«Italia, la miglior estate sportiva di sempre»

Sì, l’estate 2021 per l’Italia è stata la migliore di sempre quanto a risultati sportivi. Difficile infatti non essere iperbolici di fronte alle imprese azzurre degli ultimi due mesi, iniziate con le Notti magiche che hanno riportato la Nazionale di calcio a vincere gli Europei dopo 53 anni e culminate con dei Giochi Olimpici di Tokyo da 40 medaglie. Miglior bottino ‘quantitativo’ a cinque cerchi della storia – superata Roma 1960, l’ospitata dal nostro paese – suggellato dall’inedita vittoria di un italiano, Marcell Jacobs, nella gara regina dei Giochi, i 100 metri, e sublimato dall’ormai iconico abbraccio con Gianmarco Tamberi, una manciata di minuti prima oro nel salto in alto. Così, per analizzare e fare un bilancio di questo Rinascimento sportivo azzurro, Ventuno ha intervistato Diego Costa, 64 anni tra pochi giorni, giornalista sportivo bolognese di lunghissimo corso e grande esperto di atletica, disciplina a lungo bistrattata e ora assurta a simbolo.

Costa, è d’accordo sul fatto che questa sia l’estate sportiva migliore di sempre per l’Italia?

«Sicuramente. Quantomeno una delle migliori mai viste. E dire che ero scettico sul valore di queste Olimpiadi senza pubblico, mi sembravano astratte e poco credibili. Invece gli atleti ci hanno convinto che la parte migliore dello sport sono sempre loro. E un grazie va detto ai giapponesi, che pur senza ritorno economico e nonostante il Covid hanno organizzato dei grandi Giochi. Così mi sono ricreduto».

Lei segue l’atletica da tanti anni. Se li aspettava questi cinque ori, dopo il digiuno di Rio 2016?

«Onestamente un boom così no. Però in passato, anche con risultati marginali, avevamo espresso meno di quanto valevamo. Serviva un’iniezione di fiducia, qualcuno che dicesse: ‘Provateci, non è impossibile’. Ed ecco le imprese in simultanea di Jacobs e Tamberi, con il loro bellissimo abbraccio. L’effetto è stato psicologicamente dirompente, tale da trainare la 4×100 e i marciatori Stano e Palmisano. Davvero straordinario, in particolare, l’oro di Antonella: il suo stop di 40 giorni a maggio per infortunio ha rischiato di compromettere 4 anni di lavoro. Invece ha vinto».

Marcell Jacobs con l’oro olimpico conquistato sui 100 metri (foto tratta, come tutte le altre di questo articolo, dalla pagina Facebook del CONI)

Per non parlare di Jacobs…

«La sua è stata la vittoria dell’impossibile. Che lo farà diventare ricco. Basti pensare che il suo manager, Marcello Magnani, subito dopo l’oro nei 100 aveva già rinnovato i contratti pubblicitari fino al 2028. E un brand come Gucci lo ha chiamato per diventare testimonial. Adesso per Jacobs, dal punto di vista sportivo, sarà tutto più difficile. Chiunque gli starà addosso e la sua superiorità non è quella di Bolt. Ma per lui, e per tutto il movimento italiano, saranno stimoli incredibili».

Stimoli avuti dalla 4×100, altra vittoria impensabile alla vigilia.

«Ma in Italia la staffetta è sempre stata allenata con meticolosità e finalmente ha raccolto i frutti. Un cambio ben fatto fa guadagnare centesimi fondamentali. Gli Usa, invece, sono spocchiosi, vedi le critiche di Carl Lewis ai velocisti americani. Dispiace solo che i giornalisti abbiano trattato come un ripiego il giovane Lorenzo Patta, che invece rappresenta la straordinaria tradizione sarda nella velocità, con esponenti del calibro di Marras, Puggioni, Floris».

Il quartetto italiano vincitore della 4×100 (da sinistra, Marcell Jacobs, Lorenzo Patta, Fausto Desalu e Filippo Tortu)

Grazie a queste imprese sarà possibile riportare i ragazzini sulle piste di atletica?

«Chi lo sa. Sarebbe importante, perché poi chi ha un’educazione sportiva di base spesso sa nutrirsi di gesti bellissimi, come quello fatto da Cheruyot nei confronti di Ingebrigtsen dopo i 1500 metri (il kenyano, seppur appena battuto dal norvegese, sul traguardo si è complimentato col vincitore regalandogli il suo braccialetto portafortuna ndr). Speriamo di costruire un movimento attorno a Jacobs, come fatto nel tennis maschile. Ma dipende anche da come viene raccontato lo sport. Queste Olimpiadi hanno dimostrato che esiste un’Italia raccontata, quella dei populismi della politica, dei leoni da tastiera e dei luoghi comuni, e un’Italia che ‘fa’ i fatti, quella che con i sacrifici ottiene i risultati. Ad esempio, l’appello del presidente del Coni Malagò sullo Ius Soli sportivo è un fatto. Invece spesso esiste un modo di raccontare lo sport slegato dalla realtà. Vedi le performance degli sport di squadra, definite impropriamente come debacle».

Zero medaglie dopo tanto tempo, ma almeno i quarti di finale sono stati raggiunti praticamente ovunque.

«Avrà un po’ deluso la pallavolo, ma nel basket ce la siamo giocata fino all’ultimo contro la Francia vicecampione, mentre il Settebello ha perso solo con la Serbia poi diventata d’oro. Le parole andrebbero usate con attenzione, invece a farla da padrone sono messaggi semplicistici e per forza colpevolizzatori, dove regna sempre il bicchiere mezzo vuoto. Ciò non significa che non si deve criticare, ma servono giudizi equilibrati. Quell’equilibrio dettato dalla conoscenza, che spesso manca anche nei media».

Il flop della scherma invece, al netto delle 5 medaglie, è stato incontestabile.

«Certo, ma ciò che ha sorpreso di più sono state le reazioni successive (vedi le richieste di dimissioni della squadra di fioretto nei confronti del ct Cipressa ndr). Segno che, come successo nel ciclismo con il brutto trattamento riservato al ct su strada Cassani, in molte federazioni sono in corso guerre intestine. Ma è il male classico della nostra politica sportiva, in cui certi presidenti federali vivono il loro mandato per avere i voti e garantirsi quello successivo. Meglio ricordare i successi della nostra bellissima gioventù, come nel nuoto, o le imprese entusiasmanti alla Ingebrigtsen».

A proposito di politica sportiva, parlando di atletica non si può non nominare Alex Schwarzer: l’ultimo oro olimpico in questa disciplina, prima della scorpacciata di Tokyo, l’aveva conquistato lui a Pechino 2008. Lei per Ventuno ha scritto un’inchiesta in tre puntate sulla sua controversa vicenda di doping. Gli avessero concesso di gareggiare, il marciatore altoatesino avrebbe vinto?

«Avrebbe senz’altro potuto vincere, ma non è giusto parlare degli assenti e al di là del dato statistico non legherei la sua vicenda a queste Olimpiadi. Alex ha fatto dei danni all’atletica, ma ne ha anche ricevuti e nei suoi confronti è mancata la possibilità di una riabilitazione. Piuttosto, avrei molto gradito che qualcuno dopo le vittorie nella marcia avesse ricordato la figura di Annarita Sidoti (campionessa mondiale nella 10km ad Atene 1997, prematuramente scomparsa nel 2015, ndr), che per anni ha tenuto a galla il movimento».

Antonella Palmisano taglia il traguardo nella 20 km di marcia

Il racconto della Rai di queste Olimpiadi le è piaciuto?

«Luci ed ombre. Bene certi commentatori, come Franco Bragagna nell’atletica, e la suddivisione nelle competenze in molti commenti tecnici, male invece a mio parere le continue interruzioni – o le totali assenze – degli sport in cui non erano impegnati gli azzurri. Sarebbe bastato un riassunto della giornata, come si faceva in passato. Un commentatore tecnico in meno e due giovani giornalisti in più. Invece, a tratti, sembrava di assistere ad un cinegiornale Luce tutto improntato sull’Italia. Le colpe? Non dei cronisti, ma dei vari gestori, di caporedattori miopi. Ho trovato carina invece la trasmissione serale Il Circolo degli Anelli, dove si è creato un salotto alla ‘Fabio Fazio’ in salsa sportiva. Certo, ad alcuni riusciva e ad altri meno: l’ex nuotatore Domenico Fioravanti, scusate il gioco di parole, sembrava un pesce fuor d’acqua, invece Sara Simeoni è stata bravissima. Ha saputo unire eleganza a simpatia: pareva di vedere Orietta Berti ospite di Fazio».

Per una volta gli altri sport si sono presi una rivincita sul calcio.

«Al di là del fatto che per la Rai il calcio olimpico, mancando l’Italia, è stato colpevolmente e totalmente cancellato, stavolta è stato giusto così. Dopotutto ci siamo fatti una gran scorpacciata con gli Europei».