Perché il processo Ilva è davvero importante

«La mia arringa è terminata parafrasando Salvador Allende: il destino del popolo di Taranto è di essere felice». Giampiero Risimini è stato l’avvocato che ha rappresentato la Cisl, costituitasi parte civile nel processo “Ambiente svenduto”. Un processo sull’Ilva di Taranto che ha suscitato interesse, polemiche e che ha impressionato per i numeri: 47 imputati, 5 anni di udienze, 902 parti civili. La pronuncia di primo grado ha condannato per esempio a 22 anni di reclusione Fabio Riva, a 20 Nicola Riva (ex proprietari dell’azienda), a 21 Girolamo Archinà (responsabile relazioni istituzionali). Si tratta però solo della sentenza di primo grado e non bisogna dimenticare che in Italia ci sono altri due gradi di giudizio, che potrebbero cambiare le condanne emesse.

C’è qualcosa che però secondo l’avvocato, non potrà più essere messo in discussione…

L’avvocato Giampiero Risimini

«È il valore e il significato storico della sentenza. Quello che è avvenuto a Taranto è chiaro e non è in discussione, una fabbrica che doveva regalare benessere e invece ha scaricato veleni nel territorio. Ora le sentenze dei gradi successivi del processo potranno confermare o meno se, da quanto è emerso, derivino responsabilità penali per gli imputati. Quello che però è cristallizzato è la condanna di un modello di sviluppo che nell’eterno tentativo di bilanciare il lavoro e la salute, non difendeva nessuna delle due».

Perché secondo lei è stata una sentenza importante?

«Questo pronunciamento crea un discrimine tra un prima e un dopo. Un prima fatto di apatia dell’opinione pubblica e dei media, di omissioni della politica e della magistratura che non intervenivano. Oggi invece abbiamo visto una magistratura che ha svolto una efficace funzione di controllo e punisce un potere economico arrogante. E finalmente un’opinione pubblica che si esprime con forza».

Un processo che fa la storia quindi?                                                                  

«Ci sono stati altri grandi processi ambientali, questo però mi pare abbia un’importanza storica. Uno spaccato temporale lungo decenni, una storia che inizia dagli anni Settanta e mette in discussione un’idea di sviluppo. Dice basta ad un Sud sfruttato».

Quindi è una sentenza che ha un valore politico che si mescola alla questione meridionale?

«Parafrasando Gobetti,  possiamo dire che l’Ilva è l’autobiografia del Mezzogiorno. Questo processo è il riscatto del Sud, spesso sfruttato e preda di imprenditori settentrionali spregiudicati. L’Ilva rappresentava una speranza per i lavoratori non solo della Puglia. Tantissimi, come racconta la storia della mia famiglia, si sono trasferiti a Taranto dalle regioni vicine, dalla Basilicata per esempio. Cercavano riscatto. Invece che sviluppo, però, la fabbrica ha portato inquinamento».

Quindi per lei questa storia è molto vicina, si lega a quella della sua famiglia

«Mio zio viveva a Taranto, una città bellissima. Quando scendendo dalla Murgia la vedi, sei di fronte ad un panorama meraviglioso, al cospetto del  quale c’è qualcosa che sembra estraneo, questa fabbrica. Lui viveva nel quartiere Tamburi e ricordo questa polvere nera che si posava ovunque sui davanzali, sui mobili e non lo sapevo, ma entrava perfino nei suoi polmoni. È morto di tumore anche lui».

Ha ripensato a suo zio quando ha ascoltato la sentenza?

«Sì, ci ho pensato. Ho pensato che quando ero lì, non mi rendevo conto di cosa fosse realmente quella polvere. Lì in aula guardavo gli occhi dei familiari delle vittime, dei cittadini e capivo che quello che veniva raccontato era un dramma collettivo. Ecco la verità che è emersa ed è indiscutibile: noi, nel silenzio decennale di tanti poteri, abbiamo avuto l’inferno nella nostra regione».

È stato un processo difficile?

«Un processo lungo. Complicato. Un lavoro della procura meticoloso per ricostruire, attraverso gli esperti, quello che è accaduto. Devo anche sottolineare che è stato un processo molto corretto e molto attento, come ne ho visti pochi, a rispettare tutti i diritti della difesa».

Premesso che le sentenze non sono né di destra, né di sinistra, ha sottolineato il valore progressista della sentenza

«Per la prima volta il grande capitale paga, insieme a funzionari e politici che (secondo la sentenza di primo grado) non avrebbero adempiuto al loro dovere; quindi sì, direi che ha una conseguenza progressista, perché mette al centro, sovrapponendolo ad altri interessi, il sacrosanto diritto alla tutela della salute e dell’ambiente».

Lei lo definisce un processo di classe

«Non mi era mai capitato di vedere una divisione sociale così plastica. Da un lato c’era il popolo compatto, unito da una grande dignità, la classe operaia che si contrapponeva all’altra parte, dove c’erano i potenti. Ho avuto la sensazione che quella rivoluzione gentile,  per citare proprio Nichi Vendola,  che la politica non è riuscita a realizzare completamente, l’abbiamo vista materializzarsi in questo processo».

Proprio Nichi Vendola ha commentato con toni durissimi la sentenza, perché condannato in primo grado per concussione a tre anni di reclusione…

«Sì, devo dire che Vendola ha ostentato  un modello di imputato che non mi sarei aspettato e che conosciamo bene: quello che va in Tv o usa i media per criticare i giudici. Poi ha anche mitigato il suo pensiero e questo mi fa ben sperare. Il problema è che se usi l’espressione “giustizia profondamente malata” e “carneficina del diritto e della verità” mini la credibilità di magistrati inquirenti e giudicanti che si sono spesi per combattere un dramma su un fatto sociale gravissimo. E questo alibi potrebbe servire anche agli altri imputati, svilendo la portata storica di questa sentenza».

Lei pur essendo un uomo di centrosinistra, è stato candidato sindaco del Pd a Monopoli (Bari) nel 2008, a differenza di gran parte dei progressisti pugliesi non si è espresso con toni forti in difesa di Vendola

«Così come non mi piacciono le condanne a furor di popolo, non mi vedono favorevole le assoluzioni che avvengono nello stesso modo. Inoltre ritengo che nella difesa di Vendola si stia rischiando di fare un errore che può danneggiare Vendola stesso. La condanna riguarda il comportamento dell’ex presidente in alcuni specifici episodi, non riguarda il resto della sua vita politica e dell’azione amministrativa vendoliana, che anche nonostante una eventuale condanna, restano comunque positive. Invece se si tira in ballo tutta l’esperienza dell’impegno dell’ex governatore, nel tentativo di difenderlo, si corre il rischio, ove questa la sentenza fosse confermata, di compromettere tutta la sua storia politica».

Leggi sull’argomento anche l’intervista a Nico Bavaro