Le Bimbe di Benno e il giornalismo che non informa

Le bimbe di Benno

Il ruolo del giornalismo dovrebbe essere quello di informare i cittadini, di chiarire i fatti, di spiegare la verità putativa. Non sempre è così e a rimetterci sono i lettori e i soggetti coinvolti nelle narrazioni superficiali o addirittura diffamatorie.

La storia

Questa storia comincia con il caso di Cronaca di Benno Neumair, il 30enne di Bolzano arrestato il mese scorso per aver ucciso i suoi genitori e occultato i corpi. Il giovane ha confessato di aver strangolato prima il padre, in seguito ad un litigio, poi la madre, appena rientrata in casa.

Nelle pagine social delle testate giornalistiche, i lettori hanno dato libero sfogo alla loro indignazione sulla vicenda: sia per l’atrocità del gesto, sia per l’aspetto del reo confesso, mostrato negli articoli con le foto che pubblicava sui social, ossia a torso nudo e con i muscoli sempre in risalto. Il tribunale mediatico si è scatenato in un classico esercizio di frenologia di lombrosiana memoria, che in casi giudiziari dovrebbe lasciare il tempo che trova.

Come accade spesso sul web, questo caso ne ha creato uno collaterale: “Le Bimbe di Benno”. Intorno al 20 marzo è nato su Facebook un gruppo chiuso di alcune centinaia di sostenitrici dell’innocenza di Neumair, se non di venerazione. Post garantisti, inni alla sua innocenza, alla sua bellezza, alla sua prestanza fisica, fino a fotoritocchi delle ragazze in compagnia di Benno. Sarebbe forse passato inosservato, non essendo stato ideato per pubblicare contenuti aperti, ma la stampa ci è andata a nozze.

L’informazione che non informa

I giornali, piccoli e grandi, locali e nazionali, si sono lanciati in una campagna moralizzatrice contro il gruppo. Da TrentoToday ad AltoAdige.it (che aveva pubblicato il parere di un consigliere di FdI), fino a neXt quotidiano, che titolava “A che punto siamo arrivati se esistono Le bimbe di Benno Neumair?”. In ultimo, persino La Stampa ne ha scritto, “Noi garantiste e innamorate”.

La storia è arrivata anche in televisione. Barbara d’Urso ne ha parlato a Pomeriggio 5, dove si definiva la vicenda come “il baratro dei valori”.

Su Rai 1, La Vita in Diretta ha trasmesso un servizio sulle Bimbe di Benno, per poi collegarsi con una psicologa forense, che ha definito il comportamento associabile all’ibristofilia, la parafilia che causa attrazione verso soggetti che hanno compiuto delitti. Come per Vallanzasca, che riceveva centinaia di lettere d’amore dalle sue ammiratrici.

Eppure, in questa gogna mediatica, nessun giornalista ha contattato le responsabili per chiedere i motivi della celebrazione, né ha compiuto un’attenta analisi della dinamica social all’interno del gruppo. Basterebbe avere un po’ di dimestichezza con il linguaggio social per capire che si tratta unicamente di un gruppo troll, ossia fatto appositamente per sostenere una tesi irritante, fuori luogo, politicamente scorretta, a cui nemmeno si crede. Anche i fotomontaggi, volutamente trash, ne sono un chiaro segnale. 

Le parole della fondatrice

Ventuno ne ha parlato con la fondatrice del gruppo, di cui bisogna omettere il nome perché minorenne, ma che ha chiesto di essere rinominata Tara.

«Il primo gruppo è nato in qualità di goliardata tra un ristretto gruppo di amici, dove scherzavamo sulle faide sotto ai post pubblici del profilo Facebook di Benno Neumair, in cui molti utenti indicano Benno come colpevole o innocente basandosi solo sul suo aspetto fisico, “faccia da bravo ragazzo? Faccia da killer?” in base a come era venuto in foto».

Tara è appassionata di cronaca nera, legge le vicende dei vecchi omicidi irrisolti o dei casi poco chiari del passato. Un hobby molto comune su Facebook, dove ci sono moltissimi gruppi dedicati ai singoli casi (come quello del Mostro di Firenze) o all’argomento in generale. Le Bimbe di Benno era nato invece per fare shitposting, ossia postare cagate (perdonate il francesismo), sia per la scarsa qualità del contenuto (come immagini modificate malamente o testi sgrammaticati) che per la loro natura provocatrice o ironica.

«Per quanto riguarda la vicenda di cronaca penso sia un caso molto interessante, ovviamente cruento, nato ed esploso in una famiglia apparentemente normale ma nel privato disfunzionale, unita alla patologia psichiatrica di Benno», spiega Tara.

Il ruolo mancato della stampa

E’ comunque cattivo gusto? Forse, ma il gruppo è stato concepito per essere privato, accetta soggetti che condividono questo tipo di umorismo e non avrebbe mai avuto questo tipo di risalto se non fosse stato per l’incapacità di alcuni giornalisti di scindere fra ciò che è notizia e ciò che non lo è. A chi sta leggendo queste parole e si sente comunque in grado di lanciare giudizi, è consigliabile rileggere i messaggi che scambia con gli amici nelle chat di gruppo (magari quelle del calcetto, dove a volte si condivide anche revenge porn).

È proprio in questo che doveva servire l’operato dei giornalisti. Ignorare del tutto Le Bimbe di Benno era difficile dopo il post su di loro pubblicato da Il Signor Distruggere, quindi sarebbe stata necessaria una semplice analisi dei contenuti. I casi sono due: o ogni giornalista che ha affrontato la questione ha una scarsa dimestichezza con il linguaggio dei social e dell’online (un po’ come la storia di Augias che scrisse un editoriale su un sms sgrammaticato ricevuto per un rimborso delle bollette, senza accorgersi che fosse una comune truffa), oppure ha volutamente evitato di approfondire la vicenda per fare del sensazionalismo e mettere alla gogna mediatica un gruppo Facebook e la ragazzina che lo gestisce.

L’editoriale di Augias in cui non si rende conto di essere vittima di una truffa online

«I giornali? Non ricordo i nomi e non ci tengo nemmeno a ricordarli perché molte testate si sono dimostrate inaffidabili e in malafede – racconta Tara – Sono stata contattata da uno che si definisce giornalista ma che di fatto è un blogger. Forse si vergogna di dire blogger? Comunque cura delle rubriche per testate minori».

La deontologia

La superficialità dei giornalisti su questa vicenda preoccupa per la salute dell’informazione. La professione giornalistica è regolata da un codice deontologico molto preciso, che impone sia una ricerca dei fatti, un ascolto delle testimonianze, un’analisi dei dati, sia la protezione dei minori.

La Carta di Treviso, che fa parte del Testo Unico dei doveri del giornalista, impone un’attenzione particolare alle questioni che toccano i più giovani per evitare di esporli ad attenzioni morbose o traumi. Per questo non ne va rivelata l’identità, non vanno pubblicate fotografie e bisogna prendere precauzioni per evitare che i soggetti siano identificabili. Eppure, le foto di Tara sono su diverse testate online.

Questo ha attirato sulla giovanissima una serie di messaggi di insulti, minacce, fino ovviamente a chi le ha augurato di essere stuprata. Per contestualizzare meglio, tutto questo è avvenuto una settimana dopo che il web si era scandalizzato sull’uscita del Faina sul catcalling.

«Sì, mi vogliono morta, stuprata, zoppa, strangolata, malata di tumore e ovviamente strozzata da Benno. Non mi aspettavo un circo del genere. Alcuni insulti sono stati così strambi (come un tizio che mi ha detto “devi crepare brutta troia” e poi si è scusato dicendomi quanto fosse dispiaciuto) che durante il giorno ogni tanto ancora ci penso, un po’ ci rido su e un po’ mi preoccupo, la gente è veramente andata fuori di testa».