Stefano Fassina: «Dal lavoro all’ambiente, bisogna fare la Sinistra. Con il M5s di Conte»

«Sinistra è chi sinistra fa». Si potrebbe riassumere con questo motto, ispirato al film Forrest Gump, il senso di quest’intervista. Che è anche il senso di un libro: Il mestiere della Sinistra nel ritorno della Politica (Castelvecchi editore). A dirlo, intervistato al telefono da Ventuno – e a scriverlo nel libro, con i suoi otto memo per ricordare alla Sinistra (la maiuscola è voluta) la sua vera missione – è Stefano Fassina.

Classe 1966, economista e politico romano, ha conciliato gli studi alla Bocconi e il lavoro al Fondo monetario internazionale con la militanza politica. Sempre a sinistra: dal Pci alla rottura con il Pd, per ripartire da Si e più tardi dall’associazione Patria e Costituzione. Già deputato, viceministro dell’Economia e delle Finanze e consigliere comunale nella Capitale, oggi non siede in Parlamento ma tesse la tela di una Sinistra in costruzione, nella quale il M5s di Giuseppe Conte è centrale. Anche a questo scopo ha contribuito a far nascere Coordinamento 2050, rete che punta a riunire il fronte progressista.

Partiamo dal suo libro. A chi si rivolge e perché l’ha scritto?

«Si rivolge a un’area di sinistra in senso lato: una parte del Pd, sia di provenienza Ds sia cattolica, tutta l’area di sinistra frammentata fuori dal Pd, il M5s, le persone impegnate sul terreno civico, sociale, culturale. L’obiettivo è ricordare a quest’area ampia e variegata la missione specifica della Sinistra».

Qual è?

«In particolare insisto sul lavoro come missione specifica distintiva: proteggere e dare valore al lavoro, che negli ultimi 30 anni, a causa del dominio del mercato e dell’impianto neoliberista, è stato estremamente svalutato. Da lì, poi, vanno affrontate tutte le altre questioni assillanti del nostro tempo. A cominciare dalla conversione ambientale e ahimè anche dalla guerra, che è tornata prepotente a travolgere l’Europa».

Tra Covid e guerra, come scrive, siamo piombati in una nuova fase che segna la fine della “fine della Storia”, citando Francis Fukuyama. Una nuova era in cui è tornata fondamentale la Politica. Il “mestiere”, invece, è una parola non usata a caso…

«Sì, mestiere è un termine che indica un rapporto col fare che non è di alienazione, ma dove la persona si esprime, trova dignità e dà un senso alla sua partecipazione alla comunità. Il mestiere indica anche una professionalità, che richiede competenze. Lo stesso termine intende ricordare che non basta dichiararsi di sinistra, bisogna fare la sinistra, esercitare questo mestiere con consapevolezza. Poi mestiere ha la stessa radice etimologica di ministro in senso religioso, cioè di chi mette le proprie competenze al servizio della comunità».

“Sinistra è chi sinistra fa”, come recita un suo motto. Ecco: chi è ‘sinistra’, a livello ufficiale? Il M5s?

«Il M5s ritengo abbia fatto cose di sinistra in questi anni, prima al governo e poi fuori dal governo, sotto la guida di Giuseppe Conte. Ricordo il decreto Dignità – la prima inversione di rotta rispetto alle tante leggi di precarizzazione del lavoro fatte ahimè anche dalla sinistra ufficiale, di cui il Jobs Act è solo l’ultimo esempio – il reddito di cittadinanza, il blocco dei licenziamenti durante la pandemia (unico caso in Europa, a parte la Spagna che dopo di noi ha ripreso le nostre misure e le ha attuate per un brevissimo periodo). In questa fase la sinistra ufficiale è in grande difficoltà nel suo rapporto con il mondo del lavoro, mentre il M5s guidato da Giuseppe Conte segna dei punti importanti, anche sul versante ambientale, che è l’altra grande emergenza alla quale prestare attenzione prioritaria».

Nel libro, Sinistra e Politica sono scritte con le maiuscole. È una dimensione ideale, sono quelle che sogna la sinistra e la politica che racconta, mentre quelle presenti nella realtà non si meritano la maiuscola?

«Sì, è così. Sia per la sinistra sia per la politica mi sembra inopportuno in questa fase usare le lettere maiuscole, che vanno utilizzate per gli obiettivi da raggiungere. Ovvero: una sinistra che re-impara a fare il suo mestiere e una Politica che assume piena consapevolezza del suo ritorno in campo. La Sinistra e la Politica con le maiuscole sono state sostanzialmente svuotate».

Perché?

«Perché dopo il crollo del Muro di Berlino e il dominio culturale dell’ideologia neoliberista, la sinistra ufficiale, rassegnata e consapevole oppure inconsapevole, ha creduto alla favola della “fine della Storia”, del mercato e del trionfo globale della democrazia liberale».

E ora?

«Adesso siamo di fronte alla conclamata insostenibilità sociale, ambientale e anche spirituale dell’ordine neoliberista, emersa nel 2008 con la crisi dei mutui subprime e poi tornata evidente nel 2016 con la Brexit nel Regno Unito e l’elezione di Donald Trump negli Usa. Di fronte a queste evidenze la Sinistra e la Politica devono ritrovare la loro funzione. Non a caso le metto insieme. Lo svuotamento di funzione della Sinistra è stato conseguenza del ridimensionamento della funzione della Politica: se facevano tutto i mercati, c’era solo amministrazione e non serviva più la Politica. Quindi nemmeno la Sinistra».

Riporto due osservazioni di Mario Tronti a commento del suo libro. Nella prima, il prof. scrive: “I padroni del mondo vanno spaventati. Solo così sono disposti a concedere qualcosa”. Citandola, il prof. continua: “Il riformismo senza una minaccia rivoluzionaria non ottiene nemmeno quello che chiede”. Come risponde?

«Il punto è molto rilevante ed è assolutamente vero che se i padroni non vengono spaventati diventa tutto più complicato. Senza la minaccia dell’Urss, dopo la Seconda Guerra mondiale, in Europa (ma anche negli Stati Uniti) non si sarebbero costruiti i sistemi di welfare che abbiamo conosciuto, quindi Mario Tronti individua un punto vero. Dal 1989 è venuta meno quest’alternativa di sistema e anche lì c’è una spiegazione rilevante all’indebolimento della sinistra. Temo che dobbiamo andare avanti senza quell’alternativa. Per rispondere, io me la cavo riprendendo il titolo di un libro di un altro grande intellettuale della Sinistra scomparso poco meno di un paio di anni fa, Franco Cassano: siamo Senza il vento della Storia. Dobbiamo esercitare il mestiere della Sinistra senza il vento della Storia, quindi senza quella minaccia (leggi anche Palmisano e il Pensiero Meridiano: «Mediterraneo tradito, l’Europa deve offrire diritti», ndr). A Mario, poi, dico che “il sogno di una cosa”, che lui giustamente evoca, in questa fase ritengo possa essere la nostra Costituzione».

Mi ha anticipato: la seconda osservazione del prof. Tronti riguarda proprio la mancanza di una vera alternativa, di un orizzonte. “La strategia dei piccoli passi non scalda i cuori”. Non più il socialismo o il sol dell’avvenire: già ritornare alla Costituzione potrebbe essere una prospettiva valida per la Sinistra?

«Più che ritornare, attuare, perché siamo rimasti sempre estremamente lontani dalla sua piena attuazione. Quindi è un orizzonte programmatico molto ambizioso. Il punto fondamentale tra quello che dovrebbe essere Sinistra e quello che non lo è sta nelle quattro libertà di movimento (persone, merci, servizi e capitali) celebrate dal neoliberismo come fondamentali, che nei trattati europei sono considerate libertà assolute. Nella Costituzione italiana invece – agli articoli 41 e ss. – le libertà economiche vengono tutelate se non in contrasto con l’utilità sociale».

Scendiamo nella realtà, nella politica che abbiamo. Il Pd vive una fase travagliata, tra pochi mesi ci sarà il congresso. Cosa si aspetta, cosa auspica? Pensa che possa ancora davvero essere ritenuto un partito di sinistra?

«Il Pd rappresenta i settori benestanti della società. Lo dicono i dati sul voto del 25 settembre: è il primo partito tra i quadri e i manager, mentre tra operai, disoccupati, lavoratori precari viene dopo il M5s, Fd’I, la Lega. M’aspetterei che il Pd riconoscesse realisticamente l’importanza di costruire le condizioni per una prospettiva di alleanza progressista con il M5s, che rappresenta quei ceti sociali complementari rispetto a quelli rappresentati dal Pd, maturando una maggiore attenzione alle periferie sociali – come le chiamo nel libro -, una maggiore consapevolezza di quello che è l’Europa reale e una maggiore maturità rispetto all’alleanza atlantica. Di questa alleanza progressista l’Italia ha straordinariamente bisogno».

Proprio a proposito del M5s: Conte è un leader di sinistra?

«Giuseppe Conte ha avuto una capacità notevole nel Conte2, è riuscito a realizzare politiche importanti a sostegno del lavoro, della piccola impresa e di contrasto alla disuguaglianza. Terminata quell’esperienza, ha portato avanti il percorso iniziato, in un contesto estremamente difficile. In questi mesi ho particolarmente apprezzato la capacità di critica rispetto alla vicenda della guerra: ha confermato una chiara posizione di sostegno all’Ucraina, condannando senza se e senza ma l’invasione russa, ma ha anche messo in evidenza la necessità di andare verso una credibile iniziativa diplomatica. Senza esaurire il sostegno all’Ucraina nella linea ‘più sanzioni, più armi’, perché porta all’escalation e non a una vittoria dell’Ucraina. Quindi ritengo sia corretto definire progressista la linea impressa al M5s».

Ecco: lui stesso definisce se stesso e il M5s progressista, ma non dice mai la parola sinistra. Lei pensa sia un leader di sinistra?

«Mah, sinistra è chi sinistra fa, come ricordava lei. Capisco anche che chi ha una storia diversa dalla mia faccia fatica, per quello che è stata la sinistra negli ultimi 25-30 anni. In particolare in Italia, dove non ha un curriculum particolarmente edificante, soprattutto verso le fasce sociali più in difficoltà (tanto è vero che non la votano). Capisco, quindi, che chi vuole segnare una discontinuità di politiche per fare la sinistra eviti di definirsi di sinistra».

Giuseppe Conte (a sx) e Stefano Fassina

Come valuta la figura di Alessandro Di Battista? In questo momento sta facendo politica ma da fuori. Non è anti-M5s ma nemmeno nel M5s. Cosa pensa potrebbe apportare al M5s se ci rientrasse?

«Alessandro, con il quale ho un rapporto di amicizia, sta svolgendo un’attività importante su un terreno più culturale, che ritengo utile. Poi valuterà lui naturalmente, rispetto anche a una fase molto diversa rispetto alle origini del M5s, sia per il contesto sia per il profilo che il M5s si è scelto, come è meglio che dia il suo contributo (leggi anche Di Battista: «L’obbedienza agli Usa non è più una virtù. Il neo-M5s? Attendo le proposte politiche», ndr). Per quanto mi riguarda, insieme a tanti altri, ho dato vita al Coordinamento 2050 per costruire un rapporto organico con il M5s, perché riteniamo in questa fase, proprio per i soggetti sociali che rappresenta, sia lo spazio politico che offre maggiori opportunità per fare la Sinistra».

Ecco, avrei chiesto proprio questo: Coordinamento 2050, che si definisce civico, ecologista e di sinistra. Cos’è? Una rete, una piattaforma? E cosa si propone di fare?

«È una rete che prova a coordinare tante esperienze che esistono sui territori. L’obiettivo è dare una prospettiva di lavoro unitario con il M5s e un polo progressista. E anche ricostruire quell’alleanza con il centrosinistra che è necessaria per dare un governo progressista all’Italia».

A sinistra della sinistra esiste un mondo variegato ed enorme, anche se elettoralmente poco influente. Penso, tra gli altri, a Unione popolare. Non pensa che, anche se non vuole avere più nulla a che fare con quella sinistra ritenuta responsabile della situazione catastrofica di oggi, sia da tenere in considerazione (leggi anche Acerbo (Prc): “Pace, ambiente, lavoro e diritti: costruiamo l’Unione Popolare”)?

«Certamente è un mondo dove vi sono straordinarie energie morali, culturali, sociali, politiche. Dopodiché dobbiamo prendere atto che c’è qualcosa che non va, facciamo fatica a entrare in sintonia con le fasce più in difficoltà. Non a caso questa sinistra che si definisce radicale ha un insediamento analogo a quello del Pd, tra le fasce benestanti. Quindi credo serva una profonda autocritica».

Sono radical chic?

«No, sono poco chic e vivono anche condizioni di disagio sociale notevoli. Però vanno affrontatati alcuni tabù affinché riusciamo a parlare anche a chi nelle periferie vive in straordinaria difficoltà. Quindi abbiamo necessità di ridefinire il nostro linguaggio e le nostre priorità di agenda. Rimettere insieme i cocci di quello che siamo stati non funziona, per questo Coordinamento 2050 non intende fare l’ennesimo partitino ma contribuire a rafforzare il profilo progressista, che oggi è interpretato dal M5s guidato da Conte».

Però se uno di questi “partitini” o un nuovo soggetto della sinistra radicale riuscisse magicamente a ricostruire un polo politico di massa in grado di rappresentare e prendere i voti delle classi popolari, alla Mélenchon con la sua France Insoumise diciamo, non penso che le darebbe fastidio…

«Applaudirei e lo voterei. L’esperienza di Mélenchon, però, nasce molto in rottura con la sinistra ufficiale, anche quella radicale: è un’invenzione che già a partire dal nome non si richiama alla sinistra. E non credo sia un caso. In Spagna c’è Podemos che non si chiama sinistra, in Italia c’è il M5s (leggi anche Lenny Bottai: «Per recuperare le masse popolari serve una sinistra di classe», ndr)».

Voi di Coordinamento 2050 avete recentemente criticato la candidatura di Alessio D’Amato alla presidenza del Lazio, per la convergenza con Azione-Italia Viva. Nei giorni scorsi si è parlato anche di una sua possibile candidatura alla guida della Regione: è così?

«No, quella è stata un’invenzione giornalistica. In queste settimane abbiamo lavorato alla costruzione dell’alleanza progressista nel Lazio. Non abbiamo criticato Alessio D’Amato, ma l’operazione politica che continua a negare l’unica prospettiva interessante, ovvero l’alleanza tra Pd e M5s. La coalizione che sostiene D’Amato non ha la possibilità di vincere, quindi stiamo ripetendo il film che abbiamo visto il 25 settembre a livello nazionale».

Impegni futuri, presentazioni in programma?

«Continuerò a presentare il libro con esponenti del Pd, del M5s, della sinistra e intellettuali d’area, da Vicenza a Napoli, da Firenze a Lecce. E ancora: Palermo, Messina, Catania, Verona, Monza, Torino. La destra dà risposte sbagliate a domande profonde e sentite dalle fasce più svantaggiate della società. Non dobbiamo negare le domande: oltre a criticare le risposte sbagliate della destra dobbiamo dare risposte adeguate».