Maniero (M5s): «È Crimi che va espulso. Draghi riporterà l’austerità»

«Votare contro il governo Draghi è stata la cosa più 5 stelle che abbia fatto negli ultimi anni». A rivendicarlo, rispondendo alle domande di Ventuno, è Alvise Maniero, deputato espulso dal gruppo del M5s per il No alla fiducia («Sono stato espulso dall’Udeur», commenta ironicamente richiamando il partito di Clemente Mastella). Trentacinque anni, veneziano, Maniero è stato uno dei primi sindaci del M5s, diventando primo cittadino di Mira a 26 anni. Oggi, da deputato del Gruppo misto, siede nella commissione Finanze e nella commissione d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario. Da tempo in rotta con il Movimento, Maniero difende la scelta dei “ribelli”, attaccando i vertici del M5s e la decisione di sostenere un governo che, passato il ciclone della pandemia, «seguirà la linea dell’austerità», tagliando la spesa pubblica, le pensioni e gli stipendi.

Maniero, è abbattuto per l’espulsione?

«No, anzi. Ho il dovere di lottare e difendere quello che in coscienza trovo giusto e che pubblicamente ci siamo impegnati a fare. Sono sereno. Per me votare contro il governo Draghi mettendoci la faccia è stata la cosa più 5 stelle che abbia fatto negli ultimi anni. Dopodiché se Crimi mi espelle dall’Udeur… Io non mi sento fuori dal M5s, per me è Crimi che è da espellere!»

Da un po’ non si sentiva in linea con i vertici…

«Purtroppo sì e ho dovuto manifestarlo con diversi miei voti».

Per esempio quello contro il Mes, lo scorso 9 dicembre.

«Esatto. Quella è una riforma gravissima, è stato un errore storico. Quello sul Mes è un trattato internazionale che non verrà più modificato, a meno che tutti i 19 Paesi contraenti non siano d’accordo. È stato stretto un ulteriore cappio dei “Paesi frugali” contro l’Italia. Il M5s l’ha votato compattamente, ma neppure Forza Italia l’ha votato…»

Dopo quel voto lei è stato espulso dalla presidenza della delegazione parlamentare al Consiglio d’Europa.

«Sì, sono stato espulso dal M5s perché ho difeso il nostro programma, per cui in 12 milioni ci avevano votato: lì c’è scritto “smantellamento del Mes”. La nostra linea era di contrastare l’austerità e la visione secondo cui le crisi si combattono tagliando».

Di fatto, però, l’Italia ancora non ha attivato il Mes.

«Perché è completamente inutile. Il Mes è stato creato per concedere assistenza finanziaria condizionata agli Stati che hanno perso o stanno per perdere accesso al mercato. È un prestito, che di fatto porta al commissariamento degli stati a gravità crescente. Il livello massimo ahimè l’abbiamo visto per la Grecia: svendita di assets strategici, tagli alle pensioni, agli stipendi, alla spesa pubblica, all’istruzione e alla sanità».

Per lei questo è un tema centrale. Ma era anche uno degli argomenti di scontro con Italia Viva nel governo Conte. Ora però sembra che nemmeno Draghi ne voglia parlare…

«Il Mes non serve a salvare gli stati dal mercato ma a imporre regole fiscali, ovvero sulla spesa dello Stato. Quelle regole oggi sono incarnate da Mario Draghi: per questo ora non si parla più del Mes. Lui rappresenta la garanzia presso le cancellerie europee e gli Stati Uniti che l’Italia seguirà la linea del rientro dall’enorme debito esploso fisiologicamente a causa della pandemia. Questo non vuol dire solo oculatezza nella spesa, ma che saremo legati alle assurde regole europee che da più di 20 anni, senza essere state cambiate, concorrono alla nostra stagnazione economica. E che ci hanno portato a tagliare più del 30% del valore degli investimenti di Stato».

In un suo post su Facebook ha richiamato la lettera Draghi-Trichet del 2011. Per lei è ancora quello Mario Draghi?

«Quella è diventata l’agenda politica. Tutti ricordiamo il governo Monti. Taglio delle pensioni, del costo del lavoro. Anche Renzi ha fatto la sua parte con il Jobs Act, che noi abbiamo in parte contrastato con il Decreto Dignità».

Pensa che il governo Draghi si porrà in continuità rispetto alla linea dell’austerità?

«Non immediatamente, perché se venissero meno gli ammortizzatori sociali nel bel mezzo di una pandemia ci sarebbero problemi di ordine pubblico. Ma passato l’occhio del ciclone, quella sarà la linea: non crescita economica, ma salvataggio della parte del nostro sistema produttivo (soprattutto quello del Nordest) che è integrato  sempre di più nella catena del valore tedesca. Questo ci viene chiesto nero su bianco dall’Europa da anni».

Ora però c’è il Recovery Fund: si tratta non di tagliare ma di spendere.

«Ogni anno spendiamo circa 400 miliardi in titoli di Stato. Nel 2020, vista l’emergenza, ne abbiamo spesi 550. Il Recovery Fund dovrebbe dare 209 miliardi, di cui una parte da restituire, in sei-sette anni. Noi, quindi, nel 2020 abbiamo fatto il Recovery Fund senza Recovery Fund, perché la Bce ha garantito tassi di interesse sostenibili e sta comprando tutto, come necessario durante una pandemia. La cosa drammatica è che il governo Conte, pochi giorni prima di cadere, ha diffuso lo studio, auto-definito “ottimistico”, sull’impatto economico del Recovery Fund sulla crescita italiana. Studio in cui il profilo di crescita stimato è dato non tanto dal denaro che arriva, ma dall’effetto di crescita che avranno le riforme. Le riforme sono le pre-condizioni per avere il Recovery Fund: tra queste ci sono il completamento della riforma delle pensioni, il taglio della spesa pubblica etc. Siamo sempre lì! E la crescita prevista è di mezzo punto di PIL all’anno: nel 2020 abbiamo perso 9,9 punti di PIL…»

Come valuta l’operato di Giuseppe Conte? Pensa che abbia provato a riequilibrare la situazione, dopo anni di tagli, o che non abbia portato grandi cambiamenti rispetto al ‘pilota automatico’?

«È stato molto bravo per quello che poteva. Ma quello che poteva era molto poco. Innanzitutto perché la Germania impone regole che la Francia non contrasta, anzi. Basta vedere l’ulteriore acquisto di una nostra banca da parte di una banca francese. Inoltre perché con la maggioranza che lo reggeva  era già un miracolo fare quel che ha fatto».

Tornando alle espulsioni, il collegio dei probiviri ha aperto la procedura. Lei contesta questa scelta?

«Dei tre probiviri, una è la ministra Dadone, che forse è un po’ in conflitto di interessi… Ma a questo penseranno i nostri avvocati».

Grillo stesso ha spinto in maniera determinante per entrare nel governo Draghi.

«Ha detto che Draghi è un grillino. Non sono assolutamente d’accordo, a meno che lui per grillino non intenda d’accordo con Beppe Grillo…»

Contesta il quesito su Rousseau, come Barbara Lezzi?

«Gli iscritti non sono sprovveduti e avranno valutato con attenzione, ma quel quesito presentava o la vita o la morte: non era una domanda! Poi è stata pure smentita nei fatti, perché quel super ministero non c’è».

Ora però la vera domanda è: cosa farete?

«Io continuo a portare avanti gli impegni del M5s. Se mi viene impedito di farlo nel gruppo del M5s lo farò da attivista del M5s che è stato buttato nel Gruppo misto».

Si parla di un nuovo gruppo, anche grazie al simbolo di Italia dei Valori. Diversi parlamentari espulsi hanno scritto sui social “L’Alternativa c’è!”. Lei cosa sa di questo?

«Gli espulsi, tra Camera e Senato, sono talmente tanti che possono formare un nuovo gruppo, anche se al Senato serve un simbolo già presentato. Che si stia ragionando come extrema ratio di un veicolo tecnico per portare avanti il lavoro del Movimento mi sembra giusto da valutare. Anche se noi vorremmo restare nel Movimento. Chi controlla quel simbolo ha un’altra idea».

Quindi ora farete ricorso?

«Io lo farò sicuramente».

Da un lato sembra che vogliate restare nel M5s per “riprendervelo”. Dall’altro però sembra ci siano praterie per fare una cosa nuova.

«Questo purtroppo è vero, ma perché il M5s si è spostato da dove era. Milioni di persone che non votavano si sono avvicinate al M5s. Ora torneranno a non votare o voteranno altro. E hanno ragione».

Alessandro Di Battista potrebbe essere il leader di un nuovo partito se ci fosse una scissione?

«Ho grande ammirazione per Alessandro Di Battista che, con una delicatezza estrema, ha cercato di puntualizzare da fuori che alcune cose stavano prendendo una piega preoccupante. Ma dei miei voti io non rispondo né a Di Battista né a Grillo. Rispondo ai cittadini e alla mia coscienza».

Però se le cose dovessero precipitare, anche con l’espulsione dal M5s, non è da escludere una scissione.

«Contano i fatti e i risultati per i cittadini: questo diceva il M5s e questo mi interessa. Io ho ricevuto offerte da quasi tutti i partiti, ma non ho alcun interesse ad accettare. Il mio impegno è rispettare la nostra agenda. Dove lo posso fare, lo farò. Io mi sento nel Movimento molto più di Crimi».

Max Bugani, figura storica del M5s,  intervistato sul Fatto Quotidiano ha detto che a far fuori Conte sono stati anche pezzi del Movimento stesso. Non solo Italia Viva. Lei che ne pensa?

«Il capo politico Vito Crimi, che non penso prenda tutte le decisioni da solo, aveva detto “Non voteremo Draghi: per noi non c’è alternativa al Conte-ter”. Non  è andata così, quindi evidentemente non erano i vertici del M5s a vedere Conte come una priorità. Magari le priorità erano altre. Sono sicuro che fossero i risultati da portare ai cittadini…».