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«Cingolani sulle trivellazioni non sta facendo nulla di nuovo o di ecologico»

In questi mesi le prime mosse dell’attesissimo ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani sulla questione trivellazioni hanno causato malumori tra gli ambientalisti. In particolare il coordinamento No Triv, protagonista da molti anni di una forte battaglia contro le piattaforme petrolifere, ha espresso dure critiche contro l’azione di governo (leggi il comunicato). Abbiamo deciso di conoscere le ragioni di coloro che criticano il ministro del governo Draghi intervistando Domenico Sampietro (foto sotto), storico attivista del comitato “No petrolio, Sì energie rinnovabili” di Monopoli (Bari). Una delle realtà che più si sono rese protagoniste negli anni Dieci della battaglia pugliese contro le trivellazioni.

Domenico Sampietro

Oggi il mondo No Triv è ritornato a far sentire con forza la sua voce. Cosa ha provocato il malumore dei comitati e delle associazioni?

«C’è grande insoddisfazione di fronte al Pitesai, uno strumento su cui inizialmente si nutrivano maggiori speranze»

Cos’è il Pitesai?

«Il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee. L’idea nasce quando Luigi Di Maio era ministro per lo Sviluppo economico nel primo governo Conte. Dopo i periodi turbolenti delle proteste contro le trivelle dello scorso decennio arriva la proposta, accolta positivamente dagli attivisti, di un grande piano delle aree in cui mettere per iscritto dove poter trivellare e dove no. Un modo per mettere fine a una situazione in cui le compagnie petrolifere mettevano la bandierina e decidevano di trivellare un po’ dove volevano. Il documento doveva essere redatto dal ministero per lo Sviluppo economico e poi doveva essere sottoposto alla procedura Vas (Valutazione ambientale strategica). Sarebbe quindi stato aperto alle osservazioni. Intanto, in attesa del piano, veniva congelata la situazione delle ricerche e dei permessi di coltivazione degli idrocarburi con una moratoria, che è scaduta il 30 settembre».

Intanto però sarà stato approvato il piano…

«E no perché il piano, che dopo tre anni sembrava quasi non dovesse arrivare più, è stato confezionato dal Ministro in fretta e furia e depositato il 16 luglio per le osservazioni (aperte per due mesi). È stato poi chiuso il 29 settembre (migliaia di pagine di osservazioni sono state lette in soli 10 giorni). Purtroppo però non è ancora entrato in vigore, perché ora c’è una lunga procedura da seguire, bisogna attendere per esempio il parere della Conferenza unificata, in cui si esprimeranno le regioni e gli enti locali. Nel frattempo non si è pensato incomprensibilmente di prorogare anche la moratoria, in attesa della fine di questo iter».

Quindi di fatto in attesa del piano e senza moratoria, il pericolo trivellazioni ritorna attuale

«Chiaramente le procedure per chiedere i permessi ora possono essere riattivate. Ci vuole naturalmente un po’ di tempo perché gli iter portino alle trivellazioni o a nuovi permessi di ricerca. Di fatto però le procedure ora possono tornare ad andare avanti e non sappiamo invece quando il piano diventerà efficace».

E il Ministro come ha spiegato questa scelta di non rinnovare la moratoria?

Roberto Cingolani, foto da wikipedia di Niccolò Carianti

«Da una parte ha ribadito di aver presentato il piano. Dimenticando però, come abbiamo già detto, che il Pitesai ancora non è entrato in vigore. Dall’altra parte ha detto che in questo periodo lui non concederà nessuna trivellazione».

Allora si può stare tranquilli…

«E invece no, sia perché è solo una promessa informale. Sia perché nel diritto amministrativo non funziona così… Non c’è un reuccio che decide di dire di no o di sì da solo. Ci sono delle procedure prestabilite e non esiste un potere arbitrario del ministro di opporsi. Lo ha ammesso anche Cingolani stesso pochi mesi fa quando ha dovuto concedere l’autorizzazione ad alcune ricerche petrolifere, dicendo che erano richieste avviate da anni e non poteva fare diversamente».

Il Piano però quando sarà approvato cambierà tutto…

«Anche in questo caso le cose non stanno così, perché il piano (leggi qui il documento ufficiale) fa solo una fotografia dell’esistente, senza cambiare quasi nulla. Afferma che non si può trivellare dove non c’è potenziale minerario (non una grande notizia). Poi semplicemente sulle aree potenzialmente idonee cerca di dare un ordine ai vincoli ambientali, paesaggistici e culturali già esistenti. Uno dei criteri previsti per evitare di escludere un’area da quelle dove non si potrebbe trivellare contempla persino quante richieste sono arrivate dalle compagnie petrolifere negli ultimi anni. Cioè, se per le società petrolifere risulta essere molto appetibile, allora l’Italia ritiene che in quell’area si possa concedere la possibilità di trivellare. Non una logica ambientalista. Il risultato è la ripresa del far west e di tutto quello che già accadeva prima. Basilicata, Emilia Romagna e Sicilia continueranno ad essere assalite, assieme a parte dell’Appennino. Soprattutto riprenderà la corsa ai permessi nell’Adriatico e nello Ionio (vedi la cartina sotto)».

Ambito territoriale di riferimento del PiTESAI
L’area complessivamente interessata dall’ambito territoriale di riferimento del PiTESAI, pari a 156.403,76 km2 (di cui 81,6% in terraferma e 18,4% a mare):
1.       a terra ricomprende il 42.5% del territorio nazionale.
2.       Non sono interessate, per motivi legati al potenziale geominerario e alla storia esplorativa degli ultimi 30 anni, le Regioni Valle D’Aosta, Trentino Alto Adige, Liguria, Umbria, Toscana (ad eccezione dell’area relativa a due concessioni di coltivazione in essere) e Sardegna (Figura 3.1-10). 
3.       a mare ricomprende l’ 11.5% dell’area complessiva delle zone marine sinora aperte A, B, C, D, E, F, G.

Quindi il ministero della Transizione ecologica, questa montagna che doveva cambiare il destino delle politiche ambientali italiane, su questo tema ha partorito un topolino?

«Cingolani sulle trivellazioni non sta facendo nulla di nuovo o di ecologico. Non ci sono elementi che ci possano far dire che ci sarà da parte dell’Italia una rinuncia, anche graduale, alla ricerca e all’estrazione di idrocarburi».

Ci sarà però l’intervento della Conferenza unificata sull’argomento…

«In realtà i permessi oltre le 12 miglia in mare non saranno oggetto di intervento da parte della Conferenza unificata. Questa potrà esprimersi solo sulle trivellazioni a terra».

Proprio però le trivellazioni in Adriatico avevano causato una grande preoccupazione tra gli ambientalisti e i cittadini…

«Se ci pensiamo si tratta proprio delle trivellazioni meno giustificabili. Compagnie straniere che vengono e prendono il petrolio italiano, senza lasciare nulla, a parte le royalties più basse d’Europa. Qui non c’è la giustificazione dell’autosufficienza energetica, perché queste risorse vanno tutte all’estero. Tutto per un petrolio di scarsa qualità e quantità, non certo quello norvegese. Loro si arricchiranno e noi avremo un danno ambientale, perché per quanto puoi fare strutture sicure e con tecnologie avanzate, in mare i rischi sono ancora alti e uno sversamento in acqua è più pericoloso e difficilmente contenibile di uno a terra. Abbiamo visto cosa sta accadendo a causa dell’incidente nell’oceano al largo della California, un luogo dove sicuramente si saranno usate le migliori tecnologie disponibili. Immaginiamo cosa accadrebbe nell’Adriatico, che è un lago a confronto, un mare chiuso, con un fondale molto basso».

Adriatico che porta invece all’Italia e alle regioni del Sud una ricchezza economica importante

«Certo, c’è tutto un ecosistema economico in crescita legato al mare. Dal turismo, alla pesca siamo in presenza di un sistema economico che andrebbe tutelato».

E ora quali sono le future mosse per evitare di vedere in futuro le piattaforme petrolifere al largo delle nostre coste?

«Gli occhi sono puntati sulla Conferenza unificata dove ci saranno tante istituzioni che in passato si sono espresse con forza sul problema. Ci sarà la rappresentanza della regione Puglia, che con Nichi Vendola, ma anche Michele Emiliano ha contrastato con durezza le ricerche di petrolio al largo delle nostre coste. Ci sarà il sindaco di Bari e presidente Anci Antonio Decaro. Da loro ci aspettiamo che pongano con forza la questione e dicano la loro anche sulle trivellazioni in mare. Altrimenti non escludo affatto, per il 2022, il riavvio di una nuova stagione di mobilitazioni, specie nelle aree dove i nuovi permessi potrebbero sbloccarsi».

Il Comitato “No petrolio, Sì energie rinnovabili” nasce nel Sud-Est barese, ma è diventato un punto di riferimento per tutta la Puglia e non solo, con due storiche mobilitazioni (foto in evidenza e sotto). Qual è la vostra storia?

Manifestazione contro le trivellazioni in piazza Vittorio Emanuele II a Monopoli

«Alla fine del 2009 viene scoperto un progetto di prospezioni e trivellazioni al largo della costa monopolitana. Così nasce il Comitato che dà vita ad una manifestazione che coinvolge tutto il territorio del Sud-est barese proprio a Monopoli il 23 gennaio 2010. Le richieste della Northern Petroleum fortunatamente erano inficiate da una serie di errori, che hanno reso quel primo tentativo vano».

Ma la battaglia non finisce lì

«Nel frattempo però arrivano altre richieste di autorizzazione simili e ci si rende conto che non è possibile fare un lavoro di opposizione su ogni singolo progetto, ma c’è bisogno di una operazione sistematica e di ottenere una legislazione diversa. Questa idea nasce anche grazie al confronto con altri comitati, altri movimenti e protagonisti che da qualche anno stavano portando avanti in territori diversi le stesse nostre battaglie. Viene organizzata quindi una nuova e molto più vasta mobilitazione sempre a Monopoli il 21 gennaio 2012, un evento storico che ha visto la partecipazione di figure di primo piano della politica nazionale e rappresentanti di quattro regioni. Tra queste Debora Serracchiani, che pochi anni dopo avrebbe voltato le spalle a questa battaglia durante la segreteria di Matteo Renzi al Pd.

La lotta dei comitati è continuata anche in seguito. Ha portato quindi nel 2016 a uno storico Referendum che non ha raggiunto il quorum, ma che vide 15 milioni di italiani esprimersi a suo favore. Ci tengo a precisare una cosa: il Governo Renzi, nella legge di stabilità promossa a dicembre 2015, ha tolto alle trivellazioni petrolifere il carattere di “opera strategica, indifferibile ed urgente” per far saltare altri tre quesiti… il motivo era quello di disinnescare il rischio batosta alle urne del referendum. Se oggi il tema è ancora aperto, è anche grazie a quanto avvenuto in quei mesi».

Ora la battaglia ricomincerà?

«Di fatto con questo piano si riapre la questione dell’Adriatico».

Ringraziamo Angelo Papio per le foto

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