La Bolivia restituisce al Fmi il credito concesso ai golpisti

L’ex presidente socialista Evo Morales lo aveva detto già alcuni anni fa: «La prima cosa che abbiamo fatto è stata liberarci dall’ambasciata degli Stati Uniti (…) in materia economica. Quando siamo arrivati al governo, il Fondo Monetario Internazionale aveva il suo ufficio presso la Banca centrale della Bolivia. Li abbiamo mandati via, non possono stare qui a decidere le nostre politiche economiche».

È di pochi giorni fa la notizia che la Bolivia ha restituito al Fondo monetario internazionale (Fmi) un prestito di 346 milioni di dollari, ritenuto troppo «oneroso» e «svantaggioso», avendo generato costi economici milionari per lo Stato. Il prestito è stato contratto nel 2020 dal governo golpista di destra dell’autoproclamata Jeanine Áñez, salita al potere nel novembre 2019, dopo il colpo di stato contro l’allora presidente Evo Morales.

A informare di questa operazione è stata la Banca centrale di Bolivia che, in difesa della sovranità economica del Paese e nel rispetto della Costituzione dello Stato plurinazionale, ha restituito al Fmi il pacchetto, equivalente a 240,1 milioni di diritti speciali di prelievo (Dsp), che erano stati gestiti in modo irregolare dal governo golpista.

Un pacchetto per il golpe

Come spiegato in un comunicato stampa del Fmi dell’aprile dello scorso anno, l’obiettivo del credito era quello di aiutare la Bolivia «a soddisfare il fabbisogno di bilancia dei pagamenti derivante dallo scoppio della pandemia Covid-19, sostenendo con urgenza le spese mediche e le misure sanitarie». Oltre che di «proteggere il benessere della popolazione», con l’assenso del governo di Áñez, sostenuto da Luis Camacho e Carlos Mesa.

Il vicedirettore generale del Fmi, Mitsuhiro Furusawa, aveva sottolineato la «determinazione» delle autorità golpiste in servizio «a garantire la stabilità macroeconomica e la sostenibilità del debito una volta superata la crisi. (…) Per fare questo, si sono impegnate a raggiungere un deficit fiscale sostenibile a medio termine, pur mantenendo un forte sostegno alla spesa sociale, e ad adottare altre misure macrofinanziarie, se necessario».

Tuttavia, vista la pessima gestione dell’emergenza sanitaria da parte dei golpisti, secondo le dichiarazioni dell’attuale presidente della Bolivia, Luis Arce, tra novembre 2019 e ottobre 2020, le misure di Áñez sono servite solamente ad aumentare il debito interno ed estero della Bolivia a oltre
4,2 miliardi di dollari.

Litio e privatizzazioni: le previsioni di Morales

In un’intervista a HispanTV il 29 novembre 2019, d’altronde, lo stesso Morales aveva profetizzato che Áñez avrebbe imposto politiche neoliberiste e sottomesso la Bolivia al Fmi, come dettato dalla Casa Bianca. Il ritorno del Fmi, sempre secondo Morales, sarebbe servito ad Añez anche per le operazioni di privatizzazione e consegna delle società strategiche – nazionalizzate dai governi socialisti – alle imprese multinazionali. Cosa che era già stata denunciata nel dicembre 2019, quando l’ex presidente indio aveva ricordato che il popolo boliviano, insieme al processo di cambiamento, si era battuto per recuperare sotto il controllo pubblico le risorse naturali del proprio Paese, ricche di idrocarburi e litio.

Un prestito irregolare

Dopo aver accettato il prestito nell’aprile 2020, l’allora governo ha presentato una legge al Parlamento per l’approvazione, ma il Congresso, controllato dal Movimiento al Socialismo (Mas), l’ha respinta.

Per la commissione parlamentare, l’esecutivo Áñez non aveva allegato tutta la documentazione necessaria sul contratto di credito, sulle condizioni di finanziamento e sulle garanzie che lo Stato fosse in grado di pagare e di contrarre prestiti.

Sta di fatto che, in barba a qualsiasi legittimità democratica, il governo golpista aveva ricevuto il prestito non autorizzato. Causando, secondo il Parlamento boliviano a maggioranza socialista, ingenti danni economici.

Già a settembre 2020 la presidentessa del Senato boliviano, Eva Copa aveva annunciato una causa legale contro l’allora presidente ad interim della Bolivia, Jeanine Áñez, e il suo ministro dell’Economia per il credito ricevuto dal Fmi senza la previa approvazione del potere legislativo. Aggiungendo che il governo de facto non solo avesse ricevuto un prestito di 327 milioni di dollari, ma addirittura avesse pagato una quota di 1,6 milioni di dollari di interesse.

Infatti a febbraio di quest’anno i costi aggiuntivi ammontavano già a 24,3 milioni di dollari Usa: 19,6 milioni di dollari per variazione del tasso di cambio e 4,7 milioni di dollari in commissioni e interessi. Quindi, per rendere effettivo il rimborso del prestito, la Bcb è stata costretta a sborsare 351,5 milioni di dollari al Fmi.

Aiuti pericolosi

Ora, secondo un’analisi del credito finanziario della Banca centrale di Bolivia, «il cosiddetto strumento di finanziamento rapido (Ifr) del Fmi ha condizionato una serie di imposizioni fiscali, finanziarie, valutarie e monetarie con il Fmi», senza fornire ulteriori dettagli. Per l’istituzione bancaria, il prestito comportava condizioni inaccettabili. Ecco perché ha notificato azioni civili e penali contro ex funzionari golpisti responsabili della gestione degli aiuti finanziari.

Secondo le attuali autorità della Banca centrale, in violazione degli articoli 158 e 322 della Costituzione boliviana «e di altri regolamenti correlati in vigore. Violando così anche la sovranità e gli interessi economici del Paese».
A oggi le autorità socialista boliviane non sembrano interessate ad avere debiti con il Fmi. E a farsi dettare l’agenda economica.

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