Il sogno Davis di Volandri, 20 anni dopo l’incubo Zimbabwe
Vent’anni fa, suo malgrado, fu uno dei protagonisti in campo del punto più basso raggiunto dall’Italia del tennis: la retrocessione in Serie C di Coppa Davis (la competizione per eccellenza tra nazionali della racchetta), patita nel lontano 2003 per mano dello Zimbabwe. Oggi invece, da capitano non giocatore della Nazionale, può godersi la conquista della vetta più alta possibile immaginabile: ossia la vittoria di quell’Insalatiera d’argento alzata l’ultima volta in Cile, nell’iconica finale del 1976, dal quartetto Panatta-Bertolucci-Barazzutti-Zugarelli allenato da Pietrangeli. A questa impresa epica, centrata dagli dei italiani della racchetta 47 anni fa in casa del dittatore Pinochet, entrata anche per questo nel nostro immaginario collettivo, tutt’oggi vengono giustamente dedicati libri e documentari: ma forse un domani anche Filippo Volandri (nella foto principale, tratta dalla pagina Facebook Supertennis) meriterà più di una citazione in qualche testo sacro del tennis. Di certo pure il 42enne livornese, subentrato alla guida dell’Italia di Davis nel 2021 dopo il ventennio da capitano di Barazzutti, è entrato a piedi uniti nella storia. Un successo sublimato domenica 26 novembre dal 2-0 di Malaga con cui l’Italia trascinata da Jannik Sinner – lui sì, numero uno del mondo in pectore, si candida ad entrare entro qualche anno nell’olimpo – assieme ai suoi ‘gregari’ Arnaldi, Sonego, Musetti e Bolelli ha nettamente battuto in finale l’Australia, un giorno dopo l’impresa “della vita” in semifinale contro la Serbia del numero uno al mondo di oggi Djokovic. Parliamo del coronamento alla crescita esponenziale riscontrata negli ultimi anni in Italia dal tennis. Che all’inizio dei Duemila, quando Volandri muoveva i primi passi ad alti livelli, era lontano anni luce dai lustrini e dai fasti attuali.
Sì, perché Filo piombò come manna dal cielo nell’agone italico della racchetta nel mezzo di un impressionante buco generazionale, tra la generazione dei Gaudenzi e dei Nargiso che firmò l’ultimo squillo nel 1998 (la finale di Davis persa a Milano contro la Svezia, l’ultima disputata prima di quella del 2023) e quella dei Fognini, dei Seppi e dei Bolelli (quest’ultimo trait d’union ideale tra il vecchio e il nuovo mondo tennistico) che cominciò ad alzare la voce qualche anno più tardi. Volandri raggiunse il suo best ranking (25 al mondo e allora si gridò al miracolo, negli anni successivi almeno sette tennisti italiani supereranno quella posizione) nel suo anno di grazia 2007 (quando batté Federer agli Internazionali di Roma, primo dai tempi di Panatta, per poi fermarsi in semifinale) e per anni rappresentò l’ancora di salvezza del nostro movimento (fu il numero uno azzurro tra il 2003 e il 2006). Ma vent’anni fa neppure il suo pregevole rovescio ad una mano salvò le sorti dell’Italia di Davis (manifestazione oggi distante anni luce da quella di allora, ma ci arriviamo), che nell’insolita (tennisticamente parlando) cornice di Harare, capitale dello Zimbabwe, perse 3-2 (ma il ko fu più perentorio di quanto non dica il punteggio) lo spareggio che sancì la prima storica retrocessione in Serie C (il labronico finì nettamente ko nel suo singolare contro il carneade Ullyet) e colò a picco.
Da lì in poi, però, il nostro tennis riuscì lentamente, ma inesorabilmente, a risalire. Prima individualmente che di squadra: tanto che, dopo l’immediato ma faticoso ritorno in B nel 2004, bisognò aspettare fino al 2011 (ancora contro il Cile) per far di nuovo capolino nel primo gruppo mondiale. Dopo quel tracollo Volandri giocò altre 11 partite di Davis (vincendone 8) fino al 2006, per poi lasciare il posto alle nuove (e in seguito nuovissime) generazioni, che tirarono avanti la carretta per lunghi anni con onesti risultati (vedi la semifinale persa contro la Svizzera di Federer nel 2014). Poi ad inizio 2021, nel pieno della pandemia, ecco tornare Filo nel prestigioso ruolo da capitano non giocatore. Nel frattempo, però, la Coppa Davis dal 2019 era stata rivoluzionata, per ragioni principalmente economiche: da una competizione da giocare in un weekend al meglio delle cinque partite (tutte, a loro volta, al meglio dei cinque set), con la possibilità della nazione ospitante di scegliere la superficie preferita e di godere del supporto del proprio pubblico, ad una sorta di mondiale calcistico, caratterizzato da una fase finale a otto squadre da disputare sempre in Spagna sul cemento indoor di Malaga (evidente l’influenza di Gerard Piqué, l’ex calciatore spagnolo del Barcellona deus ex machina del gruppo Kosmos e artefice della milionaria operazione di rinnovamento dell’Insalatiera, in una collaborazione – terminata ad inizio 2023 – con la Federazione Internazionale di Tennis).
Certo, il fascino, la tradizione e il romanticismo della manifestazione nata nel 1900, e che tante emozioni ci ha regalato, finirono in soffitta: ma Volandri si trovò tra le mani un’Italia a prova di bomba in questa superficie. Forte di due punte di diamante, prima Berrettini e poi Sinner, e di diversi ottimi interpreti, pur con l’annoso problema di costruire un doppio efficace al posto dello storico duo Fognini-Bolelli (oggi risolto grazie a Sinner-Sonego?). Così, dopo un paio di edizioni (2021 e 2022) a prendere la mira (e, nel caso di Volandri, pure tante critiche da stampa e social, vedi la scelta dei giocatori da schierare o la gestione del ‘caso’ della mancata convocazione di un simbolo di Davis come Fognini ad inizio 2023), venendo eliminati tra mille rimpianti ai quarti e in semifinale (da Croazia e Canada), ecco quest’anno spuntare finalmente le condizioni per sognare. Quali? Un Sinner in formato deluxe reduce dal secondo posto alle Finals di Torino, immarcescibile a Malaga dai quarti di finale con l’Olanda in poi; e prima ancora, nel girone eliminatorio giocato a settembre a Bologna, la solidità di un gruppo privo tra mille polemiche del fuoriclasse altoatesino (e pure dell’infortunato Berrettini) ma ugualmente capace grazie a Sonego, Arnaldi, Musetti e Bolelli di prevalere col fiatone contro Cile (il nostro portafortuna), Canada e Svezia. Ingredienti che promettono di durare a lungo e che, anzi, potrebbero essere rafforzati dall’atteso recupero di Berrettini e dalla consacrazione di Arnaldi (sempre che non fuoriesca qualche altro virgulto dalla nostra ottima cantera tennistica). Tali da consentire potenzialmente all’Italia di aprire uno storico ciclo di Davis. Sempre che la formula non cambi, riabbracciando in parte la tradizione perduta. Ma sempre con Volandri in panchina, of course. E profittando della scomparsa dello Zimbabwe dai palcoscenici tennistici, ora 73esima nel ranking mondiale (mentre noi da pochi giorni, per la prima volta nella storia, siamo primi)…