di Uber Eats, la maxi inchiesta di Milano contro il caporalato, i rider subordinati di Just Eat, infine con il protocollo tra Assodelivery e i sindacati contro il caporalato. Si arriva così a ieri, 26 marzo, giornata di sciopero e mobilitazione nazionale dei rider. Dopo tutti i passi importanti, verrebbe da chiedersi perché protestare. Il motivo è che non è tutto oro quel che luccica e, soprattutto, che la condizione dei rider non è migliorata.

La sentenza e il contratto con Ugl

Andando in ordine, la sentenza del Tribunale di Bologna, che ordinava la cessazione dell’uso dell’algoritmo di prenotazione, capace di discriminare i rider sindacalizzati o malati, non ha portato a nessun vero cambiamento perché Deliveroo ha dichiarato che non è più presente nel nuovo sistema. A quel nuovo sistema si lega un nuovo contratto, firmato dall’Unione Generale del Lavoro e imposto ai rider da Assodelivery, l’organizzazione delle piattaforme del food delivery presieduta da Matteo Sarzana, Ceo di Deliveroo. Era stato presentato come la rivoluzione, come la fine dei problemi dei rider, garantendo loro una paga di 10 euro l’ora. Non è così, perché i 10 euro sono ripartiti unicamente sui minuti di consegna calcolati dall’algoritmo, non quelli effettivi (che possono essere più lunghi per il traffico, strade in salita, semafori, eccetera) e non si tiene conto dell’attesa dell’ordine o del tragitto verso il ristorante.  

Gli indispensabili dimenticati

«Noi continuiamo a lavorare in condizione di precarietà, ricattabilità e sfruttamento. Nella pandemia, siamo stati definiti lavoratori indispensabili, quello del food delivery un servizio essenziale, però continuiamo a lavorare a cottimo – ha detto Tommaso Falchi, portavoce di Riders Union Bologna e membro di Riders per i diritti, durante una conferenza stampa il 25 marzo – Per questo rifiutiamo il contratto truffa firmato da Assodelivery e Ugl, che continua a considerarci lavoratori autonomi, imprenditori di noi stessi. Noi chiediamo, come detto dal procuratore Greco durante la maxi inchiesta di Milano, di essere definiti dei lavoratori e avere tutele piene e diritti del lavoro dipendente. Non siamo schiavi».

L’inchiesta di Milano

Grazie alla maxi-inchiesta di Milano, basandosi sul Decreto sulla tutela del lavoro e sulle crisi aziendali, la procura ha richiesto alle aziende di Assodelivery di assumere 60 mila rider in tutta Italia e le ha sanzionate con un’ammenda da 733 milioni, constatando che le condizioni dei ciclofattorini fossero quelle di lavoratori vincolati, ben diversi da quelle degli autonomi. Il punto è che non ci sono stati ancora cambiamenti, nessuna comunicazione è pervenuta ai rider. Le aziende hanno fatto ricorso e non sembrano intenzionate a cedere.

Rider che protestano per lo sfruttamento, Roma, 26 marzo
Una svolta unilaterale

Riguardo alla svolta di Just Eat, che ha deciso a livello globale di trasformare i suoi rider in subordinati, c’è da dire che è un esperimento iniziato solo in alcune città in Italia e si tratta di un regolamento interno all’azienda, non di un contratto collettivo. È quindi in corso una trattativa con i sindacati per evitare che Just Eat imponga le sue condizioni unilateralmente.

Protocollo d’intesa o brandwashing?

Sul protocollo d’intesa contro il caporalato, novità di tre giorni fa, l’assessore al Lavoro di Bologna, Marco Lombardo, nonché fautore della Carta dei Rider, si è espresso positivamente, presentandolo come un elemento importante per evitare lo sfruttamento dei fattorini, specialmente di quelli stranieri. Ha però ricordato che non basta, che deve portare ad azioni concrete, che non sia solo un’operazione di brandwashing da parte di Assodelivery. Come lo è stato il contratto firmato con Ugl, per intenderci.

Ha detto lo stesso Antonello Badessi, portavoce di Riders Union Roma, che durante la manifestazione di ieri è stato intervistato da Ventuno: «Come riders per i diritti eravamo al tavolo con il ministro Orlando. Questo protocollo è un segnale importante. Se porta ad un nuovo contratto per il lavoro, è un conto. Se invece le imprese intendono autoassolversi da ogni altra responsabilità, è un altro discorso».

Antonello Badessi, Riders Union Roma, durante la manifestazione del 26 marzo
Più fattorini, meno corse

Inoltre, negli ultimi mesi, i rider stanno lamentandosi sui social di ricevere sempre meno lavoro, sempre meno consegne, e che la causa sia collegata ad un aumento del numero dei fattorini. Lo abbiamo chiesto a Badessi, che ha confermato la situazione: «Aprire ad altri rider, per giustificare anche giuridicamente che a loro non possa essere applicato un contratto subordinato, dicono che i rider possono lavorare quando e come vogliono, accettare e rifiutare a piacimento le consegne. Quindi con più rider a disposizione ci sono più possibilità che vengano accettate le consegne, ma anche meno lavoro per i singoli ed è meno retribuito. Ora la paga più frequente per un singolo ordine è di 3,70 euro lordi, ma può capitare anche 1,80 €. Il nuovo contratto è una fotografia del cottimo, non prevede nulla di nuovo tranne la copertura Inail, che è un controsenso, perché se fossimo davvero lavoratori autonomi dovremmo pagarla noi».

Le bufale

In ultimo, le fake news. Ci sono stati diversi casi in cui giornali affermati raccontavano storie fin troppo positive della vita dei rider, in faccia alle rivendicazioni e agli incidenti. Il più celebre è stato quello del Messaggero ripreso da la Stampa, in cui si narravano le eroiche gesta di un commercialista che, non potendo esercitare a causa del covid, pedalava per 100 km al giorno e guadagnava 4000 euro al mese. Ovviamente era tutto falso.

Ecco, questi sono i motivi per cui i rider sono scesi in piazza, ieri,  in più di venti città italiane, bloccando il servizio e chiedendo solidarietà ai consumatori, di supportarli e di non ordinare nulla dalle applicazioni. Perché le condizioni non sono ancora migliorate e, fanno sapere, non smetteranno di protestare finché non otterranno dei risultati concreti.