L’album fotografico della Repubblica italiana, oggi 75enne

La Repubblica italiana compie 75 anni. Spegne le sue candeline in un mese complicato e bifronte. In un giugno diviso tra il terribile recente passato, la pandemia, e un futuro che i suoi cittadini ancora non hanno la possibilità di abbracciare completamente.

Quando giunge il proprio compleanno in periodi di sospensione, attesa e incertezza, forte è la spinta a guardare verso il proprio passato. Rivolgersi verso il compiuto, cercando risposte per l’incompiuto. Per quel che sarà. Si sfogliano gli album dei ricordi, rimembrando gioie e a volte rimasticando amarezze.

Anche noi in questo compleanno, nell’augurarci un futuro migliore, vogliamo riguardare le vecchie fotografie che raccontano la nostra storia collettiva, scegliendo quelle che sono state in grado di sintetizzare un’epoca. Scatti che hanno reso “la morta stagione” per sempre “presente e viva”, come direbbe Giacomo Leopardi. La storia immortalata si è fatta così compagna di strada per i posteri. D’altronde la fotografia è la tecnologia moderna che meglio risponde all’antico bisogno umano di trovare una sintesi tra l’eternità e il tempo. E lo fa celebrando l’attimo, l’istantaneo. Ecco quindi le immagini che narrano la vita della 75enne Repubblica italiana.

Gli anni della ricostruzione, 1946-1956, “è nata la Repubblica italiana”
Repubblica italiana

È la foto simbolo della nostra democrazia. Ormai quando pensiamo alla Repubblica italiana, siamo portati inconsciamente a pensare ad una giovane che ride, piena di speranza. Ritorniamo al volto di Anna Iberti, scomparsa ormai 24 anni fa.

L’idea geniale di regalare un volto al nostro Stato, un’immagine in cui riconoscersi e di cui innamorarsi, è di Federico Patellani. Il fotogiornalista incornicia la Iberti nella prima pagina del Corriere sotto quel titolo che ancora regala emozione: “È nata la Repubblica italiana”. Sarà il Tempo, scegliendo l’icona come sua copertina, a rendere celebre lo scatto.

Un nuovo volto per un paese che doveva essere ricostruito materialmente, ma anche moralmente. Vent’anni di fascismo, in cui l’Italia si è vestita del nero lutto di una dittatura “ebbra di bella morte”, hanno portato la terra della bellezza verso il disastro del conflitto mondiale. C’era bisogno di dare al Paese una nuova identità che comunicasse voglia di vivere, di pace, di libertà. Un’istantanea che desse il coraggio di riprendere nelle proprie mani il futuro e farne un posto migliore. Un sogno fino ad allora mai sperato.

Nel nuovo corso poi sempre più protagoniste saranno le donne. Sono chiamate finalmente al voto e alla partecipazione politica. Devono prendere nelle loro mani il Belpaese nella speranza di sottrarlo a quel patriarcato che aveva partorito il germe del mussolinismo. Per questo la creazione di Patellani è il ritratto perfetto di un periodo storico, la sintesi magica di un’idea a cui poi la Costituzione darà forma e sostanza.

Gli anni del boom, 1957-1965, “Il sorpasso”
Repubblica italiana

La ricostruzione ha dato i suoi frutti e per l’Italia si apre il periodo che, malgrado le contraddizioni, è sicuramente il più felice della sua storia. Un termine onomatopeico giocoso riassume un periodo di cambiamenti e di prime volte. Un’era di euforia, felicità, voglia di futuro. È il boom. Il Belpaese cresce, i suoi cittadini conoscono il benessere e i beni di consumo attraverso i quali viaggia un nuovo modo di pensare la società e sé stessi.

Dato che la settima è l’arte che più di tutte racconta e esprime questo fiorente periodo, abbiamo scelto come simbolo del Miracolo economico italiano la scena di un film: “Il sorpasso” di Dino Risi. Protagonista è il grande Vittorio Gassman nell’iconica posa delle “corna”. Un gesto volgare che verrà nobilitato politicamente in altre foto e epoche da un presidente della Repubblica, Giovanni Leone, e da uno del Consiglio, Silvio Berlusconi.

L’Italia in quel periodo corre ed è in eccitato sorpasso, si lascia alle spalle il Paese povero e agricolo del passato. Lo fa con una sicurezza quasi irrispettosa, scanzonata, spaccona. Dove porterà però questa gara verso l’ignoto che cementifica i paesaggi, dimentica le tradizioni e non regolamenta le trasformazioni?  

Dagli anni della contestazione agli anni di piombo, 1966-1980, “Il sequestro Moro”
Repubblica italiana

Non abbiamo deciso di mettere gli anni della contestazione nello stesso paragrafo degli anni di piombo perché li confondiamo. Non riteniamo che il ’68 sia il preludio del terrorismo. Pensiamo però che la violenza politica sia nata con lo scopo di reprimere il movimento studentesco e operaio (leggi anche Il 2021 intervista il 1968 e Movimenti giovanili e droga).

Non è un caso che la prima strage avvenga a Milano il 12 dicembre 1969, alla fine dell’autunno caldo. Fa riflettere che l’attentato sia nato per mano dell’estrema destra, ma sia stato additato, attraverso depistaggi, il mondo anarchico e più in generale della sinistra, sacrificando l’immagine pubblica del capro espiatorio Pietro Valpreda.

Da lì si innesca quel lungo domino di eventi e reazioni che porta il Paese verso un’escalation di violenza: gli anni di piombo. Una sotterranea guerra civile. Nel 1978 si raggiunge l’apice di questo conflitto con il rapimento di Aldo Moro, l’uomo del dialogo tra DC e PCI, il presidente della Democrazia cristiana, il più forte candidato alla carica di capo dello stato per il dopo-Leone.

L’immagine simbolo del rapimento, è la violenta icona di un martirio, che con il suo cupo significato storico si pone in perfido contrasto con le precedenti: dalla speranza si passa alla disillusione. Non rappresenta il punto di vista di un professionista, ma è lo sguardo che il terrorista ci costringe a condividere. Dalla disillusione nascerà e verrà coltivata per anni dagli italiani la potente idea di rifondare la nostra Repubblica.

La crisi e la fine della prima Repubblica, 1981-1993, “il pool antimafia”
Repubblica italiana

È la foto forse più commovente di tutta la nostra storia. Il sorriso dolce di amicizia di due uomini che hanno cambiato per sempre con il loro senso del dovere la Sicilia e l’Italia: i magistrati antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Una foto che evoca momenti dolorosi e vergognosi, l’isolamento e il brutale assassinio di due eroi e della loro scorta, ma che è anche fonte d’orgoglio, passione. I due uomini ritratti sono esempi a cui ispirarsi, figure delle istituzioni dal volto umano, in un periodo in cui in Italia tra i giovani si diffonde sfiducia, disimpegno e paura.

La crisi del comunismo, il crollo della cortina di ferro e dei suoi muri, porta a ripensare tutta la nostra struttura istituzionale, a chiedere un cambiamento. Il post-comunismo prende forma in una forza diversa, “democratica” e di “sinistra” pronta a contendere il potere al pentapartito: Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli. Gli italiani non sopportano più un modello politico zoppo, non contendibile e troppo costoso..

Il malaffare, la corruzione, il finanziamento illecito, le connivenze con i poteri criminali, la mancanza di trasparenza non sono più tollerate. Le inchieste giudiziarie provocano scandalo e i magistrati che ne sono protagonisti diventano oggetto di interesse per i cittadini, che rivolgono verso di loro, magari ingenuamente, la voglia di cambiamento che reprimono da anni. Inizia tutto con l’inchiesta sulla P2 il 17 marzo 1981 che ha come protagonista il giudice Gherardo Colombo e finisce con le monetine lanciate a Craxi davanti all’hotel Raphael il 30 aprile nel 1993, dopo l’inchiesta Tangentopoli di Antonio Di Pietro e ancora una volta dello stesso Colombo. Nel mezzo però c’è stato il pool antimafia, il maxiprocesso, gli attentati di Capaci e di via D’Amelio.

C’è stato anche quel sorriso colto durante un dibattito dal fotografo Tony Gentile, che ha definito quell’immagine patrimonio di tutti, ma ha diffidato i politici dall’usarla per fare propaganda. L’icona ormai entrata nella memoria collettiva è un’opera del 1992, qualche mese dopo Falcone e Borsellino sarebbero stati uccisi.

Il berlusconismo, 1994-2010, “L’Italia è il Paese che amo”
Repubblica italiana

Non è una foto, ma è l’estratto di un video, dell’effluvio elettoralmente più potente della storia della nostra Repubblica. È l’istantanea che condensa la cassetta più famosa del Belpaese, lo spot elettorale di Silvio Berlusconi del ’94, con cui il Cavaliere vince le elezioni e inaugura una nuova Repubblica. Una stagione in cui alle masse si sostituiscono i mass-media, in cui alla fedeltà al partito si preferisce la fedeltà al leader, in cui dai politici in bianco e nero si passa al “One man show” azzurro del presentatore, del mattatore.

L’icona scelta per raccontare i primi 16 anni di seconda Repubblica è un attimo rubato ad un contenuto televisivo, il mezzo che rende possibile l’era del berlusconismo. Ormai la Tv ha scalzato definitivamente il cinema nella sua capacità di creare narrazioni collettive, di dare al pubblico immagini immortali da consegnare alla storia.

A rappresentare l’Italia è il corpo dell’uomo che si fa ideologia. Con Berlusconi si vive la morte e la resurrezione dell’utopia, muore nelle sue forme consuete e si personifica in un sorriso che dice “L’Italia è il paese che amo”. È lui la rivoluzione a cui metà degli italiani crede, è lui il nemico che coalizza tutte le altre forze e sensibilità incompatibili con l’edonismo, l’individualismo, il liberismo che impersona.

Una bolla la definisce il giornalista Curzio Maltese, dopo la quale effettivamente rimane solo l’ombra di un “ventennio breve”, in cui la crisi della libertà di stampa, i conflitti di interesse, le leggi ad personam hanno diviso lo stivale, impoverito il dibattito pubblico, fatto perdere tempo prezioso. Il Paese arriva impreparato, più anziano e isolato internazionalmente alla crisi del 2008 e alla grande recessione.

La grande recessione, 2011-2019, “La politica dell’Abc”
Repubblica italiana

Vent’anni dopo la politica del CAF (Bettino Craxi, Giulio Andreotti, Arnaldo Forlani), la politica dell’ABC (Angelino Alfano, Pierluigi Bersani, Pierferdinando Casini). La crisi economica e la crisi culturale politica spingono a sostituire l’ormai logorato Silvio Berlusconi con un governo tecnico, sostenuto da tutte le forze del Parlamento. Il protagonista di questo nuovo corso è il Presidente del Consiglio Mario Monti, sostenuto dalle realtà politiche tradizionali: il centrodestra Pdl-forzista, il Partito democratico e il centro di Casini.

La politica dell’ABC, di cui il grande regista è il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, deresponsabilizza i partiti nel nome delle richieste europee. Dà vita a governi che non riescono più a collocarsi ideologicamente né destra, né a sinistra, ma che varano dolorose manovre di austerity.

Il Palazzo rappresenta però sé stesso. È lontano dalla società che effettivamente premia le forze antisistema. Il M5s, la Lega di Matteo Salvini e Fratelli d’Italia divengono pian piano le novità a cui si rivolge il pubblico italiano. Succede perfino nel Pd, dove Matteo Renzi è l’uomo che emerge per rottamare il vecchio Palazzo post-comunista. Anche i nuovi protagonisti però sono costretti ad alleanze spesso forzate. Alle larghe intese della vecchia politica si aggiungono quelle del “nuovo che avanza“.

Non è un caso che la foto scelta per raccontare gli anni Dieci, sia un’immagine postata direttamente da un politico di lungo corso come Casini su Twitter. Nella comunicazione pubblica i social scalzano il racconto televisivo, costringendo Berlusconi a issare bandiere bianca. I politici parlano direttamente alla gente sui propri canali, obbligando i media tradizionali a inseguirli. La politica però sfrutterà o subirà le logiche della comunicazione smart?

L’era Covid, 2020-oggi, “State a casa”
Repubblica italiana

Avremmo potuto scegliere per raccontare il Covid quella che probabilmente diventerà per tutto il mondo la foto simbolo degli anni Venti: i mezzi militari che trasportano i morti lungo le strade di Bergamo. Abbiamo però preferito un volto giovane, per chiudere il cerchio iniziato con il viso di Anna Iberti.

La giovane Alessia Bonari posta su Instagram la foto dei lividi sul suo viso, con un testo-appello che non dimenticheremo mai:

“Sono un’infermiera e in questo momento mi trovo ad affrontare questa emergenza sanitaria. (…) Sono stanca fisicamente perché i dispositivi di protezione fanno male, il camice fa sudare e una volta vestita non posso più andare in bagno o bere per sei ore. (…) Continuerò a curare e prendermi cura dei miei pazienti, perché sono fiera e innamorata del mio lavoro. Quello che chiedo a chiunque stia leggendo questo post è di non vanificare lo sforzo che stiamo facendo, di essere altruisti, di stare in casa e così proteggere chi è più fragile. (…) Non mi posso permettere il lusso di tornarmene a casa mia in quarantena, devo andare a lavoro e fare la mia parte. Voi fate la vostra, ve lo chiedo per favore”.

Il segno di una sofferenza collettiva si sintetizza sul viso di chi è in prima linea per combattere questo inedito male. Al sorriso ricco di speranza della Iberti, si contrappone l’espressione preoccupata di chi deve ricostruire per la seconda volta l’Italia. È però una preoccupazione ricca di umanesimo, che con questo indimenticabile contenuto social rimette al centro del dibattito la salute, l’altruismo, l’attenzione per le persone. Forse è su questi valori che deve iniziare il percorso verso l’Italia che verrà.

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