Da Totò a Zalone, le maschere nella commedia dell’arte settima

Commedia

Ventuno vi propone dieci film, classici della commedia italiana, tra cui scegliere, per trascorrere un martedì grasso che si preannuncia un po’ più triste dei precedenti. Tempo di mascherine, più che di maschere. I vari Arlecchino, Colombina, Balanzone, Pulcinella e Pantalone quest’anno rimangono nei cassetti. Personaggi antichi, nati nella commedia dell’arte e che esprimevano lo spirito carnevalesco, che sovvertiva gerarchie, ribaltava i ruoli, era occasione di satira e sublimava con il rito della festa, la voglia di peccato e ribellione.

Le maschere arcaiche con l’avvento del cinema sono state affiancate da maschere pop, espressione di satira sociale. Hanno raccontato, attraverso il cinema, l’Italia contemporanea e le sue trasformazioni. Riscopriamo quindi dieci grandi maschere della commedia italiana, attraverso dieci indimenticabili film.

1. Totò, Peppino e la… malafemmina, 1956 regia di Camillo Mastrocinque
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“Come disse Mezzacapa? Quando c’è la nebbia, non si vede! La nebbia c’è e non si vede”.

Totò, il principe della risata, il personaggio portato sullo schermo dal geniale Antonio De Curtis, è tutt’oggi la più grande maschera comica della settima arte in Italia. Da generazioni i suoi film e le sue gag scolpiscono la memoria collettiva e hanno contribuito a raccontare e far amare in tutta Italia Napoli e il suo spirito. Ha raccontato l’Italia del dopoguerra, quella povera, ma ricca di immaginazione e furbizia, che lotta e si arrangia. Tanti i titoli, forse troppi, disse qualcuno. Imprescindibile per la storia della commedia italiana è “Totò, Peppino e la… malafemmina”, perfetto nel raccontare le contraddizioni di un’Italia divisa tra campagna e capoluoghi, tra Mezzogiorno e Nord, temi che avrebbero costituito le colonne portanti della risata all’italiana.

2. Pane, amore e fantasia, 1953, regia di Luigi Comencini
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“Che dirà la gente? Che vergogna per il nostro decoro. Per il nostro paese”.

Vere Maschere sono anche Vittorio De Sica e Tina Pica in “Pane, amore e Fantasia”. Il maresciallo Antonio Carotenuto e la domestica bigotta e autoritaria Caramella, sono i protagonisti di una delle più antiche saghe cinematografiche italiane, ancora oggi distribuita con successo di pubblico dalle piattaforme Pay Tv. Lo sfondo è quello dei piccoli paesi appenninici dell’Italia centrale, che muoiono, si spopolano, per la mancanza di opportunità e per le macerie lasciate dai terremoti. Una realtà triste, quanto attuale.

3. Il ritorno di Don Camillo, 1953, regia di Julien Duvivier
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“Il signor sindaco riceve sino alle 7. Se si desidera fargli vedere la crepa, si prega di portare la torre in Comune”

Maschere politiche sono state invece quelle di Don Camillo e Peppone, simboli anch’essi di un paese in ricostruzione. Fernandel e Gino Cervi interpretarono in cinque film i personaggi inventati dalla penna di Giovanni Guareschi, prestando il loro volto per raccontare quelle due Italie (democristiana e comunista) che litigavano, ma malgrado la guerra fredda collaboravano nei momenti più difficili per rialzarsi insieme. In questo episodio c’è proprio una scena dedicata al Carnevale e soprattutto c’è il finale più commovente dell’intera saga.

4. Un americano a Roma, 1954, regia di Steno
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“Maccarone, mi hai provocato e io te distruggo”.

È Alberto Sordi, uno dei primi grandi interpreti della romanità sul grande schermo, a raccontare come si trasformano i costumi dei cittadini durante gli anni del boom economico. Albertone è l’italiano medio antipatico, egoista, cattivo maestro. In questo film racconta la malattia dell’esterofilia e l’americanismo che hanno caratterizzato e tutt’oggi caratterizzano l’Italia, attraverso la maschera sociale di Nando Mericoni.

5. Il Vedovo, 1959, regia di Dino Risi
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“Ma la vogliamo dire la verità una volta per tutte, io ho sposato un cretino e me lo tengo. Ognuno ha la sua croce, pazienza”.

No, non vogliamo riproporre ancora una volta Alberto Sordi, questo film ci serve a parlare di Franca Valeri, l’attrice che ha raccontato con una ironia unica le donne del dopoguerra. Ha dipinto, attraverso il suo viso e la sua voce, il modo in cui si trasformano i loro sogni e le loro aspirazioni nell’era del Miracolo economico italiano. In particolare rimarrà nella storia del cinema italiano il ruolo di Elvira Almiraghi, donna forte della nuova borghesia, puntigliosa, con il senso degli affari, capace di opporsi con fermezza alla cialtroneria del marito.

6. Il secondo tragico Fantozzi, 1976, regia di Luciano Salce
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“Io non mi permetterei mai di giocare, si figuri se mi permetterei di vincere, sire”.

Nell’Italia degli anni Settanta i colletti bianchi diventano sempre più numerosi. Il loro peso politico e sociale supera anche quello dei colletti blu, della classe operaia, come rivelerà nel 1980 la marcia dei Quarantamila, manifestazione antisindacale che mise fine agli anni caldi delle contestazioni del proletariato. Il personaggio di Fantozzi, inventato da Paolo Villaggio racconterà la piccola borghesia, i piccoli impiegati, le loro meschinità, il loro servilismo e la loro epica quotidiana lotta per non soccombere alle difficoltà della vita.

7. Febbre da cavallo, 1976, regia di Steno
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“E io nun so che ditte.. e anche se te ‘o dicessi.. che t’o dico a fa”

Impazza la voglia del gioco in Italia tra gli anni Settanta e Ottanta. Si gioca al Totocalcio. Si scommette sulle partite e scoppia lo scandalo del Totonero, dei match truccati da calciatori e dirigenti. Si gioca in borsa negli anni ’80. Perfino i giornali puntano sulle lotterie per aumentare le vendite. Si punta anche sui cavalli.

Nasce così il personaggio di Mandrake, interpretato da Gigi Proietti, che vive di espedienti in attesa di trovare il cavallo vincente. Racimola soldi grazie al suo sorriso sfavillante, alla bella presenza, alle capacità trasformistiche, alle ‘mandrakate’ (piccoli raggiri), per poi perderli sempre investendoli nelle corse.

8. Viaggi di Nozze, 1995, regia di Carlo Verdone
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“No, non mi disturba affatto… Mi dica”

Sono tante le maschere umane raccontate da Carlo Verdone. In Viaggi di nozze, incontriamo due dei suoi personaggi più riusciti: il professor Raniero Cotti Borroni, insopportabile e pignolo, barone di medicina, che non spegne il telefonino (la nuova grande moda degli anni Novanta) neanche nei momenti più intimi; il coatto Ivano, ignorante, ma ricco, è poi un personaggio fondamentale per la poetica di questo comico i cui film sono entrati di diritto nell’olimpo della commedia italiana.

9. Qualunquemente, 2011, regia di Giulio Manfredonia
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“Permesso, avanti, è ancora calda, tutti hanno il diritto di votare”

Arriviamo dunque all’ultimo decennio. Per raccontare le infiltrazioni, la corruzione, il populismo, la volgarità, gli scandali che hanno macchiato la politica italiana negli ultimi decenni, nasce il personaggio di Cetto La Qualunque, interpretato da Antonio Albanese. Il film dall’estetica paradossale e fantozziana entra di diritto tra i cult della commedia nostrana.

10. Cado dalle Nubi, 2009, regia di Gennaro Nunziante
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“Oh mia bella… La spingo io la carrozzella!”

È stato il vero fenomeno comico dell’ultimo decennio, soprattutto per incassi (che hanno raggiunto vette impensabili) e per successo di pubblico. Checco Zalone, alias Luca Medici, è una maschera fin dal nome: in dialetto barese, terra d’origine dell’attore, “Che cozzalone!”, vuol dire “che tamarro!”.

È la rappresentazione dell’italiano medio che cerca e a volte raggiunge il successo pur essendo mediocre e ignorante. Vive avvolto da pregiudizi antiquati, ma è anche dotato di un grande cuore, che gli permette sempre nel finale un riscatto positivo. In questo film per esempio è inizialmente omofobo, ma convince i suoi famigliari ad accettare l’amore di suo cugino per un altro uomo. Riproponiamo proprio la prima pellicola che ha visto protagonista Checco, che ironizza sul mondo della canzone neomelodica (fenomeno subculturale nato nel Mezzogiorno), sui meccanismi dei Talent show e ancora una volta sulle divisioni tra Nord e Sud Italia, chiudendo un cerchio che avevamo iniziato con Totò.