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Napoli Est, ambiente e sviluppo: serve un nuovo modello

A San Giovanni a Teduccio, quartiere dell’Area Orientale della città di Napoli (distante 3km dal centro cittadino), procedono i progetti di ristrutturazione industriale. I piani realizzati, quelli in corso e quelli proposti non offrono significative opportunità di lavoro ma hanno invece ricadute negative sulla qualità urbana e ambientale, già compromessa dai processi produttivi che hanno interessato l’area a partire dalla metà del XIX secolo. L’area ha bisogno di progetti di riqualificazione ambientale e urbana.

Bocciato il piano di Edison e Kuwait Petroleum Italia sul deposito Gnl

Lo scorso 24 maggio si è concluso il lungo iter formalmente avviato nella primavera del 2021, ma sostanzialmente già attivo dal 2017, relativo al piano proposto dalle società Edison e Kuwait Petroleum Italia per la costruzione di un Deposito GNL sul Molo Vigliena. Il Piano è stato bocciato dalla CTVIA (Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale, ndr) e i promotori possono ricorrere nei tempi previsti al TAR e al Presidente della Repubblica (60/120 giorni).

Dal mio punto di vista, considerate le caratteristiche del sito prescelto, l’iter non doveva nemmeno essere avviato. Il progetto faceva riferimento al piano Energetico Nazionale approvato nel 2017 che prevedeva un’infrastruttura per il GNL anche nel Porto di Napoli.

Anni di battaglie

Sin dal 2017, avuta notizia tramite i giornali, esprimemmo dubbi e contrarietà verso il progetto del Deposito GNL in considerazione della già critica situazione preesistente. In quella fase il proposito appariva lontano e indistinto e quindi ci fu una scarsa attenzione da parte della comunità locale. L’intento si aggiungeva ad altre iniziative di analogo tenore, come quella dell’allungamento dei moli portuali, sul litorale di San Giovanni a Teduccio, con la costruzione di altre vasche di colmata nelle quali riversare i rifiuti tossici dei fondali portuali e quelli provenienti dalla colmata di Bagnoli.

Già nel 2017 esponemmo nel centro cittadino, nei giardini antistanti la Chiesa monumentale di Santa Chiara, una mostra[1] con oltre trenta pannelli, l’ultimo dei quali recava la dicitura «dulcis in fundo», sul quale scrivemmo: «Una vera follia: nelle ultimissime ore abbiamo appreso dai giornali che si apprestano a costruire un grande, oltre ai già preesistenti, deposito di GNL nel porto di Napoli. Non hanno ancora indicato il punto preciso della sua collocazione ma sui 20 chilometri di litorale cittadino non ci sono molte opportunità. Continueremo la nostra opera di sensibilizzazione contro questo dissennato modello di sviluppo che scarica nelle periferie tutte le sue contraddizioni».

Nella fase iniziale i promotori potevano contare su quanto disposto dall’AdSP (Autorità di Sistema portuale, ndr) del Mar Tirreno Centrale che in un documento di indirizzo approvato nel 2017, denominato «Masterplan del Porto di Napoli», aveva previsto «la realizzazione di un Deposito per lo stoccaggio di GNL, coerente con il Piano Energetico Nazionale e con le politiche energetiche dell’Unione Europea». Il Masterplan si avventurò poi in previsioni quanto mai avventate relative all’ulteriore espansione del Porto Commerciale verso Pietrarsa (sede del Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa), confine della linea di costa della città di Napoli. Il piano prevedeva di radere al suolo un antico complesso industriale, l’ex Corradini, sottoposto a tutela dal Codice dei Beni Culturali, per cui si chiedeva espressamente l’annullamento del vincolo. Tutto ciò avveniva quando erano già in corso, a poche centinaia di metri, i lavori di completamento del «Nuovo Terminale Contenitori di Napoli Levante», un’imponente infrastruttura portuale per la movimentazione di 800.000 TEU.

Per quanto concerne il GNL, nella fase di Consultazione del Pubblico la stessa AdSP, nel frattempo diretta dal subentrato Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno centrale, annullò con apposite deliberazioni i piani previsti dal Masterplan relativi alla costruzione del Deposito GNL e quello dell’ulteriore ampliamento dei moli portuali verso Pietrarsa. Dal mio punto di vista la soppressione di dette deliberazioni è avvenuta per quello che riguarda i moli portuali dalle mutate condizioni relative al ridimensionamento del traffico dei containers; per quanto riguarda invece il GNL, oggettivamente tale attività risultava incompatibile con la congestione della Darsena Petroli nella quale sono movimentate notevolissime quantità di idrocarburi indispensabili al fabbisogno dell’Italia meridionale, del centro e non solo. Inoltre, la Darsena Petroli è contigua ai vecchi e ai nuovi moli del porto commerciale e altresì adiacente alla centrale termoelettrica e in prospettiva, laddove realizzato, al Porto Turistico. Oltre l’ambito portuale ci sono migliaia di residenti nelle immediate adiacenze che convivono quotidianamente con i rischi connessi all’inquinamento e ai probabili incidenti rilevanti di cui in molti casi hanno subito le conseguenze[2].

(Foto in evidenza) Darsena Petroli

La commissione Via, tra le altre motivazioni, ha respinto il piano del Deposito GNL poiché il Piano Regolatore Portuale vigente non prevede il Deposito GNL e il Masterplan non è equiparabile al Piano Regolatore Portuale. Va precisato che è tuttora in corso l’iter procedurale riguardante il «Piano Regolatore del Porto di Napoli, Revisione giugno 2012» poiché «Il Consiglio Superiore LL.PP., con voto n. 63, restituisce il P.R.P. all’Autorità portuale, avendo riscontrato carenze su aspetti pianificatori e procedurali». Tuttavia, nemmeno la variante, per quanto “ardimentosa”, prevede il Deposito GNL. L’altro aspetto rilevantissimo è costituito dalle determinazioni dettate dal PRG del Comune di Napoli che prevede la dismissione e la delocalizzazione degli impianti petroliferi. Peraltro, secondo il protocollo sottoscritto nel 2006 dal Comune di Napoli e Kuwait Petroleum Italia, entro il 2026 dovrebbe essere completato lo smantellamento degli impianti petroliferi. Probabilmente difficilmente la delocalizzazione avverrà nei tempi stabiliti ma nemmeno si poteva e si può prevedere una implementazione di dette attività che vanno costantemente ridimensionate e superate nel più breve tempo possibile.  

Darsena Petroli

Lo stesso Comune di Napoli dal 2017 al 2021 non aveva mostrato alcuna riserva e in alcune occasioni aveva espresso persino qualche apprezzamento. Infine, il Comune di Napoli nel 2021 ha pronunciato ufficialmente, nell’ambito del procedimento di consultazione, il suo parere negativo citando appunto le previsioni del PRG e i rischi connessi al deturpamento del paesaggio e dei beni culturali e nonché sottolineato i piani previsti dal Comune per la riqualificazione dell’area. Nel 2022 il Promotore ha integrato la documentazione riguardante il progetto anch’essa poi sottoposta alla Consultazione del Pubblico. Anche in questo caso l’Amministrazione Comunale, insediatasi nel frattempo, ha poi riconfermato con le stesse motivazioni espresse da quella precedente la sua contrarietà.

Il ruolo svolto dal Ministero dell’Ambiente nella fase iniziale del procedimento preliminare, cioè quello che di fatto avviava il progetto, è apparso quanto mai singolare. La «determinazione conclusiva del procedimento preliminare» del Ministero dello Sviluppo Economico del 23 giugno 2020, che avviò il procedimento, annota i pareri formulati da tutti i soggetti cointeressati tra cui quello del Ministero dell’Ambiente che chiese prima «specificazioni circa le caratteristiche dell’area oggetto dell’intervento» e successivamente raccomandò un «piano dettagliato di caratterizzazione con ARPA Campania, prima dell’esecuzione dei lavori». In sostanza il Ministero dell’Ambiente avallò improvvidamente l’apertura del procedimento senza tenere conto delle caratteristiche dell’area oggetto dell’intervento che avrebbe dovuto consigliare, in particolare al Ministero dell’Ambiente, di non procedere.

Il Ministero della Cultura, cioè la Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, e la Soprintendenza competente hanno assunto un ruolo di rilievo evidenziando, sin dall’avvio del procedimento, l’esigenza di preservare e valorizzare i beni culturali preesistenti, in primis lo storico Forte di Vigliena e la tutela del paesaggio. Il parere del Ministero della Cultura è stato fondamentale per scongiurare la messa in opera del Deposito GNL.

Un’esperienza fruttuosa. Si apre una nuova fase?

Nel procedimento hanno svolto un ruolo importante diverse Associazioni e Comitati locali. Da questo punto di vista abbiamo dato vita a un’interessante esperienza sociale e civile, niente affatto scontata, che ha visto confrontarsi persone di diverso orientamento ideale e culturale. Il lavoro svolto e la modalità scelta possono rappresentare anche nel prosieguo un punto di riferimento importante.

Contro l’installazione del Deposito sono state diverse le manifestazioni e le interlocuzioni con le istituzioni cittadine. Abbiamo poi messo a punto nell’ambito del procedimento un complesso di Osservazioni sui molteplici aspetti della vicenda: la salute già compromessa, i rischi connessi alle plurime attività pericolose preesistenti in relazione alla messa in opera del Deposito GNL, il rischio vulcanico, i beni culturali, i diversi aspetti riguardanti la normativa vigente[3].

L’altro aspetto di rilievo è costituito dal rapporto con le maggiori Istituzioni Culturali cittadine: Assise della Città di Napoli e del Mezzogiorno d’Italia, Italia Nostra, Società Napoletana di Storia Patria e nonché con artisti e intellettuali locali. Con Italia Nostra, Assise e Sala Teatro Ichos abbiamo curato e sottoscritto le Osservazioni sui temi della Cultura.

Il Piano GNL è stato archiviato. È la prima volta che un procedimento autorizzativo riguardante il territorio si conclude negativamente per i Promotori, il che potrebbe farci supporre che siamo giunti a un punto di svolta, oltre il quale potrebbe aprirsi una nuova fase. In precedenza, i pareri elencavano tutte le insormontabili criticità che venivano successivamente risolte con un’autorizzazione incomprensibile e l’indicazione di prescrizioni improbabili.

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Oltre al GNL, restano aperte questioni rilevantissime il cui esito non lascia molti margini a sostegno del principio della riqualificazione

Incide tuttora sulle scelte che riguardano il territorio l’Accordo di Programma sottoscritto nel mese di dicembre del 2000 tra la Regione Campania, il Comune di Napoli, l’Autorità Portuale, la Capitaneria di Porto, l’Università Federico II, il Ministero dei Trasporti e il Ministero dei Lavori Pubblici, il quale ridefinì drasticamente la prospettiva della Zona Orientale della città di Napoli.

Poco prima, il Consiglio Comunale di Napoli, nella variante al piano Regolatore Generale, allora in discussione, aveva deciso di restituire la linea di costa alla città, di demolire gli impianti termoelettrici e gli impianti inquinanti, di contenere il porto negli stessi spazi.

In sostanza, con il citato accordo, gli stessi promotori della riqualificazione azzerarono quanto già definito poco prima e decisero di costruire una nuova centrale termoelettrica, di ampliare a dismisura il porto commerciale, verso San Giovanni, che, nelle previsioni contenute nel piano, incrementava del 350% il traffico dei container. Davanti al litorale della ex Corradini stabilirono di costruire un porto turistico che, secondo le previsioni, avrebbe impegnato uno spazio acqueo di oltre 250.000 mq. Il nuovo assetto della linea di costa così configurato azzerò di fatto ogni ipotesi di riqualificazione.

Nel 2008 fu inaugurata la nuova centrale termoelettrica laddove in precedenza si era deciso di costruire sul mare la città dei giovani e della musica e un grande acquario.

Nel 2011 furono avviati i lavori per la costruzione del Porto Turistico. Poco dopo, i lavori vennero fermati formalmente per questioni relative alla bonifica, dopodiché non sono stati mai più ripresi. La situazione ha causato un contenzioso, tra Comune di Napoli e la società aggiudicataria del Project Financing, non ancora concluso. Le aree, alcuni mesi fa, sono state restituite al Comune di Napoli che formalmente, in più occasioni, ha riproposto lo stesso progetto che presumibilmente aprirà un ciclo destinato a durare per molto tempo ancora. Trascorsi oltre venti anni dall’avvio dell’iter sul porto Turistico, l’Amministrazione avrebbe e dovrebbe riconsiderare la scelta di realizzare il Porto Turistico. Da Vigliena a Pietrarsa si potrebbe riconfigurare e ricostruire il litorale per un tratto di circa 3 km, restituendo alla città di Napoli e ai comuni contermini una prospettiva civile e urbana di cui si avverte il bisogno.

Il Nuovo Terminale Contenitori di Napoli Levante

Le opere per la costruzione del Nuovo Terminale furono autorizzate nel 2008. I lavori furono avviati nel 2010 con l’aggiudicazione delle gare. L’opera è in via di completamento ed è stata realizzata in parte mediante colmata contenuta da un’apposita vasca[4] nella quale sono stati versati oltre un milione di sedimenti portuali altamente inquinati. La nuova area portuale si avvale pure delle aree della ex Darsena di Levante e dello spazio di circa 140.000 mq in precedenza occupato dalle vecchie centrali termoelettriche Maurizio Capuano e Vigliena; quest’ultima è stata abbattuta di recente.

Anche in questo caso abbiamo segnalato il nostro disappunto e organizzato molteplici iniziative. L’aspetto sorprendente è che fummo gli unici a presentare Osservazioni al piano, evidenziandone le criticità che vennero sommariamente riportate e liquidate, nel Decreto Autorizzativo, con la formulazione insignificante e arrogante «preso atto che sono pervenute istanze, osservazioni o pareri da parte di cittadini […] Comitato Civico di San Giovanni a Teduccio».

Sulla vicenda del Terminale Contenitori e Turbogas, abbiamo curato, in collaborazione con le Assise della città di Napoli e del Mezzogiorno d’Italia, due pubblicazioni: «Il destino di Napoli Est: la pianificazione di un disastro – la nuova centrale a turbogas, il nuovo Terminale Contenitori e l’inceneritore» (La Scuola di Pitagora, 2008) e «Il destino di Napoli Est: dai progetti di delocalizzazione industriale e riqualificazione ambientale alla costruzione della nuova centrale turbogas di Vigliena» (Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 2006). Le due pubblicazioni documentano le varie iniziative intraprese, comprese quelle di lotta, i conseguenti effetti e quelle legate al confronto con gli enti e la società civile. Il Comitato Civico nel 2007 produsse un DVD che ripercorreva tutte le fasi dell’approvazione dei piani, sottolineandone le conseguenze.

Non tutti gli aspetti riguardanti il cronoprogramma dei lavori sono noti, nel senso che, oltre alle difficoltà costruttive, si registra un ritardo nel completamento delle opere non riferibile unicamente agli aspetti tecnici, ma probabilmente ai limiti di previsione del progetto stesso. Nel 2008, con l’implementazione delle nuove infrastrutture portuali, si prevedeva di movimentare complessivamente 1.400.000 TEU entro il 2020. Tuttavia, il nuovo scenario definito dall’AdSP nel Documento di Pianificazione Strategica, approvato nel 2021, riduce la previsione di movimentazione a 870.000 TEU entro il 2030. Questo cambiamento richiede una riflessione non solo sulla qualità del piano, ma anche sulle dimensioni del progetto e sulle relative infrastrutture di servizio (raccordi autostradali, linea ferroviaria, aree di parcheggio), di cui non si ha notizia.

Danni per la salute

La nuova opera ultimata avrà un notevole impatto ambientale e inciderà negativamente sulla qualità urbana e sulla salute dei residenti che già adesso, secondo i dati forniti da Medicina Democratica, risulta essere notevolmente compromessa dalle attività inquinanti.

Il terminale incrementerà tutti i fattori di rischio di «incidente rilevante», considerato l’ambito nel quale si scaricano e transitano contemporaneamente a poca distanza navi cariche di idrocarburi e di container e dove opera la centrale termoelettrica a ciclo combinato che usa notevoli quantitativi di GNL. In sostanza, la costruenda infrastruttura è inserita a poche centinaia di metri dall’abitato. Alcuni antichi palazzi verranno a trovarsi a qualche decina di metri dal piazzale in cui si svolgeranno le operazioni di movimentazione dei container (navi, gru, automezzi, treni). Per questi residenti, il piano non ha previsto nessuna norma di salvaguardia; addirittura, sono in costruzione, nello stesso ambito, nuovi alloggi che hanno ottenuto, nonostante tutto, le autorizzazioni.

Le bonifiche

L’area Orientale della città di Napoli rientra nei «Siti di Interesse Nazionale» per il notevole inquinamento dei terreni, della falda e del mare. Il «SIN – Napoli Orientale» è stato individuato con la Legge 426/98. I terreni indicati come potenzialmente inquinati ammontano a 8.300.000 mq. I fondali e gli arenili potenzialmente inquinati ammontano a circa 13.000.000 di mq. Trascorsi 25 anni dall’approvazione della legge, dai dati disponibili si rileva che è stato fatto ben poco.

Purtroppo, dispiace elencare solo le criticità, ma non esistono altre possibilità. Se si leggono gli atti della relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta del 28 febbraio 2018, si resta sgomenti poiché risultò che dalle indagini svolte dalla Magistratura, le industrie petrolifere non erano affatto impegnate a bonificare i terreni che avevano inquinato, così come previsto dalla legge, ma bensì a procurare ulteriori e irreversibili danni all’ambiente e alla salute umana. A tale proposito, il 28 ottobre 2020 il quotidiano online «Domani» titolava: «Parte il processo per traffico di rifiuti contro Kupit, ma nessuno chiede i danni… A Napoli orientale l’azienda Kupit avrebbe stoccato oltre 91 milioni di litri di liquido infiammabile, che hanno inquinato aria, acqua e suolo. Né le istituzioni né le associazioni si sono costituite parti civili»[5].

Per rilanciare il programma di bonifiche, nel mese di aprile del 2022 è stato sottoscritto un Nuovo Accordo di Programma tra il Ministero della Transizione Ecologica, la Regione Campania, la Città Metropolitana di Napoli, il Comune di Napoli e l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale.

Contemporaneamente, l’Area Orientale continua ad essere soggetta a progetti che generano impatti che si sommano ad altri. A Ponticelli, il Comune di Napoli conta di realizzare un impianto di compostaggio con una capacità di 30.000 t/anno.

La ex Corradini: la speranza di vedere il mare

Lo scorso 22 dicembre, la Giunta Comunale di Napoli ha proceduto all’approvazione del progetto di fattibilità dell’intervento denominato «restauro degli edifici di archeologia industriale dell’insediamento ex-Corradini a San Giovanni a Teduccio – primo stralcio».

La notizia ha risuscitato in molti cittadini la speranza di vedere finalmente realizzato un progetto che attende da anni: quello di potersi recare liberamente sulla linea di costa per godersi il panorama e il mare. Al netto degli equivoci che sono piuttosto evidenti per le caratteristiche dei progetti di cui si è discusso e di cui tuttora si discute, i quali non garantiscono affatto tale prospettiva.

La ex Corradini è un punto nevralgico del litorale dell’Area Orientale della città di Napoli per le dimensioni dello spazio e per la bellezza del luogo, posto al centro del Golfo di Napoli. Il litorale è stato inibito ad intere generazioni e dovrebbe essere riconsegnato alla cittadinanza. Nel mese di dicembre del 2022, l’Amministrazione Comunale ha in sostanza reiterato, ritoccandoli, vecchi provvedimenti già finanziati e mai attuati, probabilmente per non perdere i finanziamenti, che prevedono di realizzare in una parte piuttosto contenuta infrastrutture al servizio del Polo universitario della Federico II di San Giovanni a Teduccio e nella parte restante, oltre settecento metri di litorale, ha rilanciato l’idea di un porto turistico. L’approdo già previsto in precedenza, con la procedura del Project Financing, è sostanzialmente fallito e a distanza di venti anni non può dal mio punto di vista essere riproposto tal quale. Occorre invece ridefinire un progetto di riqualificazione innovativo e cioè che misuri il valore della qualità urbana e della vivibilità dei residenti come valore imprescindibile.

Le origini del complesso denominato ex Corradini, che sorge praticamente in riva al mare e si snoda lungo la litoranea per circa 752 metri è comprensivo di 54 manufatti tra capannoni e edifici risalenti tra Ottocento e Novecento. La stima più attendibile delle aree è  pari a 70.000 mq. In realtà, il complesso raccoglie varie tipologie industriali ed è noto come ex Corradini dal nome dell’imprenditore svizzero che nel 1882 rilevò le attività della «Carafa, Cas & C.» a seguito di molteplici vicende societarie. La fabbrica Corradini era particolarmente specializzata nella lavorazione del rame e dell’ottone.

Nell’area conosciuta come ex Corradini hanno operato diversi stabilimenti industriali con molteplici produzioni. Tra di essi si possono citare: «l’officina del Bayard», che fu istituita per la costruzione del primo tratto ferroviario Napoli Portici inaugurato nel 1839; la fabbrica di bottiglie di vetro di Francesco Scudieri, successivamente acquistata da Eduardo Falcocchio; la «Vetraia fratelli Hentzy»; la società londinese «Dent Allcroft& Co. Ltd», attiva nel settore della concia delle pelli per guanti, sulla cui facciata esterna era murata una «targa con la data 1828»; l’industria Meridionale Pellami dei fratelli De Simone; il Mulino dei fratelli Petriccione. Va inoltre menzionata la conceria di pelle da guanti Budillon, sebbene occasionalmente citata.

Secondo l’archeologo Gregorio Rubino, dal punto di vista architettonico nel complesso sono rappresentate «le varie fasi di sviluppo tipologico dell’edificio-fabbrica ottocentesco e novecentesco fin dalle prime forme incerte a sviluppo verticale multipiano, tipiche degli impianti tessili (da cui l’ipotesi di una preesistenza architettonica, estranea alla lavorazione metallurgica)».

Per l’estate 2023, il mare è ancora inibito alla balneazione.

Anche quest’anno un’ordinanza del Sindaco proibisce la balneazione sul litorale di San Giovanni a Teduccio che mantiene ininterrottamente il triste primato di essere l’unico tratto di mare della città di Napoli sul quale è vietata la balneazione. Sono ancora diverse decine gli scarichi fognari che nel tratto Molosiglio San Giovanni si riversano in mare e che devono essere dirottati verso il depuratore. Gli amministratori continuano ad assicurare e a ripetere, in automatico, che la prossima stagione sarà quella decisiva per recuperare il mare.

Oltre alle fogne, si riversano in mare tuttora scarichi industriali provenienti dall’area petrolifera, dalla centrale termoelettrica e probabilmente da altre attività non identificate. In più occasioni abbiamo dovuto denunciare la presenza in mare di una schiuma giallognola e densa con delle striature simili al catrame di cui non riusciamo a venire a capo. Inoltre, la mancata bonifica delle falde e dei terreni continua a ripercuotersi sull’inquinamento marino. Ultimamente, diversi pescatori subacquei hanno segnalato le gravi condizioni del mare e la scarsa quantità e qualità del pescato. Uno in particolare mi ha riferito che allo stato sono sparite inspiegabilmente le vongole dal fondale. Aggiunge poi che il fondale è cosparso di gusci di molluschi bivalvi vuoti, cioè morti.

Il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa

Il Piano Regolatore vigente sottolinea formalmente l’importanza di ristabilire il legame con il mare e affronta anche la questione del Museo Ferroviario, di proprietà dello Stato, concepito come un luogo aperto alle esigenze della cittadinanza che ha la necessità di ristabilire il rapporto con il mare. Tuttavia, gli spazi esterni del Museo continuano ad essere vietati al pubblico in maniera inaccettabile. Il Museo impedisce persino la partecipazione della gente durante le giornate in cui tutti gli altri musei italiani sono aperti alla cittadinanza. Inizialmente, all’apertura, le ampie piazze che affacciano sul golfo di Napoli erano accessibili al pubblico, il quale poteva godersi la vista panoramica del golfo e del mare.

Spiaggia del Municipio

Il litorale napoletano, da Piazza Municipio a Pietrarsa, è pressoché completamente inaccessibile alla cittadinanza, non solo per quanto riguarda la balneazione, ma anche per la semplice frequentazione dei luoghi. Ciò è dovuto alla presenza invasiva degli impianti portuali, all’espansione dei moli a Vigliena, alla Darsena Petroli, alla centrale termoelettrica, al vecchio depuratore e allo sversamento in mare di ben ventitré scarichi fognari censiti, tra cui due grandi alvei che continuano a riversare acque luride ininterrottamente a San Giovanni a Teduccio. Inoltre, vi sono gli scarichi industriali, l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle falde, del mare e dell’aria, nonché ritardi insostenibili nell’attuazione delle bonifiche. La vicenda della ex Corradini, in particolare, è piuttosto emblematica. Questa situazione rappresenta una vera ingiustizia, che ha violato i diritti di intere generazioni di residenti, privandoli di un bene naturale e causando danni incalcolabili alla qualità della vita e alla dignità degli abitanti.

Pertanto, è necessario porsi l’obiettivo di recuperare immediatamente tutti gli spazi disponibili lungo la linea di costa e destinarli alla fruizione pubblica, non solo per motivi di equità, ma anche per ripristinare quella qualità urbana indispensabile allo sviluppo naturale della vita umana.

San Giovanni vanta una notevole tradizione industriale che si sviluppò già a metà dell’Ottocento: nel 1839 il Comune di San Giovanni a Teduccio (istituito nel 1817 e soppresso nel 1925) fu attraversato dalla prima ferrovia Napoli Portici che modificò il suo rapporto con il mare poiché la strada ferrata fu collocata tra l’abitato e il mare. In alcuni punti, la ferrovia sconvolse persino le residenze dei palazzi signorili che furono percorse dai binari. Il rione antichissimo di Pazzigno fu tagliato in due. All’entrata del quartiere, venendo da Napoli, si trova il Ponte dei Francesi, primo esempio di viadotto ferroviario italiano: «Questo ponte fu costruito, ora è tre anni, per la novella strada ferrata che da Napoli mena a Nocera e Castellammare, ed è pregevol opera del francese architetto cav. Bayard de la Vingtrie. Esso taglia per traverso la strada, e formasi di due lunghissime arcate, una delle quali serve per la macchina che parte da Napoli, l’altra per quella che torna» (Viaggio da Napoli a Castellammare, 1845). Il ponte alterò profondamente il territorio circostante. Nel 1840, ai confini con la città di Portici, fu collocato Il Reale opificio di Pietrarsa, oggi sede del Museo ferroviario. Sulla strada dei Granili si insediarono grandi opifici industriali finanziati con capitali stranieri, tra i quali Pattison, Guppy, Zino & Henry, Rione Concerie, ecc… A San Giovanni nel 1889 si insediò la Cirio e lo stabilimento divenne successivamente il cuore pulsante dell’intero gruppo Cirio. La zona è nota per la folta presenza di altre industrie conserviere, tra le quali la Delsa (Del Gaizo – Santarsiero), i mulini, la concia, la fonderia Corradini ed altre ancora di rilievo come lo stabilimento di orticoltura Damman e C..

L’apparato produttivo ha subito nel corso del tempo radicali ristrutturazioni che hanno mutato anche i connotati sociali, culturali e politici dei residenti. L’industria petrolifera invece è l’unica a resistere all’usura del tempo e propone tuttora progetti di ampliamento.

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Cambiare modello

La prospettiva, se si prova ad immaginarla, può scaturire unicamente da un nuovo modello di sviluppo basato sulla qualità urbana e ambientale.

Da questo punto di vista, l’iniziativa dell’Amministrazione Comunale per la riqualificazione dell’insediamento abitativo di Taverna del Ferro, costruito a seguito del sisma del 1980, è stata certamente una buona notizia, ma purtroppo è svanita poco dopo. Il piano di riqualificazione era stato finanziato con i fondi PNRR. Tuttavia, nelle scorse ore, il Governo ha di fatto bocciato il progetto con il taglio dei finanziamenti nell’ambito della rinegoziazione dei fondi. Poco dopo, però, il Consiglio comunale ha chiesto all’unanimità al governo di finanziare il progetto, presentando comunque il piano di riqualificazione di Taverna del Ferro. La situazione è in continua evoluzione.

L’altra questione che in queste ore angoscia i residenti riguarda l’ennesimo rogo dell’ex Campo Rom di Barra. Chiediamo la immediata bonifica, poiché dalle analisi di ARPA Campania pubblicate il 20 luglio scorso risulta che la concentrazione di diossine è di circa 10 volte superiore ai valori medi di riferimento. Ancora adesso, in tutta l’Area Orientale della città di Napoli, si avvertono i miasmi. L’incendio e le sue conseguenze suscitano apprensione e sono in corso diverse iniziative, poiché riteniamo che i provvedimenti adottati sinora dall’amministrazione siano del tutto inadeguati. Per settembre, intendiamo organizzare una mobilitazione unitaria e popolare sostenuta dai Comitati, dalle Associazioni e dalla Comunità religiosa.

Le coordinate della prospettiva sono complesse, probabilmente persino fragili e di difficile attuazione, ma sono tuttavia le uniche che possono aprire la strada all’idea di prospettiva. Appare ancora più fragile, invece, l’idea di continuare a perpetuare, senza senso, il vecchio modello di sviluppo che mostra ormai quotidianamente i suoi evidenti limiti.


[1]https://napoli.repubblica.it/cronaca/2017/06/28/foto/san_giovanni_a_teduccio_una_mostra_per_denunciare_l_inquinamento_e_il_degrado-169381231/1/

[2] https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/12/22/un-boato-il-rogo-un-alba-di.html

[3] https://va.mite.gov.it/it-IT/Oggetti/MetadatoDocumento/504107

https://va.mite.gov.it/it-IT/Oggetti/MetadatoDocumento/667658

Sul sito del Ministero sono pubblicati tutti documenti relativi al procedimento e le Osservazioni presentate.

[4] https://youtu.be/v8WXaDljl0k

[5] https://www.editorialedomani.it/ambiente/parte-il-processo-per-traffico-di-rifiuti-contro-kupit-ma-nessuno-chiede-i-danni-uhzd4wsq