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Schiavi e tempi moderni

I contadini colombiani producono quasi l’80% della cocaina a livello mondiale. Un chilo di cocaina costa 150.000 dollari all’ingrosso. I contadini colombiani guadagnano in media 1.000 dollari annui. Se i salari dipendono a) dalla legge dell’offerta e della domanda e b) dalla salute delle aziende (per cui quelle italiane non potrebbero pagare un salario minimo comunque inferiore a quanto pagano in Francia, in Germania, in Gran Bretagna o in Spagna), i bassi salari dei contadini colombiani dovrebbero derivare a) dal fatto che il loro lavoro non è richiesto; b) dal fatto che i trafficanti guadagnano poco. La sola formulazione della domanda suona assurda. Eppure, la risposta degli economisti sarebbe proprio quella: i salari dipendono esclusivamente dal mercato.

Nel Congo, centinaia di migliaia di uomini e donne, e decine di migliaia di bambini, estraggono il cobalto a mani nude. Il cobalto è altamente tossico a contatto con la pelle. Producono il 75% del cobalto nel mondo. Il loro salario fluttua tra 2 e 7 dollari al giorno. 7 dollari, quelli guadagnati nei giorni buoni, non bastano per sfamare una famiglia. I bambini, ça va sans dire, non conoscono le scuole. Il cobalto è essenziale per le batterie dei telefoni, dei computer e delle automobili. I primi beneficiari sono le grandi corporation – Apple, Tesla, Samsung, Microsoft – e gli investitori cinesi che partecipano all’affare da oltre un decennio. Poi, i consumatori globali che, nella loro stragrande maggioranza, preferiscono ignorare l’esistenza degli schiavi moderni. I principali pregiudicati sono le centinaia di migliaia di bambini congolesi e l’ecosistema globale, poiché questa attività richiede la scomparsa di grandi aree di boschi naturali. Gli economisti chiamano quest’ultimo fatto “esternalizzazione”. Un nome che rieccheggia altri, da “perdite collaterali” a “morti per caso”.

Il lavoro schiavo è diffuso in diverse regioni dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. Non si deve pensare allo zio Tom che, peraltro, è sempre stato un falso ma, in molti casi, gli schiavi del XIX secolo si alimentavano meglio e consumavano meno veleni degli schiavi del XXI secolo nelle miniere di cobalto del Congo, nelle montagne di rifiuti elettronici del Ghana e della Tanzania o tra le famiglie del Golfo. E, comunque, nel XIX secolo la oscena differenza sociale ed economica tra gli schiavi ed i loro proprietari era inferiore a quella attuale tra questi produttori cosiddetti liberi ed i grandi proprietari delle transnazionali.

La mucca sacra chiamata mercato può pagare meglio i lavoratori. Ma non conviene. Una persona in stato di necessità (per debiti o povertà) è uno schiavo moderno, docile, manipolabile, funzionale. Come lo sono i paesi poveri indebitati.

Se i salari dipendessero effettivamente dalla legge dell’offerta e della domanda, i lavori più duri alla base della piramide e le élite accademiche e scientifiche sarebbero i meglio pagati. Basta guardarsi attorno per verificare che non è così. Questa scusa propagandistica, nata dalla microclasse al potere, è riprodotta senza tregua dalla loro catena funzionale che, partendo dagli amministratori delegati, comprende comunicatori, propagandisti, politici, mercenari, maggiordomi, e arriva fino ai lavoratori alla giornata e persino ad alcuni mendicanti, servendosi di una serie di istituzioni (governi, parlamenti, media, scuole, università, chiese, club, eserciti, polizie …) che garantiscono la sacralità della proprietà privata e rendono simile la proprietà del palazzo di Versailles alla proprietà di una nicchia nel cimitero del Cairo (per abitarci) o di un pied-à-terre sotto un ponte di São Paolo (idem). Ciò dimostrerebbe l’universalità, tra uguali, di questo diritto.

La razionalità capitalista preme costantemente per diminuire i costi ed aumentare i profitti mantenendo i gruppi marginali in perpetua produzione indotta dal bisogno per debiti o povertà. Lo stato perpetuo di bisogno spinge lo schiavo a cercare di diventare schiavista come premio al suo sacrificio. Le statistiche dicono che un 1% ci riesce. E diventa famoso, perché compare su tutte le riviste patinate, a dimostrazione che le opportunità esistono per tutti.

Torniamo a capo: perché i contadini colombiani, i bambini congolesi ed altri schiavi guadagnano così poco? Perché guadagnano così poco i congolesi, essenziali per la catena di commercializzazione del cobalto ed il funzionamento del nostro mondo digitale? Perché i loro salari non sono sufficienti per sussistere ed i loro diritti sono inferiori ai diritti degli schiavi di 200 o 300 anni fa?

Guadagnano così poco perché mantenere una massa di popolazione in stato di grave necessità è essenziale per mantenere il potere di coloro che occupano il vertice del sistema. Tutto il resto è fumo negli occhi, come lo è buona parte delle teorie economiche spacciate per verità assolute nelle tv e nelle facoltà di economia.

Infine: a proposito di umanità, umanesimo e senso di appartenenza ad una sola razza, quella umana: quale sarebbe la differenza per questi schiavi moderni tra l’ubbidienza alle élite umane che li sfruttano selvaggiamente da secoli o mettersi al servizio, mettiamo, dei robot dell’Intelligenza Artificiale (o dei marziani evocati da Kundera parlando delle credenze religiose)?

È vero che, ogni tanto, la brutalità trova qualche limitazione. Avviene perché non tutti gli umani hanno dimenticato l’esistenza di una cosa chiamata dignità. Dignità che, non a caso, di solito si scontra con gli incommensurabili poteri (economici, politici e mediatici) di coloro che comandano, e con la complicità, l’indifferenza o l’amnesia di molti tra coloro che obbediscono.

“E adesso”, disse su La7 recentemente l’onorevole piddina Barbara Serracchiani, “abbiamo a disposizione tutto il tempo necessario per discutere tranquillamente di salario minimo”. Senza equiparare situazioni molto diverse direi che, evidentemente, né il salario né il tempo hanno lo stesso valore per tutti.