Ventuno.news

Può un artista rifiutarsi di dare una canzone a un politico?

Immaginate di essere un musicista, più o meno affermato, e di sentire una vostra canzone durante il comizio di un politico che non vi va particolarmente a genio. Il rischio è quello di passare per sostenitori di questa o quella fazione, ma in realtà il vostro pezzo può diventare colonna sonora di una campagna elettorale senza che voi manco sappiate chi sia la persona che se ne sta servendo.

Seguendo i comizi politici capita di sentire davvero di tutto: da Matteo Salvini che lascia il palco sulle note di Un mondo migliore di Vasco Rossi, a Matteo Renzi (allora premier) in posa per le foto con Siamo chi siamo di Ligabue, fino a un improbabile – ma sempre godibile – Mark Knopfler per i titoli di coda di un intervento del governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini.

Vasco Rossi e Ligabue non sono però rispettivamente leghista e renziano, non necessariamente perlomeno.

Una volta che una canzone è depositata alla Siae questa diventa automaticamente disponibile per essere utilizzata, a pagamento, durante manifestazioni organizzate da partiti politici. Basta visitare il sito per vedere il listino delle tariffe. «Il compenso per il diritto d’autore varia per una serie di fattori», spiega Italo Mastrolia, avvocato e autore che si occupa di tutela artistica, «per i comizi, ad esempio, è sufficiente pagare  58,70 euro, mentre per la propaganda politica attraverso i diffusori con automezzi ne servono 134,40».

Musica vs politica

La risposta alla domanda se un artista possa impedire a un politico l’utilizzo di una propria canzone è: sì, in linea teorica, ma di fatto è molto difficile.

L’autore potrebbe infatti far valere propri “diritti morali”, che, spiega l’avvocato Mastrolia «rappresentano veri e propri diritti della personalità: nascono in capo all’autore al momento della creazione dell’opera e non possono essere trasferiti, nemmeno dopo la sua morte».

«Anche dopo la cessione dei diritti di utilizzazione economica sull’opera (edizione) – continua Mastrolia – l’autore conserva sempre il diritto di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione, e a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione. A stabilirlo è l’art. 20 della Legge sul diritto d’Autore (L. n. 633/1941)».

Un diritto che ad ora non è mai stato fatto valere in tribunale da nessun artista. Come afferma l’avvocato Mastrolia: «Non ci sono precedenti specifici in giurisprudenza». Di fatto in sede giuridica risulterebbe troppo complicato dimostrare che una canzone utilizzata durante un comizio sia oggettivamente un danno per la reputazione dell’autore.

C’è chi dice No

Il più delle volte succede che il musicista, utilizzando i canali social o tramite dichiarazioni pubbliche, si dissoci non mandandole a dire al politico di turno. Nel settembre del 2019 l’allora grillino Gianluigi Paragone pubblicò un video dove citava i versi della canzone C’è chi dice no di Vasco Rossi per palesare la propria contrarietà all’accordo fra Pd e M5s. La risposta del rocker di Zocca arrivò puntuale e perentoria: “C’è chi dice no lo dico io: i politici devono mettere giù le mani dalle mie canzoni! Che imparino a usare parole loro e a non strumentalizzare la musica!! C’è chi usa la mia musica per le sue campagne politiche e di opinione… voglio sia chiaro che io non autorizzo nessuno a farlo e per quanto mi è possibile cerco di impedirlo».

L’avvocato Mastrolia ricorda come sempre nel 2019 Gianni Togni e Guido Morra, autori del famoso brano Luna «espressero forti doglianze per il video con il quale il Sen. Gaetano Quagliariello – del partito IdeA (Identità e Azione) – sosteneva il candidato Sindaco di Bari. Nel video veniva utilizzata la canzone addirittura travisata nel testo. Il tutto si risolse con il ritiro del video e le scuse del senatore».

A vote poi a irritarsi sono gli eredi. Quando nel 2018 Matteo Salvini (allora ministro) utilizzò in una manifestazione in piazza del Popolo a Roma il brano Ma il cielo è sempre più blu si scontrò con il dissenso di Anna Gaetano, sorella e unica erede del grande Rino. «Siamo stufi: le canzoni di Rino Gaetano non vengano più utilizzate dalla politica», furono le parole di Anna Gaetano riprese da tutti i giornali. «Non voglio che la musica di Rino sia mischiata alla politica. Non mi piace che venga utilizzato così, mi dissocio. Sono la sorella, posso dire la mia?».

Musicisti schierati

Può però anche succedere che l’artista conceda volentieri la propria musica a scopi di propaganda politica.

Prima di essere eletto a beniamino dei diritti Lgbt Fedez era già “sceso in politica” con il brano Non sono partito per il raduno al Circo Massimo di Italia 5 Stelle. «Ringrazio Fedez che ci ha dedicato una canzone per sostenere l’iniziativa mettendoci la faccia e dimostrando che le nuove generazioni hanno coraggio e voglia di esprimere un pensiero nuovo», le parole di Beppe Grillo.

Walter Veltroni candidato premier alle elezioni del 2008 con il neonato Pd chiese a Jovanotti di poter usare il brano Mi fido di te. «Guarda che in realtà questa canzone parla di perdita, perché dice ‘cosa sei disposto a perdere’. Non è proprio un inno per trionfare… Non è una bandiera per una campagna elettorale», gli fece notare l’artista toscano che alcuni anni dopo ha raccontato che «a lui, Veltroni ndr., però piaceva l’inizio, non aveva sentito la fine del ritornello». Per la cronaca, alle elezioni Veltroni perse.

E poi ci sono i pentiti, e qui spicca su tutti Ivano Fossati. La sua La Canzone popolare fu utilizzata, con il consenso dello stesso Fossati, come colonna sonora della campagna elettorale dell’Ulivo nel 1996. «Oggi non lo rifarei», ha confessato anni dopo, «per dieci anni non l’ho più potuta suonare in concerto altrimenti sembrava un comizio».

Insomma la sfida musica contro politica si ripropone ad ogni campagna elettorale. A meno che il politico non prenda in mano la situazione e si componga lui stesso musica e parole per i suoi scopi. È il caso di Silvio Berlusconi, e non stiamo parlando dell’indimenticabile Meno male che Silvio c’è scritta da tal Andrea Vantini, ma dell’inno del 1993 composto da Renato Serio con testo di Berlusconi. In questo caso ha perso la musica, ma almeno non ci sono state polemiche.