Le epidemie, dall’antica Grecia a oggi

Fin dagli albori, l’uomo è stato vittima di epidemie, causate da virus più o meno noti. La maggior parte di queste ha un’origine animale, altre sono state determinate dalla colonizzazione e dalla conquista di nuovi territori, come è avvenuto con il vaiolo che uccise circa tre milioni di indigeni mesoamericani nel Cinquecento, durante la conquista spagnola in America.

Il contagio nell’antica Grecia

Tra le attestazioni più antiche di epidemie vi è la cosiddetta peste del 431/430 a.C. che si scagliò ad Atene durante la Guerra del Peloponneso. Cosiddetta peste perché, molto più probabilmente, si trattò di febbre tifoide. Lo storico Tucidide, nel secondo libro della sua opera “Guerra del Peloponneso”, ne fa una descrizione molto dettagliata e nel descriverla usa il termine νόσος, “malattia, contagio”. Lo storico non solo ne traccia l’origine ma ne descrive anche i sintomi:

le persone venivano prese da vampate di calore alla testa, arrossamento e bruciore agli occhi. La gola e la lingua assumevano subito un colore sanguigno, ed emettevano un odore strano e sgradevole.” Non solo, lo storico continua scrivendo: “dopo questi sintomi sopraggiungevano starnuti e raucedine, e dopo non molto tempo il male scendeva al petto con una forte tosse; e quando raggiungeva lo stomaco provocava spasmi, svuotamenti di bile e forti dolori”. Ancora, continua: “si manifestava anche un singhiozzo con sforzi di vomito che generavano violente convulsioni. Il corpo non era troppo caldo, né pallido, ma rossastro, livido e come fiorito di piccole pustole e di ulcere.”

Traduzione di G. Rosati, 1972

Quello che colpisce dal racconto di Tucidide è l’alta mortalità della malattia: pochissime persone sopravvivevano e chi ci riusciva era fortemente debilitato.

La sua rappresentazione in letteratura

Notizie sull’epidemia raccontata da Tucidide compaiono anche in letteratura e, nello specifico, in una tragedia di Sofocle: l’Edipo Re. La tragedia fu messa in scena nel V secolo a.C. (o tra il 429-425 oppure tra il 415-411 a.C.) e si apre proprio con il flagello della peste che mette in ginocchio la città di Tebe, di cui Edipo è diventato re. Ma c’è una soluzione per porre fine a queste sofferenze: Creonte, cognato di Edipo, comunica che l’oracolo di Apollo chiede di liberare la città dalla contaminazione, ovvero dalla presenza dell’assassinio del precedente sovrano, Laio. Edipo, deciso a liberare la città dalla pestilenza, avvia un’inchiesta tutt’altro che facile: infatti, Laio fu ucciso in un crocevia fuori città e del suo seguito sopravvisse solo un uomo. Tiresia, l’indovino cieco, in un primo momento non vuole collaborare ma, in seguito, messo sotto pressione, ammette quello che sa: il responsabile dell’omicidio è lo stesso Edipo, che inconsapevolmente ha ucciso Laio, re di Tebe e suo padre, unendosi poi a Giocasta, sua madre. La profezia, fatta a Laio molti anni prima, alla nascita del figlio, si era avverata. Così Edipo scopre che la sua famiglia naturale non è quella che credeva e scopre la sua vera storia: quando Laio ebbe un figlio, diede ordine a un servo di sopprimerlo, conscio di quello che avrebbe compiuto il suo stesso figlio. Il servo, però, non ne ebbe il coraggio, così il neonato fu portato a Corinto, dove crebbe.

Colpevoli

La colpa della peste, dunque, ricade sull’azione empia dell’uomo che offende la divinità. Ma questo dell’Edipo Re non è il primo caso nella letteratura greca: il grande precedente si trova nell’Iliade. Subito dopo il proemio, viene menzionata l’epidemia che si è abbattuta sull’esercito. Ancora una volta, il dio Apollo, offeso perché il suo sacerdote Crise non era stato rispettato da Agamennone, re dell’Argolide e capo degli Achei, ha voluto punire gli uomini. In questo caso il re si è macchiato di ὕβϱις (hybris), ovvero di tracotanza.

Nell’Edipo Re, invece, la colpa è dell’assassinio compiuto, anche se involontario. Il termine che Sofocle usa è μίασμα, “misfatto, scelleratezza, nefandezza”, ed è uno dei tanti termini che nell’antica Grecia indicava la contaminazione, opposta alla purezza.

Le epidemie di oggi

Sono passati millenni e, ovviamente, nel 2021 vi sono spiegazioni scientifiche per le epidemie e la colpa non ricade sugli dèi. Una cosa, però, conferma la scienza: la causa è l’azione dell’uomo, sebbene non nel senso in cui intendevano i Greci. Parole come tracotanza, misfatto, nefandezza possono essere usate per l’azione degli uomini nei confronti della natura. Ad un anno dallo scoppio della pandemia è ormai certo che gran parte della responsabilità deriva dalle nostre azioni. Una delle scelleratezze che continuiamo a compiere noi uomini è la deforestazione, con la quale si crea un terreno fertile per agenti patogeni. Le foreste, soprattutto le più antiche, sono il centro della biodiversità, gran parte della quale ancora sconosciuta. Perché è così importante la biodiversità?

Equilibrio

Secondo il Wwf, essa stessa impedisce a un batterio o un virus di prendere il sopravvento e quando questa viene a mancare, si perde l’equilibrio: ecco che un virus riesce prevalere su un altro. Con molta probabilità, infatti, il Coronavirus ha avuto origine nelle foreste dell’Asia del Sud: fin qui nulla di innaturale. È stata l’azione dell’uomo, però, a portarlo tra le persone. Invadiamo sempre di più ecosistemi in cui la fauna ha avuto pochi contatti con l’uomo, espandiamo i terreni agricoli, la silvicoltura, le attività estrattive e per di più lo facciamo in modo sbagliato. Il disboscamento porta sia all’avvicinamento di specie diverse di animali (che sono alla ricerca di un nuovo habitat), sia all’avvicinamento delle persone agli agenti patogeni trasmessi da fauna e flora. Come se tutto ciò non bastasse, il disboscamento porta anche alla caccia o alla cattura di molti animali selvatici che si ritrovano in condizioni di grande affollamento nei mercati, a stretto contatto tra di loro e con scarse condizioni igieniche: insomma, vi sono tutti i presupposti affinché il virus muti e compia il salto di specie dal suo ospite originale a uno nuovo, inclusi animali addomesticati e uomini.

I virus

Il SARS-CoV-2, che provoca il covid-19, è solo uno dei tanti virus trasmessi all’uomo dall’animale: basti pensare al MERS-CoV o HIV, l’Ebola. Nonostante ciò, si parla ancora troppo poco di biodiversità, sebbene sia fondamentale per la prevenzione delle malattie infettive emergenti. La comunità globale deve mantenere e ripristinare le foreste in quanto ecosistemi fondamentali su scala mondiale e per questo è necessaria anche un’azione politica concreta.

Un’altra grande causa delle epidemie è il cambiamento climatico e, di conseguenza, i cambiamenti ecosistemici. Un esempio può essere il caso dell’antrace, infezione acuta causata dal batterio Bacillus anthracis, ritrovato nel 2016 nell’Artico Russo, dopo 75 anni (dal 1941). Sicuramente la causa è stato il disgelo del permafrost (il terreno tipico delle regioni fredde, perennemente ghiacciato), con cui si liberano anche spore dormienti del batterio e possono diventare una minaccia per le persone.

Le conseguenze

I danni che abbiamo provocato sono talmente ingenti che, per quanto riguarda la qualità dell’aria in Italia, anche il lockdown non ha permesso di raggiungere i dati sperati (stando al report di Legambiente Mal’Aria 2021). Eppure, abbiamo visto quanto cambia l’ambiente che ci circonda con un’azione dell’uomo meno invasiva: mare cristallino, uccelli che cinguettano anche nelle grandi città, animali che si riappropriano degli spazi verdi.

Cos’altro ci serve per capire in che modo dovremmo comportarci? Un’altra pandemia?