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Rizzo (Pc): «Ripartire da Gramsci per cambiare la società»

«Essere comunisti è una scelta giusta: oggi come e più di cento anni fa». A dirlo è Marco Rizzo, segretario generale del Partito comunista, raggiunto al telefono da Ventuno. Idee vecchie? «Per nulla, il modello capitalista è molto più vecchio». Cento anni fa, a Livorno, nasceva il Partito comunista d’Italia. Non rinnega quella storia Rizzo, secondo cui «un altro sistema non solo è possibile, ma è necessario». E in piazza oggi va contro Draghi («l’uomo delle banche»). Obiettivo? «Un cambiamento radicale di società, ripartendo dall’unità tra lavoratori e ceto medio impoverito».

Rizzo, cento anni fa nasceva il Partito comunista d’Italia. Lo scorso 21 gennaio lo hanno ricordato tanti che comunisti non lo sono più. O che non lo sono mai stati. Lei invece come lo ricorda?

«Una storia di ragioni, quelle di una scelta che era ed è giusta. Di Gramsci e dei compagni che hanno dato vita al Partito comunista. Quel mondo ingiusto che appariva all’epoca, e lo era, oggi mantiene inalterata la carica di ingiustizia e follia del modello di produzione capitalista. Oggi, con l’innovazione tecnologica, la scienza, il progresso, potremmo vivere tutti bene, lavorare meno, lavorare tutti. E invece il lavoro diventa quasi una chimera, lo stato sociale viene abbattuto e le ricchezze si concentrano nelle mani di pochissimi. Poche persone hanno la ricchezza della metà del mondo più povera. Si tratta di monopoli capitalistici, gruppi finanziari, banche che hanno più potere degli stati. Se Trump (che a noi non piace), durante la campagna elettorale viene censurato da Twitter, vuol dire che Twitter è più potente del presidente degli Stati Uniti. Quindi le ragioni di giustizia, solidarietà e uguaglianza sono valide più che mai».

Cosa rimpiange e cosa non rimpiange di quella storia?

«Gramsci è stato tradito. Il Pcd’I del 1921 ha forgiato uomini d’acciaio con il sangue e il sacrificio per arrivare alla Resistenza, alla Liberazione, al primo Dopoguerra, dove il Pci ha contribuito a cambiare il nostro Paese in meglio con lotte sociali che hanno cambiato l’orizzonte dei lavoratori. Poi, poco alla volta, dall’interno, a partire dagli anni ’70 si sono cominciate a comporre teoricamente delle idee eclettiche, bislacche, come l’eurocomunismo, il compromesso storico, la fine della spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre, la Ue. Le lotte sociali, inoltre, sono state poco a poco abbandonate, puntando molto sui diritti civili. Quasi che il Pci abiurasse alla sua formula vincente originaria e si trasformasse nel Partito Radicale di Pannella… Con la svolta della Bolognina, nel 1989, non solo si è chiuso con i simboli del lavoro e con il nome comunista, ma si è intrapresa una china che ha portato (attraverso la genesi Pci, Pds, Pd) a flirtare con le banche, ad abolire l’art. 18, a sposare la Nato e la Ue. Fino a Renzi e Zingaretti. Cose per cui Gramsci si rivolta nella tomba. Noi del Partito comunista, nani sulle spalle dei giganti, stiamo ricercando con modestia le origini e l’attualizzazione di quella teoria secondo la quale un altro sistema non solo è possibile, ma è necessario».

Cosa vuol dire oggi essere comunisti? Come risponde a chi accusa i comunisti di portare avanti idee vecchie?

«Questa dicotomia vecchio-nuovo è una non conoscenza della storia. Il meccanismo del capitalismo si chiama “di mercato” e viene dalle società mercantili, che sono del 1300-1400. Il modello capitalista quindi è molto più vecchio di socialismo e comunismo. Il comunismo è la presa del potere politico da parte di chi lavora. Il socialismo è la socializzazione dei grandi mezzi di produzione. Quindi i piccoli imprenditori e gli artigiani non devono temere nulla dal socialismo. Sono gli Elkann, che prendono 6,3 miliardi di euro di prestito garantito dallo Stato mentre hanno la sede legale in Olanda e producono la Panda in Polonia, che devono temere il comunismo. Sono i signori Benetton, che continuano a mantenere le concessioni autostradali, a dover temere il comunismo. Così come quelle grandi aziende italiane che hanno la sede legale in Olanda o il signor Amazon Jeff Bezos, che paga il 3% di tasse».

Partito comunista in piazza a Livorno per celebrare il centenario dalla nascita del Pcd’I. Foto dalla pagina Facebook Partito Comunista Livorno

Come mai allora in Italia, ma anche in Europa, non si afferma questa teoria politica, nonostante la tradizione del Pci?

«Perché abbiamo perso. La caduta dell’Urss e del blocco socialista hanno pesato. I vincitori determinano la cultura, il senso comune, i due pesi e le due misure. Però se guardiamo al mondo, un miliardo e mezzo di cinesi sono governati da un partito comunista, in Russia il Partito comunista è il secondo partito, in India pure sono molto importanti i comunisti. La sanità pubblica funziona meglio in Cina o negli Stati Uniti? In Cina o in Italia? Senza voler prendere a modello la Cina, ma lì l’economia viene governata dalla politica, qui l’economia e la finanza governano la politica. Esattamente il contrario».

Soprattutto durante la pandemia le disuguaglianze continuano ad aumentare. Come giudica la gestione sanitaria dell’Italia? Vede continuità o differenze tra Conte e Draghi?

«Conte è stato disastroso. L’Italia ha speso 165 miliardi di euro in più l’anno scorso. Quello che aspettiamo dall’Europa in sei anni sono 209 miliardi, per una parte già inseriti nel bilancio dello Stato. Quindi abbiamo speso tanto quanto ci arriverà dall’Europa con prestiti condizionati. E come risultati abbiamo avuto 100mila morti, una perdita di quasi il 10% del PIL e mezzo milione di disoccupati in più. Una cosa enorme. Con Draghi non ho visto assunzioni di medici e infermieri in larga scala, non ho visto un’idea di rilancio della sanità pubblica, che sarebbe l’unico modo per battere questo virus, in particolare con la medicina di prossimità territoriale. Quindi non vedo alcuna differenza tra Conte e Draghi, se non che prima c’era un tizio un po’ bizzarro, Arcuri, e ora c’è un generale…»

Al di là della gestione sanitaria, però, non vede differenze? Non giudica positivamente alcune misure di impatto sociale, come per esempio il reddito di cittadinanza?

«Il reddito di cittadinanza è un disastro, perché dovrebbe essere un reddito di emergenza per le situazioni di vera povertà e invece ci sono stati abusi. La povertà va battuta ma bisogna sviluppare il lavoro, anche con piani straordinari di lavoro pubblico: per la sanità, per la manutenzione del territorio. Quando piove c’è sempre un disastro, si potrebbero fare grandi investimenti».

L’intervento pubblico, però, viene visto un po’ come fumo negli occhi. E Draghi non sembra voler perseguire questa strada. Lei che ne pensa?

«Draghi è un banchiere, nessuno mi convincerà che possa difendere il popolo italiano, il ceto medio impoverito, i lavoratori. È l’uomo della Bce, della Goldman Sachs, della lettera Draghi-Trichet, della troika in Grecia. Certo, gode di buona stampa, ma il mio giudizio non cambia».

M5s e Pd sembrano in crisi totale, soprattutto dopo la caduta del governo Conte…

«Il governo Draghi sancisce la morte della politica. Il M5s ha detto una cosa e ha fatto esattamente il contrario: è arrivato a votare l’uomo delle banche. Il Pd, come detto prima, è lo stravolgimento del Partito comunista e il partito più affine alle banche. Basti pensare all’ex ministro dell’Economia Padoan, che dopo un breve periodo da deputato del Pd è diventato presidente della seconda banca italiana (Unicredit, ndr). Il Pd ci ha sempre insegnato che contro la destra serviva il voto utile: ora governa con Salvini. E Salvini, che diceva di essere contro la Ue e l’euro, adesso governa con Draghi. Ma come fanno questi signori della politica a guardarsi allo specchio? La stessa Meloni vota contro ma non perde un secondo per dire quanto sia bravo Draghi. Per noi non è bravo: è pericoloso, fa gli interessi dei gruppi multinazionali, delle banche e della finanza e non dei lavoratori e del ceto medio impoverito».

Lo scorso 27 febbraio avete manifestato contro Draghi. Lei pensa che il Partito comunista in questo momento possa rappresentare l’unità dei comunisti? Perché ci sono divisioni perenni anche tra comunisti, non solo nella storia della sinistra…

«Abbiamo dimostrato che la battaglia politica si può fare, inaugurando un coordinamento unitario di forze contro il governo Draghi e scendendo in piazza in tante città italiane. Una per regione. I comunisti, per essere comunisti, non devono mischiarsi con questa politica compromessa, quindi con i governi e con la concertazione sindacale. Inoltre devono non vergognarsi della propria identità e del proprio simbolo. Il Partito comunista è stato l’unico partito a presentarsi con la falce e martello alle elezioni politiche nel 2018 e a quelle europee nel 2019. Gli altri o si sono camuffati sotto altre liste o non si sono presentati».

Marco Rizzo in piazza a Roma lo scorso 27 febbraio

Tornando alla crisi del Pd, lei pensa che ci siano spiragli per incunearsi in quelle fratture, provando a recuperare almeno un po’ di elettorato?

«Noi non vogliamo avere nulla a che fare con il Pd e con questa sinistra fucsia. Non ci interessano le forze politiche. Noi abbiamo una strategia molto chiara di alleanze sociali: mi interessano di più un tassista che vota Lega, un artigiano che vota Fratelli d’Italia o un commerciante che non vota, rispetto a Zingaretti, Vendola, Fratoianni e frattaglie varie».

L’obiettivo resta il socialismo?

«Il cambio della società. Ma finché non c’è il socialismo si possono fare cose importanti anche dall’opposizione, con un Partito comunista forte e diversi rapporti di forza».

Ripartire da Gramsci, quindi?

«Assolutamente. Ripartire da Gramsci, dalla classe operaia, dal lavoro che cambia, dall’unità tra la classe lavoratrice e il ceto medio impoverito. Da una strategia di cambiamento radicale generale della società».