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Land grabbing, impatto e rischi del nuovo colonialismo sulle terre

Tractor harvest grains of wheat in a farm field. Original public domain image from Wikimedia Commons

Cosa si intende per land grabbing?

Il land grabbing (accaparramento della terra) è un fenomeno che esiste da molto tempo, ma che è esploso con la crisi dei prezzi agricoli verificatasi negli anni che vanno dal 2007 in poi, quando venne posto il problema della sicurezza alimentare nei paesi sviluppati. Dal 2008, inoltre, la Banca mondiale adottò una politica agricola basata sul libero scambio, che mise fine a qualsiasi limite all’acquisto di terre appartenenti a paesi del sud del mondo. Ciò diede vita a un flusso di investimenti e di capitali provenienti da paesi sviluppati o emergenti. L’obiettivo è l’acquisizione di terreni per lo sviluppo di monocolture (utilizzate nella maggior parte per gli allevamenti intensivi) o per l’estrazione di risorse.

Chi compra e chi vende

Cina, Stati Uniti, Gran Bretagna, Svizzera, Canada e Russia sono i principali investitori. Mentre i principali paesi che vendono sono Perù, Repubblica Democratica del Congo, Ucraina, Brasile, le Filippine e la stessa Russia. Tra i continenti, a essere più colpita è l’Africa, dove tra i grandi investitori vi sono anche paesi del Medio Oriente quali Arabia Saudita, Qatar, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti. Alcuni casi specifici riportati sono le operazioni di compagnie petrolifere in Amazzonia, l’estrazione di cobalto nella Repubblica Democratica del Congo, l’estrattivismo di petrolio e minerali in Perù e gli investimenti terrieri in Camerun e Angola.

Un fenomeno in crescita

Dall’ultimo rapporto Focsiv (Federazione di Organismi di Volontariato del Mondo) del 2022 emerge come siano 91,7 milioni di ettari le terre che sono state accaparrate in questi ultimi 20 anni a danno delle comunità locali, dei contadini e dei popoli nativi (qui il link al rapporto).

All’interno del fenomeno del land grabbing negli ultimi dieci anni sono emersi sicuramente fenomeni nuovi, complessi e contraddittori, perturbati ulteriormente con la pandemia di Covid-19. Da un lato emerge chiarissimamente lo stabilizzarsi del livello numerico e di superfici coinvolte nei grandi investimenti fondiari, così come una loro diffusa criticità a livello operativo, come suggerisce l’elevato tasso di fallimenti riferiti a determinati contesti produttivi e colture (es. le bioenergie in Africa). Dall’altro lato emergono esternalità complesse e in opposizione le une con le altre, dai limitati impatti positivi a livello di reddito e di trasferimento tecnologico in alcuni areali, ai devastanti impatti ambientali, sociali e sanitari nei contesti dove le acquisizioni implicano la deforestazione e la distruzione di habitat naturali.

Le conseguenze

Dal 2016 il land grabbing è stato inserito tra i reati ambientali più gravi secondo la Corte penale internazionale. Le colpe dell’accaparramento sono quelle di costringere all’abbandono delle loro terre migliaia di contadini e intere comunità violandone i diritti umani. Costringe a un’urbanizzazione forzata poiché una volta persa la terra, molte persone sono costrette a riversarsi nelle enormi baraccopoli ai margini delle metropoli. Per molti infatti il land grabbing è considerato una minaccia alla sovranità dei paesi in via di sviluppo o più poveri del mondo e mina la sopravvivenza delle comunità locali. Per questo è definito come nuova forma di colonialismo.

Nonostante l’allarme dato da varie organizzazioni internazionali, il fenomeno non sembra attenuarsi. È considerato una grande minaccia per la sostenibilità del pianeta di cui si parla poco e che giorno dopo giorno peggiora le condizioni del pianeta e della sua biodiversità.