La Mostra del Cinema di Venezia attraverso gli occhi di chi non c’era

«La situazione dell’aborto nel mondo è sotto gli occhi di tutti. Ho deciso di realizzare questo film perché ero arrabbiata e lo volevo fortemente». Si conclude così, con le parole della vincitrice del Leone d’Oro, la regista Audrey Diwan, premiata per il suo L’événement, la 78esima Mostra del Cinema di Venezia. Come ogni anno, ho seguito l’intera rassegna, non perdendomi nulla, tra interviste, conferenze stampa, recensioni e approfondimenti, ma non vedendo alcun film. È la condizione di chi vorrebbe essere al Lido a snocciolare proiezioni una dopo l’altra, ma è costretto a essere lontano a chilometri di distanza.

L’annosa questione degli accrediti – tutte le persone presenti al Festival ne hanno uno, di diverso tipo in base alla propria professione, e per il pubblico è leggermente più complicato accedere ai film in sala (soprattutto perché i posti esauriscono in fretta e non sempre sono disponibili) – più i costi da gestire quando si è in loco possono rappresentare dei problemi non da poco per un giornalista freelance che non può contare su una testata solida alle spalle. Ed è stato un vero peccato non esserci stata perché quest’edizione verrà ricordata negli annali della Biennale: il record nel numero degli accreditati, ben il 30% in più rispetto al 2020, e di biglietti venduti; cinque film italiani in concorso, come non accadeva dal 1984; una parata di stelle internazionali; film di livello altissimo in tutte le sezioni del Festival e molte pellicole fuori concorso che avrebbero tranquillamente retto una rassegna tutta per loro. Qualche esempio? Dune di Denis Villeneuve e Last Duel di Ridley Scott. O per guardare al cinema italiano – quest’anno in assoluto stato di grazia -, ci sono Ariaferma di Leonardo Di Costanzo e La scuola cattolica di Stefano Mordini.

Giornata tipo di una “assente presente”

Non essere stata lì a vivere quelle frenetiche giornate non mi ha di certo scoraggiata: è come se fossi stata presente, in una sorta di sdoppiamento fisico temporale. Dalla prima fino all’ultima, le mie giornate di “non presenza a Venezia” si sono svolte tutte nel medesimo modo: rassegna stampa mattutina con lettura meticolosa di qualsiasi cosa fosse stata scritta sulla giornata di Festival appena trascorsa, seguita da studio delle recensioni dei film più discussi e visione delle conferenze stampa delle pellicole che sarebbero state presentate quel giorno. Infine, ampia parentesi dedicata al lato più “glamour” (Venezia è anche questo) con un attento esame delle gallerie Instagram e dei giornali online per guardare tutti i look che avevano sfilato in passerella. Di sottofondo l’ascolto del podcast Scoppia Volpi, creato e condotto da due amici, che faceva il punto sulla loro esperienza in Laguna, tra recensioni dei film visti e racconto della loro vita durante la Mostra.

Il Palazzo del Cinema del Lido di Venezia. Foto di Ruggero Tantulli
I film: promossi e bocciati

Una ferrea dieta mediatica che mi esclude da poter dare giudizi con cognizione di causa, ma mi consente di inserirmi, a pieno titolo, nel limbo delle impressioni che, in fondo, sono quelle che ciascuno di noi ha coltivato, da cinefilo o semplice appassionato, ogni volta che in questi giorni ha aperto un giornale o un periodico. Partiamo dai film in concorso. Quelli che hanno oscurato tutti gli altri sono quattro: È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, Qui rido io di Mario Martone, The power of the dog di Jane Campion e Madres paralelas di Pedro Almodovar. A questi si aggiungono due menzioni speciali al Buco di Michelangelo Frammartino e Spencer di Pablo Larrain. Sono piaciuti moltissimo alla critica (le pagelle dei voti comparsi su quotidiani e testate online sono molto alti) e hanno innescato, in noi che attendiamo di vederli in sala, tantissima curiosità, almeno stando a quell’enorme cartina di tornasole rappresentata dai social. Mentre quelli che hanno un po’ deluso sono stati Freaks out di Gabriele Mainetti e America Latina di Fabio e Damiano D’Innocenzo (non tutti. Si annovera su Instagram un entusiasta Gianni Canova, una delle eminenze grigie della critica cinematografica del nostro Paese, parlare con trasporto di questi due film. Qui il link al video).

Nel primo caso, a pesare sul giudizio è stato l’imperdonabile, a quanto pare, ambizione del regista di Lo chiamavano Jeeg Robot: ha volato troppo alto e, come Icaro, si è bruciato le ali al sole. Sarà vero? Lo sapremo solo dopo la sua uscita al cinema il 28 ottobre, ma per ora più che di film non riuscito si parla di film troppo temerario per un regista pressoché esordiente (è al suo secondo lavoro). Come a voler dire: prima c’è da fare tanta gavetta e poi si può arrivare a concepire qualcosa di simile. Mai bruciare le tappe.

Per i gemelli D’Innocenzo, invece, gli entusiasmi iniziali dei critici sono stati spenti da un finale a sorpresa, non troppo apprezzato. Per alcuni, America Latina sarebbe potuto piacere molto al presidente di giuria, Bong Joon-ho, cineasta coreano premiato agli Oscar e al Festival di Cannes con il suo Parasite, e quindi avere ottime possibilità di vittoria, se non fosse stato per il colpo di scena nella parte conclusiva. Giudizi forse troppo categorici, per un film che comunque è stato definito tecnicamente ineccepibile con una trama complessa e ben strutturata. Sicuramente, tra qualche mese, farà discutere anche il grande pubblico.

I premiati

Ma quanto di ciò che è stato appena detto è stato confermato dall’assegnazione dei premi? Più o meno perché la giuria internazionale ci ha regalato qualche sorpresa, a partire dal Leone d’oro per L’événement, assegnato, a detta del presidente, con il parere unanime dei giurati e che tratta di un tema cruciale, l’aborto, nella Francia del ’63 quando era ancora illegale. Passato un po’ in sordina tra i critici, ma premiato tra le lacrime della regista che dimostra che il cinema delle donne rimane purtroppo una minoranza, ma porta in sala storie di primissimo livello. Inaspettata anche la Coppa Volpi, per il migliore attore, a John Arcilla per On the job: the missing 8.

Conferme, invece, per quanto riguarda il Leone d’argento, per la migliore regia, a Jane Campion; il Premio speciale della giuria al Buco di Frammartino, la Coppa Volpi per la migliore attrice a Penelope Crúz per la sua interpretazione in Madres paralelas e il Gran premio della giuria a Paolo Sorrentino.

Da Venezia a Hollywood?

Se quanto successo agli Oscar negli ultimi anni ci ha insegnato qualcosa è che la Mostra del cinema di Venezia è diventata l’anticamera di quello che vedremo a Los Angeles tra qualche mese. Potrei peccare di eccessivo ottimismo ma l’anno incredibile dell’Italia, iniziato con la vittoria dei Måneskin all’Eurovision e proseguito con le vittorie agli Europei di calcio e alle Olimpiadi a Tokio, si potrebbe concludere con una statuetta tutta nostrana: a sette anni di distanza dalla vittoria con La grande bellezza, Sorrentino potrebbe bissare con un altro successo a Hollywood.

Un po’ di rammarico per non aver vissuto tutte queste emozioni in prima persona c’è, ma la bellezza del Festival è anche questa: ti travolge anche se sei lontano, ti coinvolge anche se non sei in sala a guardare i film in concorso e ti emoziona anche se quello che vedi è filtrato dall’occhio patinato di una macchina fotografica o di una telecamera. E, comunque, l’anno prossimo spero di esserci, badge al collo e sacchetto griffato in spalla, di corsa tra una proiezione e l’altra.