Prof. Caligiuri: «Le guerre oggi si combattono con le informazioni»

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Come si combattono le guerre oggi? In che modo si prepara chi lavorerà nell’Intelligence di domani? L’Italia è pronta tecnologicamente e culturalmente ad affrontare le insidie dei conflitti tra grandi potenze? Sono domande che sorgono spontanee in un periodo storico in cui l’espressione Guerra Fredda torna di attualità. I rapporti tra Russia e Usa sono tornati effettivamente bollenti. In tanti sono stati colpiti dalle dure dichiarazioni del neopresidente americano Joe Biden, che ha accusato il leader russo Vladimir Putin di essere un assassino. A questo quadro, bisogna aggiungere il ruolo di altre superpotenze, come la Cina.

le guerre oggi, Caligiuri
professore Mario Caligiuri

Abbiamo approfondito il tema intervistando il professor Mario Caligiuri, una vera istituzione su questo argomento. All’Università della Calabria ha insegnato Pedagogia della Comunicazione e Intelligence, educazione e sicurezza. Soprattutto è il Presidente della Società Italiana di Intelligence e il Direttore del Master di II livello: Intelligence Lab.

Come si prepara il personale destinato ad occuparsi di intelligence?

«Prima di tutto dando una solida base culturale sul significato della funzione di intelligence, che si distingue da quella di polizia e dalle azioni diplomatiche. L’intelligence svolge un ruolo necessario, connesso all’importanza vitale che assumono oggi le informazioni».

Le informazioni che ruolo hanno secondo lei oggi?

«Nell’era contemporanea si combattono guerre economiche e culturali tra potenze attraverso l’uso delle informazioni».

D’altronde viviamo nell’era dell’informazione…

«Direi più della disinformazione. Abbiamo un eccesso di informazione da un lato e un basso livello di formazione dall’altro. Anche nelle élite del paese le basse competenze, le lacune culturali, portano a non saper gestire le informazioni».

Che conseguenze ha la disinformazione nel quadro dei rapporti internazionali?

«Ormai è evidente che viviamo in un periodo dominato dalla disinformazione, la realtà è da una parte, la percezione dell’opinione pubblica da un’altra. È sfruttando questa situazione che si combattono oggi le guerre tra potenze».

Che ruolo ha l’intelligence dunque rispetto a questo problema?

«Gli operatori di intelligence devono essere in grado di comprendere, interpretare e classificare le informazioni. Così da evitare che informazioni inquinate da mani esterne al nostro Paese possano influenzare il decisore pubblico e condurlo a fare scelte negative per i nostri interessi. In questo quadro si colloca l’attività di spionaggio e controspionaggio».

La tecnologia ha sicuramente contribuito a delineare questo quadro. Ha reso più semplice o più difficile il lavoro dei servizi segreti?

«Ha sconvolto tutto e quindi ha cambiato anche questo mondo. È diventato più facile influenzare l’opinione pubblica degli altri paesi, diffondere fake news. E conseguentemente più difficile difendersi da esse».

Sembra che per esempio i russi siano stati molto bravi negli ultimi anni a sfruttare le nuove possibilità concesse dalla rete…

«I russi nello spionaggio e nella disinformazione sono sempre stati bravi. Da più di un secolo direi. Dai tempi dell’operazione con la quale diedero vita al falso documentale dei ‘Protocolli dei Savi di Sion’, fino alle fake news con cui hanno aiutato l’elezione di Trump. Si sono sempre dimostrati bravissimi in questo campo. Gli Stati Uniti devono reggere oggi l’urto di queste capacità, in un quadro in cui si inserisce anche la competizione con la Cina».

Dunque questi conflitti saranno sempre più duri

«È ovvio, sono destinati ad aumentare».

Con Biden sembra esserci stata una svolta in questo senso. È ricominciata in maniera evidente la Guerra Fredda?

«La svolta è più annunciata che reale. La politica degli Usa e delle superpotenze è stata sempre la stessa, non è mai cambiata e non può cambiare».

Eppure con il crollo del comunismo e la fine del conflitto ideologico, sembrava che la Guerra Fredda fosse destinata a terminare…

«Le guerre sono sempre economiche. Anche il conflitto ideologico tra Usa e Urss, è stata una guerra economica. E oggi questa guerra economica, anche senza l’elemento dello scontro ideologico, continua».

L’Europa che ruolo giocherà?

«Sarebbe auspicabile la nascita di una intelligence europea. Purtroppo però è impossibile. Bisogna, per poter giocare un ruolo, aumentare i contatti e la collaborazione interna tra le varie agenzie dei diversi Paesi».

Come legge lo scandalo di queste ultime settimane, l’ufficiale di Marina Walter Biot che avrebbe venduto segreti Nato ai russi?

«Non mi sorprende. Mi è sembrata una notizia assolutamente normale. È stata un’operazione di spionaggio come ci sono sempre state e sempre ci saranno».

Che ruolo ha l’Italia nello scacchiere internazionale?

«L’Italia fa parte del blocco atlantico. Ovviamente però dobbiamo dialogare con la Russia e i paesi arabi per difendere i nostri interessi nazionali, in particolare per l’approvvigionamento energetico. E dobbiamo tutelare anche i nostri interessi commerciali, dialogando con la Cina».

Rispetto all’accordo siglato con la Cina nell’ambito della Nuova via della seta, molte preoccupazioni sono state espresse da altri paesi della Nato

«Le critiche degli altri paesi sono interessate. Noi dobbiamo, pur rimanendo nell’ambito dell’Alleanza atlantica, difendere i nostri interessi nazionali».

Cosa deve potenziare l’Italia nel campo dell’Intelligence per tenersi al passo con gli altri stati?

«Deve investire nel potenziamento della sicurezza informatica. Proprio nel campo della Cyber security si stanno facendo passi avanti. In particolare con la nomina al vertice del Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) del professor Roberto Baldoni, direttore del centro di ricerca in Cyber Intelligence and Information Security. Il problema è che l’Italia rispetto ad altre potenze investe pochissimo in questo campo, siamo fermi ai 150milioni impegnati dal Governo Renzi».

Ci sono nuovi campi in cui l’Intelligence risulta sempre più importante?

«Nella Golden share per esempio. In questo ambito il governo si riserva di impedire la vendita di quote di aziende strategiche per la sicurezza del paese».

I servizi segreti in Italia hanno avuto una storia particolare nel secondo Novecento. Sono stati oggetto di accuse e guardati con sospetto, in particolare in riferimento ai grandi misteri italiani. Oggi le cose sono cambiate?

«Sicuramente rispetto agli anni passati c’è un maggiore dialogo verso l’esterno, con convegni, iniziative, pubblicazioni, siti informatici di importante valore culturale e scientifico. Ci sono maggiori controlli inoltre. Ovviamente però i rischi connessi alle attività di intelligence sono inevitabili, a causa delle modalità operative tipiche di questi sistemi».

Qual è il rischio più grande che corre l’Italia?

«Oggi è il disagio sociale causato dall’ultima crisi pandemica, che può minare la sicurezza delle istituzioni democratiche».

Le democrazie sembrano più vulnerabili in questo momento storico…

«Il problema dei sistemi di governo è centrale nell’attualità. I sistemi democratici sono in profonda crisi. Quelli autoritari sembrano avvantaggiati. Questo perché la globalizzazione richiede che le decisioni vengano prese velocemente. La democrazia richiede invece dialogo. Il dialogo richiede tempo e quindi rende i paesi democratici più lenti nell’affrontare i gravi problemi contemporanei».

Oggi accanto ai sistemi di spionaggio pubblici, ci sono sistemi privati che raccolgono dati sui cittadini. Cosa preoccupante…

«I maggiori possessori di dati fino a qualche decennio fa erano le agenzie di sicurezza pubbliche, oggi sono i colossi privati del Web».

Un caso particolare degli ultimi anni nel rapporto tra informazione e spionaggio è stata la vicenda di Julian Assange, che con Wikileaks ha diffuso notizie riservate degli Usa. Da una parte è stato considerato un eroe della libera informazione, dall’altro è stato accusato di spionaggio…

«Quella di Assange è stata un’attività di informazione, fatta con tecniche di spionaggio. La finalità era di informare però. Ha diffuso notizie riservate, svelando che gli Stati Uniti, come molti altri paesi, spesso dicono una cosa e ne fanno un’altra».

L’errore è stato quindi degli Usa, avevano documenti riservati non abbastanza protetti?

«I sistemi informatici e anche il Web sono un colabrodo. Anche i documenti più inviolabili sono comunque vulnerabili. Mi ha impressionato la notizia di un bambino che ha twittato dall’account del comando strategico Usa».

Parlando di società della disinformazione, non si può non pensare ai doveri e alle responsabilità dei giornalisti…

«La disinformazione è un dato strutturale della nostra società. Da un lato le aziende e dall’altra gli stati hanno interesse ad utilizzare notizie false per condizionare i cittadini. I giornalisti in questo campo hanno responsabilità enormi, perché spesso negli ultimi anni sono divenuti la cassa di risonanza di interessi politici ed economici particolari».

Cosa dovrebbero fare i giornalisti secondo lei?

«Il loro mestiere. Controllare chi comanda. I giornali sono i cani dai guardia della democrazia, ultimamente a mio parere, rischiano di essere però molto fedeli al padrone».

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