Brasile, morto per Covid l’ultimo capotribù del popolo Juma

Aveva 86 anni quando si è spento all’Ospedale di Porto Velho, dove era stato ricoverato il 2 febbraio dopo essere stato spostato dall’Ospedale Regionael di Huamaità. Dopo una lunga lotta contro il Covid-19 su un letto di terapia intensiva, Amoim Arukà, l’ultimo guerriero del popolo Juma, è morto il 17 febbraio

Juma, gli indios costretti a raccogliere castagne

Fino a pochi decenni fa gli Juma erano circa 15mila ed Amoim era l’unico discendente maschio di questo popolo indigeno brasiliano. Un popolo che negli ultimi decenni è stato decimato da allevatori, minatori, imprenditori e “signori del caucciù”, i quali catturavano e cacciavano gli indios per schiavizzarli nella raccolta di preziosa materia presente sul loro territorio. Aruká è stato testimone del più grande massacro che il suo popolo ha subito durante la difesa del territorio dall’invasione di spillatori di gomma e commercianti di castagne.

L’ultimo massacro avvenne nel 1964 sul fiume Assuan, nel bacino del fiume Purus. Fu perpetrato da commercianti di Tapauá interessati al sorgo e alla castagna: vennero uccisi 60 indios Juma. Solo sette i superstiti. Un genocidio provato, ma mai punito, che ha portato gli Juma quasi al completo sterminio.

Gli ultimi Juma?

Questa storia non dovrebbe essere mai essere dimenticata soprattutto se parliamo di Amoim Aruká. Nel 2000 i sopravvissuti di Juma, nonostante il rischio di scomparsa, hanno visto crescere nuovamente la loro gente attraverso matrimoni con gli indigeni Uru Eu Wau Wau, anche di lingua Tupi-Kagwahiva. 

Nel 2002 erano rimasti soltanto quattro superstiti del popolo Juma, ovvero la famiglia Arukà: Amoim e le sue figlie con i loro mariti. Fino all’ultimo Amoim ha lottato per la demarcazione del territorio Juma, approvata solo nel 2004: è situato nel comune di Canutama, nel sud di Amazonas.

Amoim Arukà

Con la scomparsa di Amoim Arukà, il popolo Juma potrebbe vedere la propria fine, anche se le figlie sembrano determinate nel portarla avanti. Le figlie Borehá, Maitá e Mandeí hanno affermato: «Nostro padre ha combattuto molto, era un guerriero. Continueremo la sua battaglia». Oltre alle tre figlie Juma, Aruká ha lasciato 14 nipoti, pronipoti e una figlia da una relazione con un indigeno Uru-Eu-Wau-Wau.

Il virus in Amazzonia: una strage annunciata

Lo storico Ivaneide Bandeira Cardozo, dell’organizzazione Kanindé, ha affermato: «È necessario comprendere la situazione sanitaria che gli indigeni del Brasile e dell’Amazzonia stanno vivendo sotto un’intensa pressione, un’intensa invasione delle loro terre e un’assistenza sanitaria precaria. Quindi è molto grave e dobbiamo unirci: il mondo deve sapere cosa sta succedendo ai popoli Juma e Uru-Eu-Wau-Wau per sopravvivere nella Foresta amazzonica».      

Trattamenti inefficaci nel Brasile di Bolsonaro

Aruká Juma aveva mostrato sintomi di Covid-19, ammalandosi il 17 gennaio, per poi essere inviato al Sentinela Hospital, nel comune di Humaitá, vicino Canutama, iniziando una serie di ricoveri e dimissioni mediche. Solo il 2 febbraio Amoim è stato intubato ed è stato trasferito, poiché l’ospedale regionale di Humaitá non aveva un’unità di terapia intensiva (Icu). Per salvargli la vita è stata condotta una mobilitazione di enti e organizzazioni pubbliche statali e federali per la difesa dei popoli indigeni. È stato trasferito all’Hospital de Campanha di Porto Velho, capitale della Rondônia.

Nonostante dal 7 febbraio abbia avuto un miglioramento, dal 15 febbraio il quadro clinico del leader indigeno «è notevolmente peggiorato». Secondo il bollettino, «il paziente ha avuto un peggioramento della condizione infettiva, shock-settico che indica un’infezione generalizzata e che può causare insufficienza d’organo e pressione sanguigna pericolosamente bassa». 

Martedì 16 febbraio, l’agenzia Amazônia Real ha ricevuto informazioni da un professionista di Casai Humaitá, secondo cui il guerriero Aruká Juma aveva ricevuto farmaci non indicati per il trattamento del Covid-19 al Sentinela Hospital, a Humaitá. Secondo il professionista, l’elenco dei farmaci prescritti per il trattamento comprendeva azitromicina, ivermectina, nitazoxanide e solfato di zinco, ovvero farmaci che fanno parte del cocktail di “trattamento precoce” promosso dal governo di ultradestra di Jair Bolsonaro e che non sono riconosciuti per i pazienti Covid-19 dall’Oms, dalla National Health Surveillance Agency (Anvisa) e dalla Brazilian Society of Infectious Diseases (Sbi). 

Richiesto dal rapporto, il consigliere del Consiglio del Distretto Indigeno (Condisi), del Ministero della Salute, Aurélio Tenharim, ha detto che quando era malato al Covid-19 era stato medicato con il “trattamento precoce”, confermando la somministrazione di rimedi inefficaci. Gli stessi somministrati all’anziano Juma.

Le figlie di Aruká Juma, Borehá, Maitá e Mandeí, affermano di non essere state informate del trattamento inefficace riservato al padre.

L’ultima battaglia

Amoim era sopravvissuto ad anni di stermini, malattie e attacchi e ora se n’è andato non solo con la sua stirpe, ma anche con la sua cultura, le sue tradizioni e il suo patrimonio ancestrale composto anche dal ramo linguistico Tupi Kagwahiva. Anche a causa delle politiche del governo Bolsonaro, dal 2018 in poi. Secondo l’organizzazione Survival International Italia, che si batte per i diritti dei popoli indigeni, la morte di diversi indios (oltre 900 nella pandemia) è attribuibile alle politiche genocide di Bolsonaro nei confronti dei primi popoli del Brasile. Gli indigeni hanno ricevuto un “trattamento precoce” con azitromicina e ivermectina, farmaci non raccomandati dall’Oms, e la vaccinazione è stata garantita alle popolazioni amazzoniche solo per il 50%.

Strage indigena

Il Coordinamento delle organizzazioni indigene dell’Amazzonia brasiliana (Coiab), l’Articolazione delle popolazioni indigene del Brasile (Apib) e l’Osservatorio dei Diritti Umani delle popolazioni indigene isolate hanno affermato in una rapporto che la morte del capo indigeno Amoim Arukà è un omicidio di Stato.

«Coiab e Apib hanno avvertito che le popolazioni indigene erano a rischio estremo. L’ultimo uomo sopravvissuto del popolo Juma è morto. Ancora una volta, il governo brasiliano si è dimostrato criminalmente silenzioso e incompetente. Il governo ha assassinato Aruká». 

Secondo Coiab, la pandemia da Covid-19 ha già colpito 34.529 indigeni dell’Amazzonia brasiliana. Secondo un sondaggio pubblicato l’11 febbraio, 783 persone su 107 sono morte a causa della malattia, mentre in Amazzonia ci sono stati 8.674 casi e 252 morti di persone di 38 etnie diverse.

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