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Cile, genesi e protagonisti di un cambiamento

Dopo oltre due anni di massicce mobilitazioni popolari, il Cile sta vivendo una grande ventata di cambiamento che ha portato, attraverso le piazze, le proteste, i morti e i feriti, alla vittoria nel referendum che ha sancito la voglia di rompere con il passato pinochetista. A partire dalla Costituzione del 1980, che come una camicia di forza ha tenuto ancorato il Paese sudamericano al modello neoliberista, nonostante la caduta della dittatura e il ritorno formale alla democrazia. Oggi, proprio mentre le elezioni presidenziali hanno sancito la vittoria di un giovane leader di sinistra, Gabriel Boric, che entrerà in carica il prossimo 11 marzo, sono in corso i lavori nella nuova Assemblea Costituente (in Cile Convención constitucional). Eletta per redigere la Carta che, se approvata con referendum obbligatorio, andrà a sostituire la vecchia Costituzione ancora in vigore. Un processo lungo, partecipato ed estremamente interessante che si spera possa gettare le basi per costruire un nuovo Cile, più giusto e meno diseguale. Dove siano finalmente garantiti tanti diritti che a oggi non trovavano cittadinanza nella Legge fondamentale cilena.

Per raccontare come è nato questo percorso e cosa sta avvenendo in Cile inauguriamo oggi la prima intervista – opera di Clara Salina* – ad alcuni personaggi chiave del momento storico. La prima protagonista è Carolina Videla Osorio, eletta come Costituente per Arica e Parinacota, regione dove ha sempre vissuto. Esponente del Partito comunista del Cile, nell’Assemblea Costituente è membro e coordinatrice della Commissione per le Scienze, la Conoscenza, le Tecnologie, le Arti, le Culture e il Patrimonio e membro della Commissione di Partecipazione ed Educazione Popolare. Durante il secondo governo di Michelle Bachelet è stata Segretaria Ministeriale Regionale di governo. È membro delle organizzazioni Donne Memoria e Diritti Umani di Arica “Donne in Lutto”. Ha fondato ed è stata presidente del primo Sindacato dei Lavoratori a Onorario del Comune di Arica. Laureata in Lavoro Sociale, insegna ed è Coordinatrice degli Stage della Facoltà di Lavoro Sociale presso l’Università Santo Tomás della sede di Arica. È femminista, dirigente sociale, attivista per i diritti umani. Negli ultimi anni della dittatura cilena, Carolina Videla ha trascorso un anno e mezzo in carcere come detenuta politica, tra le più giovani di quel periodo. Pubblichiamo oggi la prima delle tre parti in cui è stata suddivisa l’intervista.

Carolina Videla Osorio. Foto tratta dalla sua pagina Facebook
Intervista a Carolina Videla Osorio

*L’intervista che state per leggere è stata realizzata venerdì 4 febbraio 2022. Oggi alcuni dei fatti annunciati sono realtà: per esempio una delle norme approvate nel testo della Costituzione che verrà sottoposta a referendum – ovvero che il Cile si trasformi in un stato plurinazionale, multiculturale, con ampie autonomie regionali – è stata approvata nella sessione plenaria dell’Assemblea.

Vivo in Cile dal 2006. Dopo l’intervista, insieme ai fatti quotidiani e la contingenza, non ho smesso di cercare di ricordare. Ho rivisto video e interviste. Ed ovviamente ho ritrovato fatti di cui non ho parlato, domande che non ho posto. Il processo è enorme, gli antecedenti innumerevoli, lo spazio di una chiacchierata un battito di ciglio.

La Costituzione che si sta scrivendo in Cile rappresenta qualcosa di unico. Non solo per il paese, che per la prima volta riunisce nella sua scrittura i più diversi rappresentanti del popolo, ma anche per il mondo intero con la parità di uomini e donne ed il fatto che a dirigerla, nella prima parte del processo, sia stata chiamata una donna e, come se fosse poco, indigena.

C’è però anche da ricordare, certo brevemente, non solo la genesi ma anche alcuni dolorosi fatti che hanno accompagnato tale processo. Uno su tutti, il giorno dell’insediamento ed il “benvenuto” che ha ricevuto con la repressione che lo stato ha riservato alla manifestazione che chiedeva la liberazione di coloro che sono stati incarcerati durante le proteste che hanno permesso che si votasse e poi installasse la Costituente.

In questi giorni in cui si è finalmente giunti alle prime votazioni delle norme che potranno conformare la Nuova Costituzione, rivedere quelle immagini politicamente e umanamente surreali istalla la memoria nell’attualità e la annovera tra i valori che dovrebbero essere consacrati tra i tesori più alti di ciascuno dei popoli della terra.

Parte I
Carolina Videla Osorio. Foto tratta dalla sua pagina Facebook

Come leader del Pc ti occupi da anni di Diritti che ora, grazie al tuo ruolo nell’Assemblea costituente, puoi finalmente contribuire a istallare nella vita dei cileni. Un sogno realizzato?

«Un sogno collettivo. Noi comunisti sogniamo sempre in collettivo (si rilassa con un ampio sorriso). Se abbiamo obbiettivi personali sono sempre inquadrati nella logica dell’attivismo nell’ambito dei diritti umani.»

Sei stata eletta e vivi nel nord. Come appare il Cile dall’estremo nord del paese?

«Effettivamente sono di Arica e Parinacota e ho sempre vissuto lì. Anche il periodo in cui sono stata incarcerata per ragioni politiche l’ho trascorso lì, ho vissuto solo alcuni anni fuori dal Cile. Da lì si nota che, a livello centrale, si guarda al nord del paese con un atteggiamento un po’ paternalista. Paternalista nel senso che si prendono decisioni “che ci faranno bene” però senza chiedere la nostra opinione. In questo senso, per la nostra regione, la dittatura è stata disastrosa. Personalmente ho sempre pensato che siamo un territorio scomodo per il Cile. Arica durante la dittatura era una città di “contenzione”, occupata militarmente nella logica di proteggere la frontiera ed il confine nazionale in quella guerra immaginaria di cui non si smetteva di parlare e che non è mai scoppiata. Era anche un’area di addestramento dell’esercito. Sono cresciuta con i militari per strada. Vivevamo nel centro della città, la scuola era vicino a casa e quindi camminavo in zone dove c’erano negozi e hotel occupati dai militari, costantemente piantonati con armi spianate. La nostra storia è fortemente connessa alla storia militare del Cile, a partire dalla Guerra del Pacifico e successivamente durante quello che si è chiamato il “processo di cilenizzazione” (si riferisce all’imposizione della cultura cilena in quei territori conquistati con la guerra e precedentemente peruviani o boliviani, n.d.r.). Nel corso della storia, la zona è stata assoggettata all’uso della forza. Anche in democrazia, sebbene l’oppressione militare non sia evidente, tutta l’area resta un territorio di tensione geopolitica, confinando con Perù e con Bolivia (nazione che da anni chiede al Cile che venga restituito uno sbocco sovrano sul mare, n.d.r.) e a motivo del trattato internazionale che concede alle merci boliviane passaggio privilegiato al porto. Quindi, le uniche preoccupazioni del governo centrale si centrano su questi due aspetti: in relazione con la Bolivia, il porto non smetta mai di funzionare, per evitare di venire meno al trattato internazionale, e che la frontiera col Perù resti sempre aperta per rispettare l’altro trattato di libero transito e scambi commerciali sottoscritto con il paese. Questo ha significato un rallentamento nel processo di sviluppo della nostra regione, aggravato dall’assenza, nella presa di decisioni, di chi abita la regione. Le scelte favoriscono i poteri centrali. Prova di questo, per esempio, la Legge sulla Pesca che non ha preso in considerazione le esigenze del territorio in relazione alla risorsa marina, dalla quale dipende una parte del nostro popolo per una tradizione che risale alla cultura Chinchorro (leggi Cinciorro). I diritti dei pescatori artigianali sono stati vulnerati, in favore della pesca industriale che sta depredando il mare. In tutto quello che è successo, non solo non si sono mai prese in considerazione l’opinione, la volontà o la partecipazione di chi vive e risiede, ma neppure si è mai arrivati a domandarlo. Questo processo costituente rappresenta per noi la speranza di riuscire a cambiare il paradigma centralista e che questo si trasformi in un altro tipo di governanza (governare in collaborazione con il popolo, n.d.r.).»

Proprio a proposito della genesi della Costituente e con la premessa che personalmente considero Gabriel Boric una figura di alta intelligenza politica, cosa pensi del fatto che abbia firmato l’Accordo per la Pace Sociale e della Nuova Costituzione che ha permesso l’istallazione dell’Assemblea Costituente?

«Noi siamo stati estremamente critici verso quello che si è chiamato “l’accordo per la pace” e continuiamo ad esserlo, sebbene, dobbiamo ammettere, la storia vada accomodando a poco a poco i fatti: infatti io sto parlando con te nella veste di costituente proprio perché si è firmato l’accordo.»

Gabriel Boric

Non credi che Boric abbia avuto coraggio nel decidere di firmare? Tra l’altro, in quel momento cruciale, giocandosi buona parte del suo capitale politico e terminando sommerso dalle critiche…

«Personalmente non sono d’accordo, perché comunque politicamente qualcosa doveva accadere con tutto quello che stava succedendo in quel momento di tale crisi politica e sociale che il paese stava vivendo. Quella ribellione popolare che si è chiamata “estallido” sociale (che è arrivato a riversare, nella sola Santiago, circa due milioni di persone, n.d.r.) ha fatto sì che si scoperchiasse la pentola del malcontento che si accumulava da anni. E sono stati i giovani che lo hanno permesso, sono stati loro che hanno saltato le barriere del metro dando il via alla grande mobilitazione. Quindi, la firma dell’accordo avviene il giorno successivo a una protesta mai vista nel nostro paese negli ultimi anni di questa democrazia sotto tutela. Il ruolo, chiunque essi siano e che ci piacciano o no, che le autorità devono compiere, insieme alla funzione che si attribuisce loro, è dare risposta alle richieste che i cittadini impongono. Sebbene con questa Costituzione, che speriamo di poter soppiantare, la sovranità del popolo non sia garantita, davanti a fatti come quelli ai quali abbiamo assistito, qualcosa doveva succedere. Ed è successo quello che oggi ci permette di stare lavorando alla nuova Costituzione e di vivere questo processo. Quello che non doveva succedere è che si firmasse un accordo con le regole che hanno imposto al processo: i tempi per esempio. Siamo sopraffatti dalla premura imposta dalle scadenze e stiamo facendo tutti gli sforzi possibili per mantenerci nei tempi che ci sono stati imposti. Non siamo sicuri se ce la faremo, dato che la nostra volontà è quella di includere ed essere fedeli al processo di partecipazione democratica dei cittadini. Stiamo vivendo un grande momento di partecipazione, ma non è tutto, e c’è poco tempo. Non siamo ancora riusciti a includere alcune istanze di democrazia diretta, a partire dai cabildos locali o istallati nei municipi. Concludendo, è vero, si è firmato l’accordo “di pace”, tuttavia non ha installato la pace perché sono continuate le proteste e le violazioni ai diritti umani. L’accordo ha offerto una tregua solo al presidente Piñera.»

Quindi non condividi la decisione di Boric di firmare l’accordo…

«Non condivido le condizioni che ci hanno imposto e, comunque, l’accordo faceva parte del lavoro parlamentare che come deputati dovevano svolgere. E neppure condivido il fatto che l’accordo sia stato raggiunto tra quattro pareti. Spero rappresenti l’ultimo accadimento della prassi neoliberale che stiamo cercando di sradicare con la redazione della nuova Costituzione. Un esempio a partire da lì. Tutte le nostre sessioni sono aperte, non c’è nulla che non si sappia: le decisioni, le votazioni, come eleggiamo i coordinatori, la presidenza e la vicepresidenza, il denaro che riceviamo e come lo spendiamo per i nostri consiglieri e anche a livello personale. Oggi, per esempio, venerdì, sono a Santiago, in poche ore parto per Arica, mi fermo lì sabato e domenica e ritorno lunedì mattina. Tutto trasparente.»

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