Il whisky torbato contro il cambiamento climatico

Whisky

E se nel mondo che verrà, si spera a emissioni zero, andasse perso anche qualcosa di bello? A nessuno mancheranno i gas di scarico delle automobili e delle fabbriche ma forse un buon whisky torbato, sì. Lo scorso 25 gennaio la Scotch Whiskey Association, l’associazione che rappresenta l’industria del whisky scozzese, ha lanciato un ambizioso piano di sostenibilità che impegna il settore a raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni in tutte le sue operazioni entro il 2040; ben cinque anni prima rispetto al governo scozzese, che ha previsto lo stesso obiettivo per il 2045. È un’ottima notizia, viziata però da un punto dolente: la torba. Non piace a tutti, ma un sorso di whisky dal gusto intenso di fumo, cuoio e legno bruciato può non avere prezzo. Per l’appassionato degustatore perdere la torba sarebbe come per il calciofilo perdere la Serie A.

In Scozia, patria del distillato più popolare al mondo, il rapporto fra la produzione del whisky e questo combustibile ha radici antiche. La torba è un composto organico formato da resti vegetali impregnati d’acqua che, se lasciata intatta per qualche milione di anni, diventerà carbone. In Irlanda e Scozia, dopo essere estratta dal terreno e tagliata in zolle, era utilizzata per il riscaldamento domestico e industriale, mentre i distillatori la bruciavano per essiccare il malto d’orzo: principale cereale usato nella produzione del whisky. Il fumo a contatto con il malto conferisce poi al distillato il suo inconfondibile sapore e aroma.

Originariamente tutti gli scotch erano prodotti con questa pratica. In seguito, con l’arrivo dei combustibili senza fumo, molti distillatori hanno iniziato a farne a meno. Oggi, nel mondo, le distillerie che utilizzano l’orzo torbato sono un’esigua minoranza. In Scozia la maggior parte di loro si trova sull’isola leggendaria, almeno per gli appassionati, di Islay. Ma ne sorgono alcune anche sulle altre isole dell’arcipelago delle Ebridi e sul continente.

Campo di torba tagliata in zolle
La protezione delle torbiere

La crescente consapevolezza sul ruolo vitale che le torbierepeatlands – svolgono nella lotta contro la crisi climatica ha spinto nel 2019 le Nazioni Unite ad approvare la prima risoluzione globale a loro dedicata, al fine di favorirne conservazione, gestione sostenibile e ripristino.

Questo particolarissimo habitat, che copre il 3% della superficie terrestre e il 25% di quella scozzese, se lasciato indisturbato agisce come una spugna naturale di Co2 assorbendo più del doppio della quantità di carbonio immagazzinata da tutte le foreste del mondo.

Quando la torba viene drenata e bruciata il danno è quindi duplicato, non solo si rilascia nell’atmosfera Co2 che era rimasta immagazzinata per migliaia di anni, ma al tempo stesso si distrugge un serbatoio di carbonio naturale. Secondo una stima pubblicata dal National Trust for Scotland, le torbiere danneggiate rappresentino circa il 6% di tutte le emissioni di carbonio di origine antropica nel mondo.

Negli ultimi anni in Scozia le leggi che regolano l’estrazione di torba sono diventate sempre più stringenti, e nonostante l’uso di questa sostanza da parte dell’industria del whisky rappresenti meno dell’1% del totale estratto nel Regno Unito, soprattutto nei luoghi dove c’è una alta concentrazione di distillerie l’impatto ambientale non è trascurabile, casistica che si verifica ad esempio sull’isola di Islay.

Il governo scozzese vuole ripristinare 250mila ettari di torba entro il 2030 e la Scotch Whiskey Association è già in prima linea per centrare l’obiettivo. La famosa distilleria Lagavulin ha recentemente investito 600mila sterline per ripristinare 280 ettari delle sue torbiere.

Un futuro incerto

Se queste politiche basteranno a scongiurare il rischio dell’esaurimento della torba non è chiaro. Negli ultimi decenni il mercato del whisky è esploso. Le esportazioni solo dalla Scozia superano i quattro miliardi di sterline annue. La rinnovabilità delle peatlands, che crescono di circa un millimetro all’anno, preoccupa non poco produttori e consumatori. Eddie Ludlow, nel suo libro ‘Il mondo del whisky’ pubblicato a inizio 2020, racconta che secondo gli addetti ai lavori le riserve di torba sull’isola di Islay potrebbero esaurirsi nei primi anni del decennio appena iniziato e i produttori stanno pensando di importare il prezioso combustibile da Canada, Siberia e perfino dal Congo. Una scelta poco popolare in quanto gli amanti del distillato ritengono che sia la torba locale a conferire l’unicità del sapore di ogni marca. Per lo stesso motivo anche l’ipotesi di ricorrere a sostanze artificiali che riproducano gli intensi aromi e gusti affumicati non sembra percorribile. Le linea guida sulla produzione parlano chiaro, lo scotch può essere prodotto solo da tre ingredienti: cereali, acqua e lievito. Qualsiasi altro aroma o composto, eccezion fatta per il caramello, non è legale secondo lo ‘Scotch Whisky Act’ approvato dal parlamento britannico nel 1988.

Nell’ultima strategia ambientale lanciata dalla Scotch Whiskey Association a fine gennaio, che prevede zero emissioni entro il 2040, si punta nettamente sul ripristino e gestione responsabile delle torbiere, la rinuncia all’utilizzo di questa sostanza non è contemplata.  

Tuttavia, leggi via via più serrate e il lungo sfruttamento sono due tegole pendenti sul futuro del whisky torbato come lo abbiamo conosciuto fino ad ora. Questo superbo alcolico potrebbe diventare una delle prime vittime illustri della lotta al cambiamento climatico e dell’esaurimento delle risorse naturali.