L’uscita della Turchia dalla Convenzione di Istanbul, spiegata bene

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha firmato tre giorni fa il decreto di recesso dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, detta Convenzione di Istanbul, per la città dove avvenne la firma. La Turchia fu infatti il primo paese a sottoscriverla, nel 2011, insieme agli altri 46 membri del Consiglio d’Europa. Questo atto è un segnale politico rilevante, volto a ingraziarsi l’elettorato più conservatore del Paese. In precedenza, anche in Polonia si è parlato di dissociarsi dal documento, ma la Turchia è la prima a farlo in modo concreto.

Cosa comportava

La Convenzione ha stabilito per la prima volta un quadro normativo per unificare gli sforzi legislativi a livello europeo nella lotta alla violenza sulle donne. La sua importanza era dovuta in particolare alla equiparazione della violenza sulle donne con la violazione dei diritti umani e alla definizione di genere: “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini”.

In diverse città turche, come Istanbul, Ankara e Smirne, le associazioni femministe sono scese in piazza per protestare contro la decisione di Erdogan, avvenuta in un momento molto critico: secondo un report della piattaforma turca Fermeremo il femminicidio, sono state 300 le donne a morire per mano degli uomini nel 2020, mentre altre 171 sono state uccise in circostanze sospette.

Il primo dei due Tweet pubblicati dal vicepresidente turco

Il governo, però, non sembra preoccuparsene. Il vicepresidente turco Fuat Oktay, anche lui esponente dell’Akp di Erdogan, ha infatti dichiarato, sul suo account Twitter: «Siamo determinati a portare avanti la nostra sincera lotta per elevare la dignità delle donne turche ai livelli che meritano nella società, preservando il nostro tessuto sociale tradizionale. Per questo scopo elevato, non c’è bisogno di cercare il rimedio all’esterno, di imitare gli altri. La soluzione è nelle nostre tradizioni e costumi, nella nostra essenza».

Il parere dell’esperta

Per capire meglio la vicenda, Ventuno ha intervistato Eda Yakmaz, avvocatessa turca, membro dell’associazione Hayat, che opera a Bologna e in Turchia. Yakmaz si occupa di diritti umani sin dal 2011, con le prime migrazioni dei rifugiati siriani, ha conseguito un master in Cooperazione Internazionale e Diritti Umani al campus di Ravenna e attualmente vive a Istanbul.

L’avvocatessa Eda Yakmaz, esperta di diritti umani

È possibile per il governo turco ritirarsi dalla Convenzione senza coinvolgere il parlamento?

«La Convenzione di Istanbul è entrata in vigore con l’approvazione del parlamento, quindi la legge prevede che l’uscita della Turchia dagli accordi segua lo stesso iter. Il presidente non ha il potere di sottrarsi da una convenzione internazionale. L’Ordine degli avvocati ha infatti commentato che lo strumento giuridico di uscita era illegale, quindi di fatto la Convenzione è ancora in vigore.

Nonostante la Turchia sia stata il primo paese a firmarla, sono diversi anni che nel dibattito pubblico si discute sull’uscita. Molti studi legali, avvocati per i diritti delle donne e organizzazioni per i diritti umani hanno sostenuto la necessità di restare nella Convenzione, spiegando quanto fosse importante come strumento per prevenire le violenze sulle donne.

Dall’altra parte, le frange più conservatrici della società sostenevano che la Convenzione danneggiasse le famiglie turche e fosse un mezzo di propaganda LGBT perché veniva nominata la parola “gender” nel testo».

Cosa comporta per le donne turche l’uscita da questa convenzione?

«La Convenzione d’Istanbul stabilisce un meccanismo per prevenire le violenze contro le donne, misure legali e la protezione delle vittime di violenza. Inoltre, impone ai vari paesi firmatari di adottare delle misure efficaci al riguardo. Fra gli obiettivi più importanti c’è quello di progettare una struttura di misure e politiche in grado di proteggere e assistere tutte le vittime di violenza domestica, di espandere al livello internazionale la cooperazione per sradicare questi fenomeni e di dare supporto a tutte le organizzazioni e le agenzie che mettono in pratica questi aiuti. Con il decreto presidenziale di uscita, finisce la cooperazione internazionale che puntava a mettere in atto misure positive.

La Convenzione dichiara che “Le parti, nell’implementare questa convenzione, dovrebbero prestare attenzione in particolare alle donne vittime di violenza di genere”. Questo articolo è molto importante perché comprende anche soggetti LGBT».

Circa 300 donne sono morte in Turchia nel 2020 per aggressioni nell’ambito della violenza domestica, quindi perché uscire?

«La Convenzione è stato il primo documento internazionale a definire il genere. Per questa ragione, aveva una visione potremmo dire politica dell’attribuzione del genere e della violenza. Il che non era gradito ad alcune parti politiche».

Qual era lo strumento legale conferito dalla Convenzione per le donne vittime di violenza?

«Non solo si occupava di violenza domestica, ma anche nella sfera pubblica, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle stazioni di polizia, nelle prigioni, nelle istituzioni. Proibiva anche le violenze di genere durante i conflitti armati. La Convenzione definisce la violenza contro le donne come una “violazione dei diritti umani”. Include tutti i tipi di azioni relativi al genere che possano causare sofferenze fisiche, sessuali, psicologiche o economiche alle donne, nel pubblico e nel privato, così come le minacce, le coercizioni o la privazione della libertà. Inoltre, prevede pene per lo stalking, la violenza psicologica e le molestie. I paesi firmatari sono inoltre incaricati di punire il matrimonio fra un adulto e una bambina».

E cosa potranno fare una volta usciti dalla Convenzione?

«Come dichiarato dagli avvocati, dai professori di diritto costituzionale e dall’Ordine, l’uscita dalla Convenzione non può avvenire in seguito ad un decreto presidenziale. È necessaria una votazione in parlamento, quindi l’accordo è ancora in forze.

I partiti di opposizione si stanno infatti muovendo per appellarsi a questo decreto. Inoltre, la legge 6284, “Legge sulla protezione della famiglia e prevenzione della violenza contro le donne” è ancora valida, non è stata abrogata. Lo scopo di quella legge era proprio quello di mettere in atto gli articoli della Convenzione d’Istanbul. Sfortunatamente, potrebbe arrivare il giorno in cui la 6284 verrà messa in discussione».