Cheney contro Trump, la battaglia che può cambiare il partito Repubblicano

L’elezione americana del 2020 è finita da parecchi mesi e Joe Biden, il nuovo presidente, è in carica da più di cento giorni. Nonostante questa realtà i repubblicani continuano a discutere ed agire con tentativi che non intendono ribaltare l’esito, ma semplicemente perpetuare la narrazione di una falsa realtà, cioè che il presidente legittimo sia Donald Trump. Si tratta di comportamenti aberranti che spingono il Partito Repubblicano verso il completo rifiuto della realtà condivisa.

Riconteggi infiniti

L’ultimo tentativo in questo campo ci viene offerto dalla Stato dell’Arizona, vinto da Biden a novembre con un margine di 11mila voti. Nessun candidato democratico presidenziale vinceva nel Copper State dal 1996 e la sconfitta sarà stata difficile da ingoiare per i repubblicani e per Trump. I risultati sono stati certificati e a causa dei ricorsi dell’ex presidente sono stati soggetti a tre riconteggi.

Nonostante l’ovvia sconfitta di Trump, un ulteriore riconteggio è già in corso, istigato dai leader repubblicani che controllano il Senato statale. Si tratta di una perdita di tempo che da una parte contribuisce a mantenere viva l’illusione di Trump e della sua base, ma che potrebbe allo stesso tempo essere dannosa per il Partito Repubblicano. Il Grand Old Party (Gop) appare sempre più distante dalla realtà perdendo gli elettori indipendenti, indispensabili per vincere le elezioni future e contribuire a governare il Paese.

L’ex presidente si è dichiarato entusiasta dal nuovo riconteggio dicendo che i leader repubblicani dell’Arizona sono “coraggiosi patrioti americani”. Molto meno entusiasta però il segretario dello Stato dell’Arizona, la democratica Kate Hobbs, responsabile delle procedure elettorali, la quale ha asserito che gli individui incaricati del riconteggio non sanno ciò che stanno facendo. La presidente del Senato dell’Arizona, la repubblicana Karen Farm, ha riconosciuto che il nuovo riconteggio non ribalterà il risultato già certificato, ma servirà a pacificare quegli elettori che continuano a credere alle irregolarità.

Questa tranquillità sembra solo di facciata però, poiché l’azienda che dovrà condurre il riconteggio, Cyber Ninja, è guidata da Doug Logan, il quale aveva twittato teorie di complotti sull’elezione del 2020, cancellati nel mese di gennaio. Al momento è difficile prevedere quale risultato emergerà dal riconteggio, ma comunque vada non farà altro che continuare a mettere dubbi sull’elezione del 2020 e persino creare incertezze su quelle future. Il 78 percento dei repubblicani crede ancora che Trump abbia vinto l’elezione.

Repubblicani fedeli e ribelli

Non tutti i repubblicani credono a questa favola. I leader dell’establishment del GOP sono divisi sul come affrontare la situazione. Mitch McConnell, senatore del Kentucky e leader della minoranza al Senato, ha preso le distanze da questa visione alternativa. Per le sue asserzioni realiste si è beccato l’ira di Trump, il quale non ha seppellito il suo linguaggio fatto di attacchi velenosi e volgari. L’ex presidente ha detto che McConnell è “un figlio di…..”. Il leader della minoranza repubblicana alla Camera, Kevin McCarthy, rimane nel campo di Trump nonostante i dubbi che ha paura di mettere alla luce. Liz Cheney, la numero 3 alla Camera, invece, non ha nessun dubbio sul comportamento di Trump e sulla giusta strada del suo partito.

Va ricordato che la Cheney, il cui padre Dick Cheney fu vicepresidente durante l’amministrazione di George W. Bush (2001-09), è stata una dei dieci parlamentari repubblicani alla Camera che hanno votato per l’impeachment di Trump. La Cheney aveva preannunciato il suo voto prima del 6 gennaio, data degli attacchi al Campidoglio e si era beccata anche lei l’ira di Trump. Donald ha dichiarato che quelle come lei “vanno eliminate”. La pressione di metterla da parte nel partito e farle perdere la sua posizione è stata forte, ma la Cheney è riuscita a mantenere il suo ruolo di numero 3 nella leadership repubblicana alla Camera. Durante una riunione del caucus repubblicano è stata infatti confermata dai suoi colleghi, ma con un voto segreto (145 sì, 61 no). Se il voto fosse stato pubblico, la paura per Trump e i suoi incoraggiamenti a sfidare nelle primarie i “ribelli”, avrebbero costretto molti parlamentari a votare contro la Cheney.

Si pensava che la Cheney dopotutto avrebbe seguito la stessa strada di McCarthy, il quale durante l’insurrezione del 6 gennaio aveva aspramente criticato Trump, per poi “riabbracciarlo”. Una strategia per ampliare le possibilità di riconquistare la maggioranza alla Camera nel 2022. La Cheney invece ha tenuto duro e ha dichiarato categoricamente con parole e fatti che non ha nessuna intenzione di riconciliarsi con l’ex presidente, vedendolo fuori dal partito.

Tipicamente, quando un candidato presidenziale perde l’elezione, scompare lentamente e il partito cerca un altro candidato come leader. Questa sarebbe la scelta di Cheney, la quale ha dichiarato l’importanza di “abbandonare il culto della personalità” e “ritornare a essere un partito di idee, di sostanza e di una politica conservatrice”. È questa linea che intende promuovere al ritiro annuale dei parlamentari repubblicani che si terrà a Orlando in Florida, poco lontano dalla residenza di Trump. Il ritiro è sotto la guida di Cheney, la quale non ha invitato l’ex presidente a partecipare.

Trump e le elezioni di Mid Term

Da parte sua Trump ha in programma di nominare un candidato che sfidi la Cheney alle primarie repubblicane nell’elezione del 2022, per bloccare la rielezione alle urne. Nell’establishment repubblicano, però, anche quelli come Lindsey Graham, senatore del South Carolina e grande sostenitore di Trump, hanno contribuito a finanziare la campagna di Cheney, come hanno fatto altri leader del Gop, specialmente la vecchia guardia dei Bush.

Le elezioni di midterm sono tradizionalmente sfavorevoli al presidente in carica. Si crede che i repubblicani potrebbero riconquistare la maggioranza alla Camera e probabilmente anche al Senato. Due fattori però potrebbero ribaltare questa previsione. Il primo è la divisione causata da Trump sulla frode elettorale che potrebbe scoraggiare gli elettori repubblicani a presentarsi alle urne. Si crede che ciò sia successo in Georgia nel 2020, contribuendo alla vittoria dei due senatori democratici. Il secondo è l’economia che nell’ultimo trimestre del 2020 durante la presidenza di Trump era scesa del 10 per cento, ma nel primo trimestre di Biden doveva aumentare del 4,24 percento. Infatti la cifra ha raggiunto il 6,4 per cento sorprendendo gli analisti. Lo stimolo di Biden di 1900 mila miliardi, approvato recentemente, ed altri investimenti che l’attuale presidente ha in programma potrebbero aiutare notevolmente l’economia. Questa situazione spingerebbe gli americani, che spesso votano con la pancia, a confermare la politica dell’attuale presidente e del suo partito, ricompensandoli alle urne.

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